Tafazzi for President

Se la dematerializzazione del registro degli oli è risultata semplice e “intuitiva”, perché allora il registro vitivinicolo è completamente diverso e assai più complicato? Poiché siamo (ancora) in Europa, occorrerebbe una armonizzazione dei sistemi informatici in tutti i Paesi, realizzata nel segno della massima semplificazione ed efficienza. Il rischio è alto: quando le cose si ingarbugliano, a godere sono gli azzeccagarbugli

Felice Modica

Tafazzi for President

La dematerializzazione dei registri vitivinicoli è, nelle intenzioni, una riforma europea mirante a razionalizzare il settore, semplificando la tenuta dei libri e consentendo controlli rapidi e sicuri da parte delle autorità preposte. Insomma, piaccia o non piaccia, la modernità fa capolino anche tra le vigne ed in cantina e opporvisi è una battaglia perduta in partenza.

Discorso diverso è il modo in cui questa ventata di novità irrompe nel nostro mondo e con quali effetti.
Inoltre, poiché siamo (ancora) in Europa, occorrerebbe una armonizzazione europea dei sistemi informatici, realizzata nel segno della massima semplificazione, che coincida con l’efficienza. Quando le cose si ingarbugliano, infatti, a godere sono gli azzeccagarbugli, mentre le persone perbene soffrono, a volte soccombono.

Ora, non sono certo un esperto informatico, ma ho imparato presto a cavarmela con la dematerializzazione del registro degli oli, semplice e “intuitivo”. Perché, mi chiedo, il registro vitivinicolo è completamente diverso e assai più complicato? Non voglio rispondere azzardando spiegazioni maliziose.

Non ditemi che le operazioni nella cantina del vino sono tante e più complesse. È vero, ma non vedo il motivo per cambiare perfino la grafica, introducendo una infinità di “griglie” che inducono facilmente in errore il viticoltore miope (o presbite), causando confusione, e quindi facili sanzioni.

L’armonizzazione europea del sistema è soprattutto una essenziale condizione di equità. Non ho studiato a fondo tutti gli altri sistemi, ma so per certo che, ad esempio, i nostri cugini francesi godono di trattamenti molto più semplificati. Addirittura di esenzioni, per i produttori inferiori ai mille ettolitri. Questo, in un’Europa federale, configura una vera e propria concorrenza sleale, da parte dei colleghi transalpini, che non devono combattere con uno Stato ostile, non hanno la necessità di ricorrere a costose consulenze che gravano notevolmente sui magri bilanci agricoli e possono dedicare il loro tempo all’attività agricola vera e propria.

Ecco, i sindacati di categoria, le forze politiche, noi stessi tutti, invece di abbandonarci a proteste estemporanee e velleitarie – recente il “movimento” di viticoltori che rifiuta in toto la dematerializzazione – dovremmo rivendicare una parità di trattamento con tutti gli altri colleghi dell’Unione Europea. Invece di reclamare un’assurda e autopunitiva “uscita dall’EU e dall’Euro”, chiedere che l’Europa sia veramente uguale per tutti. Poiché quella era l’Europa cui tendevano i Padri fondatori, da Adenauer a Martino, a Einaudi (leggere, per credere, il primo discorso di Einaudi alla Costituente, del 29 luglio 1947, di recente citato dal Presidente Mattarella).
Ma, prima ancora di chiederlo a Bruxelles, dovremmo pretenderlo dal ministro Martina e da chi altri, in Italia, concepisce ed attua la politica agricola.

D’altra parte, siamo stati capaci di inserire in Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio. Siamo sempre noi i veri nemici di noi stessi. Invece di prendercela con gli immigrati, dovremmo essere coerenti e proporre a gran voce il mitico Tafazzi (quello che si autoflagellava gli zebedei, per chi non lo sapesse…) come prossimo presidente del Consiglio.

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