La qualità non parla da sola, l’olio è buono, magari anche ottimo, il frantoio è curato, la raccolta attenta, la lavorazione impeccabile.
Ma allora… perché non conquista come meriterebbe?

Perché non basta essere buoni.
Nel mercato di oggi, bisogna essere anche riconoscibili, evocativi, desiderabili.
Serve un’identità che parli al cervello, ma anche alla pancia e al cuore.

Questo è il lavoro del branding emotivo.

Il cervello non sceglie per logica

Lo sappiamo dal neuromarketing: le persone non comprano un prodotto solo per le sue caratteristiche, ma comprano per come le fa sentire.

Il consumatore non cerca “olio”. Cerca:

  • autenticità
  • natura
  • bellezza
  • senso di cura
  • emozione

Se non comunichiamo questo, resteremo sempre nella fascia invisibile del “buon prodotto che nessuno ricorda”.

Branding emotivo: cos’è davvero?

È costruire un’identità sensoriale e narrativa che accompagni ogni punto di contatto col pubblico:

  • Visiva → colori, logo, immagini coerenti
  • Verbale → tono di voce, parole evocative, micro-racconti
  • Sensoriale → packaging, nomi, materiali, esperienze d’acquisto
  • Digitale → sito, newsletter, social come prolungamento dello stile
  • Relazionale → come si parla, si accoglie, si risponde

Non è solo marketing. È cura della percezione.

Cosa rende desiderabile un olio Evo?

Non basta dire “fruttato intenso” o “100% italiano”.
Il cliente vuole sentire:

  • Che c’è una storia
  • Che c’è una visione
  • Che c’è una promessa chiara
  • Che l’esperienza sarà memorabile

Le domande da farsi sono altre:

  • Cosa deve pensare di sé chi sceglie il mio olio?
  • Che emozione voglio attivare al primo sguardo?
  • Che immaginario evoco? Natura? Lusso? Tradizione? Famiglia? Design?

Coerenza: la chiave invisibile

Il branding emotivo funziona solo se è coerente in tutto: un’etichetta elegante non può coesistere con un sito disordinato, un tono narrativo raffinato mal si abbina a un social trascurato.

Ogni elemento rafforza o indebolisce la percezione.

Da dove iniziare?

  1. Fermarsi a guardarsi da fuori
    Come appare il tuo brand a chi lo vede per la prima volta?
  2. Definire l’identità emozionale
    Non solo cosa vendi, ma cosa prometti. E a chi.
  3. Semplificare e affinare
    Tagliare ciò che confonde. Rinforzare ciò che emoziona.

In sintesi

La qualità oggi non è sufficiente. È il minimo.
Ma la percezione di qualità, quella sì, si costruisce. Con metodo, con ascolto, con sensibilità.

Il branding non serve a sembrare ciò che non si è, serve a rendere visibile ciò che si è davvero, ma che altrimenti resterebbe nascosto.

E per l’olio Evo?

Serve una voce che sappia raccontare oltre l’etichetta. Un’identità che faccia venire voglia di avvicinarsi, assaggiare, ricordare.

Il valore si sente. Ma prima ancora si immagina.

In apertura, illustrazione di AbCommunication