«Ti chiami Rosamund Fischer, ma non è il tuo vero nome. Parli inglese, ma non è la tua lingua madre e gli Stati Uniti di certo non sono la tua patria. Hai ottant’anni, sai che è il 2013, sai che non è questo il tuo tempo. Hai un marito e un figlio americani, tu li ami e loro ti amano, ma non sanno chi sei davvero.

Hai finto di dimenticare, ma non hai mai dimenticato. E spesso hai mentito».

«Dov’è il muro?

Il nostro giardino era sparito. Negus era immenso e nitriva.

Non c’è mai stato nessun muro».

Tra un incipit perfetto e un explicit che lascia nel lettore un’inquietudine sospesa, Simona Dolce ricostruisce la vita, le emozioni, le gioie di un’infanzia felice: quella di Inge Brigitte, una dei quattro figli di Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz.

Ma se l’infanzia di Inge occupa la maggior parte del libro, Simona Dolce segue le vicissitudini di questa bimba anche quando abbandonerà l’infanzia e con essa la sua patria, in un primo tempo ancora nel vecchio continente, in seguito, col matrimonio, nel nuovo.

Una vita avventurosa, ma di un genere di avventure che forse si preferirebbe dimenticare. Forse, in questi casi, si opterebbe per avere una Giornata dedicata alla “non” Memoria.

Poi il mistero di una telefonata alla vecchia Inge ormai sola, residente in Virginia e l’impulso di lei di indossare sulle dita ormai ossute, forse per l’ultima volta, un anello d’oro a fascia con una croce incisa…

Anello che per molto tempo era stato l’amuleto capace di darle la forza di riportare il suo cuore a casa, poi sepolto in fondo alla biancheria.

Ma il passato torna sempre, anche quando uno meno se lo aspetta.

E col passato tornano i ricordi, solo sopiti e mai del tutto abbandonati.

E con questi le figure di Mutz e dell’amato Vati, ovvero della madre e del padre.

Da Dachau, dalla vecchia casa nell’Alta Baviera, Simona Dolce segue Inge in Polonia, nella nuova casa.

In una Polonia che per la piccola Inge era «un luogo a cui avevano cancellato via i colori»

Qui assiste all’uccisione di un cervo da parte di Kramer, un camerata del padre. Un’uccisione che diviene un fatto emblematico.

Così i bambini di casa Höss imparano presto che la paura fa parte della vita e che la felicità e la crudeltà sono intercambiabili.

Tuttavia si parla di una famiglia gioiosa e la Inge ormai adulta dirà di sé stessa (nell’unica intervista che concederà) e della sua famiglia: «Siamo stati molto felici».

Felici in una casa dove lavoravano detenuti, una villa dove regnava una sorta di horror vacui riempito di continuo da un’ambiziosa e operosa Mutz, mentre Vati seguiva i lavori degli operai (polacchi, prigionieri tedeschi, testimoni di Geova, nemici del Reich, qualche volta ebrei) che trattava con gentilezza.

I personaggi del romanzo sono molti. Ci sono i quattro fratelli, il camerata Kramer, lo zio Fritz, il cavallo Negus, Adam lo stalliere, Stanislaw l’uomo di fatica, le domestiche, la nonna, i figli degli amici dei genitori, ovvero di una madre e di un padre amoroso che insegna ai figli a non fare male agli animali, ad essere altruisti, comprensivi e generosi con gli altri e che li porta, su loro richiesta, a visitare il luogo del suo lavoro.

E qui compare il muro alto quattro metri con in cima il filo spinato…

E la domanda inquietante: c’è una verità? Perché la memoria non sempre è veritiera.

Se solo un anno prima, nel 2023, era uscito il film pluripremiato La zona di interesse, ispirato all’omonimo romanzo del 2014 di Martin Amis, va detto che il libro di Simona Dolce va oltre, perché non solo descrive l’infanzia di Inge Höss, ma la segue a Vienna, a Madrid dove sfilerà per Balenciaga, fino negli Stati Uniti dove sarà sposa e madre.

Un libro in tre parti, frutto di un lavoro “certosino”, di una ricca documentazione di questa giovane scrittrice.

E se il film, nonostante gli innumerevoli riconoscimenti, non era riuscito a convincerci fino in fondo, Il vero nome di Rosamund Fischer ci ha portato nei meandri di una situazione anomala vissuta come normale, scandagliando la psiche dei personaggi e rendendoci partecipi di un dramma di cui “quei” bambini furono a lungo inconsapevoli.

Vorremmo concludere con un’affermazione sintomatica della stessa Höss: «Ero stata educata alla gentilezza…»

Simona Dolce, Il vero nome di Rosamund Fischer, Milano, Mondadori, 2024