Un esempio di teatro mattatoriale, quello che abbiamo avuto modo di vedere al teatro del Giglio, con due veri mostri sacri della scena: Giorgio Colangeli e Mariano Rigillo.

Ma, per certi aspetti, “mattatori” sono stati anche, all’interno della Chiesa, i papi che i due attori interpretano: il tedesco Joseph Ratzinger e l’argentino Jorge Maria Bergoglio.

La commedia di Anthony McCarten narra proprio questo: il complesso rapporto tra i due, poco prima delle dimissioni di Benedetto XVI e la successiva elezione di papa Francesco nel 2013.

Uno spettacolo in cui si alternano realtà e finzione.

La realtà è quella storica: le “dimissioni” di Ratzinger e il successivo avvento al soglio pontificio di papa Bergoglio.

La finzione è quella dei dialoghi che intercorrono tra i due, creazione artistica del commediografo che tuttavia, per dirla con Manzoni, si rivela molto verosimile in quanto indaga con attenzione e profondità la psicologia di entrambi.

Molti sono stati, nella storia, i papi dimissionari (e questo ce lo dice in scena papa Ratzinger-Giorgio Colangeli), ma noi vorremmo ricordare un papa d’invenzione, quello di Habemus papam del film di Nanni Moretti, in cui uno splendido Michel Piccoli, in una delle sue ultime prove cinematografiche, interpreta un papa che non riesce a presentarsi al balcone di fronte a migliaia di fedeli esultanti.

Era il 2011 e, per quanto si dica che nel film ci sia un riferimento indiretto a papa Giovanni Paolo I, noi vi abbiamo scorto una sorta di premonizione a quanto accaduto a Benedetto XVI.

Ma entriamo nel vivo dello spettacolo dove, con la fumata bianca del 2005, entra in scena il nuovo papa, il successore di papa Wojtyla: è precisamente il 19 aprile alle ore 17 e 56 minuti.

È una scena di grande effetto.

Papa Benedetto XVI definisce sé stesso «semplice e umile», ma per i suoi nemici e detrattori è «ossessivo, freddo, indifferente».

Sappiamo che in tv guarda Il commissario Rex, che suona Mozart, che ama il jazz.

Interessanti i dialoghi tra una suora e il papa che, saggiamente, parla di «industrializzazione dell’amicizia».

Quando la suora gli mostra la foto del vecchio fidanzato, lui le risponde: «Non entrerò nella rassegna dei papi con più esperienze amorose». E continua ironico: «Borgia e, prima, Innocenzo VIII».

Nella quotidianità dichiara di aver pregato molto per il Commissario Rex, perché Rex è il nome di un pastore tedesco…

Così come di voler abdicare, perché «sono inadeguato a questo incarico» e fa seguire l’elenco dei papi dimissionari, aggiungendo: «Io non sono un leader naturale, ho poco carisma».

Sa di non saper parlare di preservativi, di aborto, di preti pedofili.

Poi è la volta di papa Bergoglio (uno splendido Mariano Rigillo) che dichiara di aver fatto il buttafuori, di venire dal quartiere più malfamato di Buenos Aires, di avere settantacinque anni, di aver fatto «tango una volta la settimana. Calcio e tango: sono argentino».

Ratzinger e Bergoglio discutono sul matrimonio dei preti, sul matrimonio tra omosessuali che per Ratzinger è un «progetto del diavolo».

Al rigore di Ratzinger si contrappone l’umanità di Bergoglio che ha dato la Comunione a chi era fuori dalla Chiesa come i divorziati.

E di fronte alla Cappella Sistina, con il Giudizio Universale, Bergoglio dichiara: «Se fossi Papa verrei qui tutti i giorni».

«Poi?», gli chiede Ratzinger.

«Rivoluzionerei la Banca Vaticana».

Ratzinger non può ignorare che gli interessi di Bergoglio sono «totalmente diversi dai miei».

Bergoglio ammette, confessandosi con Ratzinger, di non saper perdonare.

Tuttavia quest’ultimo lo assolve.

Poi è Ratzinger che si confessa a Bergoglio: «Ti ho tradito. Ho mandato da un villaggio all’altro un prete pedofilo».

Ma Bergoglio insiste sulla vastità della misericordia di Dio.

Ratzinger, dopo aver ammesso di non sentire più la voce di Dio, conclude con: «Oggi Dio mi ha parlato con la tua voce, con la tua umanità. La verità senza amore è insostenibile. Il tuo compito è darci una chiesa rivolta alla gente».

Insomma, uno spettacolo che gioca su registri espositivi che variano tra ironia (infatti si ride) e drammi umani (infatti si soffre), che tiene avvinto lo spettatore con la bravura dei due protagonisti e con un testo che fa molto pensare.

Complimenti al giovane regista Giancarlo Nicoletti che già apprezzammo in 1984 di George Orwell (di cui scrivemmo per «Avvenire») e per questo I due Papi che è l’unica produzione italiana autorizzata dall’autore.

E dei due “mattatori” che dire?

Gli applausi a non finire sono la risposta.

I due Papi, di Anthony McCarten, regia di Giancarlo Nicoletti con Giorgio Colangeli e Mariano Rigillo e con la partecipazione di Daniela Scarlatti e con Eny Cassia Corvo e Alessandro Giova