Rodolfo Quadrelli e Giuseppe Pontiggia nel comune interesse per Eliot e per le dimensioni presenti e future delle tradizioni – di ciò che vale la pena di tramandare – avevano una visione non antiquaria e cimiteriale delle tensioni che animano le culture e la storia, insomma del passato.

Di Pontiggia Quadrelli diceva che era uno scrittore che «prima di scrivere si metteva una mano sulla coscienza» intuendo prima di altri, e nei modi che gli erano propri quell’inesausta tensione fra etica e scrittura che è la cifra dei migliori autori del Secondo Novecento, innanzi tutto a partire da un’etica della scrittura di una parola chiara, profonda, ed efficace.

Tensione veritativa che in Giuseppe Pontiggia si univa ad una notevole capacità d’ascolto discreto e di dialogo con “chi ha orecchie”, di scambi di pareri senza preclusioni, d’emendamenti.

Scrivere e leggere, ma anche dialogare con l’altro, «per essere vivi ed autentici», nella dimensione corporea della messa in comune di senso, nell’accezione più vasta del comunicare. Queste capacità ricettive, di lasciarsi impregnare come una spugna dove un senso e un valore sono riconosciuti o presentiti, appartengono al lato passivo di quella maestria e capacità comunicativa, anche di massa, che la critica più avvertita sempre più viene individuando in questi anni. Una ricca trama di interrelazioni che sempre meglio si evidenzieranno con l’emergere delle carte e dei carteggi e quant’altro, di Pontiggia con gli attori di questo fitto dialogo.