Un libro di parallelismi, Chi ha rapito Cesare Pavese?

Parallelismi di luoghi (Liguria-Langhe), di locali (le piole delle Langhe-i caffè della Liguria), di colline (quella di Canun-quelle del Salto e della Gaminella), di torrenti (lo Scarinciu-il Belbo), di piante (ulivi-vigne).

E di alberghi (La Posta-il Roma).

Ma è anche un romanzo di oggetti (il telefono al muro, la radio a valvole, la cucina economica, le penne Bic, la macchina per scrivere Valentine, l’armadio a un’anta, la cassetta delle lettere, la bicicletta, l’orologio della stazione, i cartelli di lamiera sui vagoni dei treni) e di animali (la gatta, la volpe, i leprotti).

Un romanzo che parte con una premessa suggestiva: «[…] Se possedete un vecchio armadio, uno di vero legno di noce o di ciliegio e con un’unica anta, fatelo diventare la vostra dimora per il tempo che sarete in ascolto.»

È, infatti, anche un romanzo di voci, con un tempo non lineare, ma mentale.

Un romanzo circolare.

Un romanzo dedicato a Pavese, nei settantacinque anni della morte, che parte proprio da quella stanza 346 del torinese Hotel Roma e dallo strano consesso di scrittori morti come lui.

Ecco allora Primo, Emilio, Virginia, Antonia, Guido e Sylvia: tutti lì, tutti con i loro ‘attributi’-dono come – tanto per citarne solo alcuni – le pietre, il rasoio, la Browning 7 e 65.

C’è poi la casa cantoniera, presa in affitto da una Voce per un Lui professore-scrittore amante di Pavese e con il sogno di incontrarlo.

E c’è la Consorteria delle Voci, il cui compito è quello di soffiare parole alle orecchie degli scrittori, di cui una è la Voce di Simenon che è accomunato allo scrittore di Santo Stefano Belbo dalla passione per il guardare: il transito dei tram l’uno, quello dei treni l’altro.

Appassionanti i riferimenti a vecchie canzoni o trasmissioni radiofoniche trasmesse dalla sede EIAR di Torino: da Non dimenticar le mie parole a Ma le gambe del Trio Lescano a I Quattro Moschettieri di Nizza e Morbelli.

Un romanzo in cui si viaggia avanti e indietro nel tempo; in cui i personaggi di Pavese si incontrano con i personaggi del Lui scrittore-protagonista; in cui si naviga a vista tra le fine della guerra e gli anni Ottanta.

Ci sono treni che da elettrici tornano a vapore e da vapore a elettrici per muoversi tra “il Paese del Latte” e Santo Stefano Belbo; c’è il gioco della cirulla; ci sono le sigarette (le Alfa, le Popolari, le Macedonia); ci sono scrittori torturati; ci sono le donne amate da Pavese. E, non mancano misteri da scoprire e prodigi che si compiono.

Solo poche parole del dialogo tra Pavese e il più giovane scrittore, professore in aspettativa, quel Lui che è il protagonista del romanzo di Bova.

Ecco quanto gli dice Pavese: «Significa che il tuo libro è un buon libro. Se i personaggi delle tue storie non avessero un’anima, non potrebbero viaggiare nel tempo ed entrare nei sogni degli uomini.» E ancora: «Agli errori si rimedia, ma non alla banalità. Se c’è sostanza io la sento.» Per finire con: «Sì, siamo ladri di bellezza. A noi piacciono le colline e chi ci vive.»

Pubblicato da una piccola casa editrice, nata nel 2006 dalla passione dell’editore per i libri, che vuole perseguire l’indipendenza da ogni logica di moda o di mercato, Chi ha rapito Cesare Pavese? è un romanzo che cattura il lettore, che lo fa viaggiare non solo nel tempo, ma anche in luoghi, che gli fa conoscere persone, che fa dialogare personaggi tra loro, in una sorta di realismo magico.

Non vorremmo dire di più per non privare il lettore della sorpresa di questa lettura che Francesco Bova, formatore e docente di scienze umane nonché giornalista pubblicista e animatore della rivista «Malvagia», ci ha donato anche con la speranza di avvicinare i giovani alla lettura dello scrittore torinese.

Francesco Bova, Chi ha rapito Cesare Pavese?  Tropea (VV), Meligrana Editore, 2025