È un noir teso e asciutto The Sniper, di Edward Dmytryk. Senza psicologismi, pur narrando di uno psicopatico, di un cecchino seriale di donne: un saggio di sceneggiatura, tutta in levare, omissiva, incentrata sull’azione dell’eroe, una specie di coazione al delitto vissuta come colpa; sulle sue poche parole.
Bellissima, commovente la sequenza finale sul protagonista che piange, ma lo scopriamo da una lacrima che gli cola giù sotto l’occhiale e gli scivola sul collo. Basta questo alla commozione, alla catarsi, il che la dice lunga sulla qualità della sceneggiatura.

Edward Dmytryk presso la critica sconta ancora la sua controversa questione con il maccartismo: come tanti altri sceneggiatori e registi (un altro grande, Elia Kazan) fu costretto a “fare dei nomi” di colleghi che erano stati iscritti al Partito comunista insieme a lui, dopo aver scontato egli stesso la galera per la sua iniziale autodenuncia alla Commissione per le attività antiamericane…

Ti mettevano in galera, ti costringevano subdolamente alla delazione per tornare libero, per riprendere a lavorare, quello che succedeva, più o meno, oltrecortina (in Unione sovietica, in Cecoslovacchia…) con i dissidenti “antirivoluzionari”.