Di certo il più bell’omaggio negli ultimi tempi a Un tram che si chiama Desiderio lo ha fatto Pedro Almodovar con il suo capolavoro Tutto su mia madre (1999), in cui una splendida Marisa Paredes interpreta l’attrice Huma nel ruolo di Blanche Dubois, in un tipico esempio di “teatro nel cinema”, mentre il ruolo di Stella se lo dividono Candela Peña e Cecilia Roth.
Ovviamente tralasciamo la messa in scena di Luchino Visconti, con il trio Gassman, Mastroianni, Morelli e il celeberrimo film di Elia Kazan con Marlon Brando.
E pure le grandi interpreti di Blanche Dubois, dalla Hupper alla Melato (scegliendo tra le nostre più amate).
Considerata una delle opere teatrali più importanti del Novecento, Un tram chiamato Desiderio di Tennessee Williams è stato vincitore del Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1947.
Qui, al Franco Parenti, in una vuota scena circondata da persiane verdi in cui domina come unico oggetto, posto verso il proscenio, un baule trasparente, si incontrano e scontrano le due sorelle, dopo che la piantagione di famiglia in Missisipi è andata perduta e Blanche ha raggiunto a New Orleans la sorella più giovane, Stella, che vive con il marito, il rozzo polacco Stanley Kowalski.
Blanche rappresenta, come lei stessa dice, l’energia e Stella quell’autocontrollo che Blanche invidia.
Con un sapiente taglio netto a tutte le figure di contorno del testo (Steve, Pablo, Eunice, una donna di colore, un passante, un marinaio, un venditore di frittelle, un giovane, una venditrice di fiori e, non parlanti, una prostituta e un ubriaco) il regista Luigi Siracusa, che già apprezzammo e di cui già scrivemmo in questa sede lo scorso anno a proposito di Zoo di vetro, si concentra sulle quattro figure “primarie”: le due sorelle, il marito della minore di queste e Mitch, l’amico del marito nonché innamorato di Blanche.
Fermarsi solo su questi personaggi serve per mettere maggiormente a fuoco i temi del dramma: la malattia mentale, l’omosessualità, la ninfomania, la questione razziale.
Ma la parola “desiderio”, che è anche il nome del tram che porta alla casa di Stanley e Stella, è forse la parola chiave di questo dramma.
“Desiderio” di quello che Blanche definisce «bestia subumana» ovvero Stanley.
Blanche è debole, vive la solitudine e cerca le Pleiadi.
Ha una vita inquieta e non limpida (si nomina un certo albergo…), ma vuole «dare magia alle persone».
Nel suo baule c’è una vita: tutta la sua vita precedente. Ma ora Blanche sta sfiorendo e la vita è indifferente al suo dramma umano, al suo crollo psicologico che lo spettatore assiste nell’unico locale visibile e nell’altro che si immagina, quando si aprono le persiane.
Così come immagina i personaggi che non compaiono in scena solo attraverso le voci…
Persiane che non solo separano, ma servono per spiare e immaginare una vita che non sempre è rappresentata in scena.
Chiare ed esplicative le parole del giovane regista: «Un tram che si chiama desiderio» parte dalla fotografia di una periferia umana. (…) Blanche tra tutti, ma non di meno Stanley, Stella e Mitch, sono tutte persone alla deriva, che anelano alla propria salvezza, impossibile forse da raggiungere.»
Persone alla deriva, fragili come tutti noi siamo e rese con grande efficacia da Sara Bertelà nel ruolo di Blanche, da Stefano Annoni in quello di Stanley, da Silvia Giulia Mendola in quello di Stella e da Pietro Micci in quello di Mitch.
Un tram che si chiama Desiderio, di Tennessee Williams, regia, scene e costumi di Luigi Siracusa con Sara Bertelà e Stefano Annoni, Silvia Giulia Mendola, Pietro Micci.
Milano, Teatro Franco Parenti, Sala Blu, dall’11 novembre al 7 dicembre 2025
In apertura, Sara Bertelà, Un tram che si chiama desiderio