Nato a Ortona in una famiglia contadina, Mario svolse gli studi liceali e teologici nel seminario di Chieti e conseguì la laurea in sociologia nell’Università “La Sapienza” di Roma, con una tesi in economia politica. Era viceparroco quando aderì al Pci. Il 25 aprile 1975 ricorreva il trentesimo anniversario della Liberazione. E si svolsero molte manifestazioni politiche e culturali sul valore dell’impegno politico di credenti e non credenti. Numerosi cattolici, tra cui diversi preti, parteciparono a pubblici dibattiti. E, nell’ambito di un siffatto confronto molto ampio, alcuni di loro – con un approccio di non eccezionalità, ma di una normale e libera scelta – richiesero e ottennero l’iscrizione al Pci. La cosa non passò inosservata. Il 13 dicembre 1975, il Consiglio permanente della Cei emanò la “Dichiarazione” 254 che così recitava: «È incompatibile con la professione di fede cristiana l’adesione o il sostegno a quei movimenti che, sia pure in forme diverse, si fondano sul marxismo, il quale nel nostro Paese continua ad avere la sua più piena espressione nel comunismo, già operante fra noi anche a livello culturale e amministrativo». L’allusione al Pci era evidente. E così alcuni preti che avevano aderito a quel partito presero la parola pubblicamente per opporsi alla “Dichiarazione” della Cei e smisero, autonomamente e liberamente, il servizio presbiterale.

Mario e un altro prete della sua diocesi avevano compiuto una sorta di pellegrinaggio in alcune comunità cristiane di base. Una presa di contatto diretta con le realtà più vivaci del cosiddetto “dissenso cattolico”, sorto a seguito delle novità scaturite dal Concilio Vaticano II innanzitutto per combattere le resistenze dell’apparato curiale della Chiesa ad attuare le riforme. E tale esperienza aveva rafforzato in Mario la volontà di dare un taglio netto alla sua condizione di prete. Un percorso di vita percepito come qualcosa di estraneo alle dinamiche culturali, politiche e sociali che caratterizzavano la società italiana in quegli anni.

Nel frattempo, gli era giunto il decreto pontificio che lo riduceva allo stato laicale. E così si trasferì a Roma per concludere i suoi studi universitari. Nella capitale incominciò a frequentare la comunità cristiana di base di San Paolo, sorta sul finire degli anni Sessanta per impulso di Giovanni Franzoni.

Abate di San Paolo Fuori le Mura dal 1964, quest’ultimo era stato “padre conciliare” nelle ultime due sessioni del Vaticano II. Era entrato “conservatore”, ma presto “si era convertito” e aveva sostenuto gli “innovatori” su tutti i temi-chiave: la collegialità episcopale, la Chiesa come popolo di Dio che cammina nella storia, la partecipazione dei battezzati alla vita concreta della comunità cristiana, la libertà religiosa, il ripudio dell’antisemitismo, l’apertura ecumenica, il dialogo con i seguaci di altre religioni e anche con i marxisti, l’impegno per i diritti umani e per la pace nella giustizia. Un patrimonio dottrinale che egli aveva immediatamente attuato nella comunità che guidava, con il coinvolgimento della gente, indipendentemente dalle loro opinioni politiche, e nel vivo dei gravissimi problemi che attanagliavano la città.

Inizialmente, Franzoni era stato molto accorto a non entrare in aperto conflitto con le gerarchie cattoliche e non aveva aderito al Pci. Ma, in occasione delle elezioni politiche del 20 giugno 1976, annunciò su “Com-Nuovi Tempi” che avrebbe votato quel partito. In agosto venne, pertanto, ridotto anche lui allo stato laicale.

Accanto a Franzoni, Mario sarà uno dei protagonisti delle comunità di base. E, nel 2009, racconterà con Marcello Vigli questo loro percorso nel bel libro Coltivare speranza. Una Chiesa altra per un altro mondo possibile (Editore Tracce).

Nel 1977 sposò Bice e incominciò una nuova esperienza di lavoro, questa volta nel mondo della rappresentanza agricola. Stava nascendo la Confcoltivatori e l’ente di formazione nazionale, Cipa, cercava personale tra laureati in scienze agrarie, economia e sociologia. Mario venne segnalato da Vincenzo Brocco, presidente regionale dell’organizzazione abruzzese. E presto assunse compiti di direzione politica, dapprima nell’Ufficio regioni diretto da Vincenzo Raucci e, nel 1981, come membro della giunta esecutiva e responsabile del dipartimento economico, nel cui ambito erano collocate anche le politiche per il Mezzogiorno.

Dette subito un taglio innovativo all’attività del dipartimento che gli era stato affidato. Affrontò innanzitutto i problemi aperti dal terremoto, che aveva colpito l’anno prima la Basilicata e l’Irpinia, e dal nuovo ciclo dell’intervento straordinario per il Sud, che vedeva la soppressione della Cassa del Mezzogiorno e l’istituzione dell’Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno.

Un suo pallino era la spesa pubblica. Ricordo un seminario nazionale che Mario organizzò a Santa Severa, sulla costa settentrionale del Lazio. Relatori erano Giuseppe Orlando e Franco Sotte, che insegnavano all’Università Politecnica di Ancona; Roberto Finuola, che era dirigente del ministero del Bilancio e della Programmazione Economica; Mario Collevecchio e Antonio Picchi, all’epoca dirigenti rispettivamente della Regione Abruzzo e della Regione Emilia-Romagna; Alfredo Fioritto dell’Istituto “De Feo”. Partecipai anch’io e fu per me e per molti miei colleghi davvero un’occasione di crescita politica e professionale. Imparammo a leggere i bilanci dello stato e delle regioni. E capivamo così se i vari capitoli di spesa – a cui corrispondeva la miriade di norme che riguardavano il settore agricolo – erano davvero coperti da finanziamenti.

Formammo un gruppo molto affiatato a cui scherzosamente demmo il nome di “seminaristi di Santa Severa”. Mario ed io ci confidammo i nostri trascorsi comuni e si creò immediatamente un rapporto di amicizia molto intenso.

Il dipartimento economico nazionale sfornava documenti in continuazione. Erano promemoria molto puntuali sul capitolo agricoltura delle relazioni generali sulla situazione del paese, che uscivano ogni anno, e sui disegni di legge finanziaria e i bilanci annuali dello stato.

In Basilicata, tra settembre e ottobre 1981 tenemmo un seminario regionale a Baragiano per affrontare concretamente i nodi dello sviluppo delle zone terremotate, con un’analisi attenta dei finanziamenti che lo Stato aveva messo a disposizione, e venne a concluderlo Campli.

Il sisma aveva posto all’attenzione del paese i problemi ambientali. Per iniziativa di Alceo Bizzarri, si svolse nei giorni 29 e 30 ottobre 1981 a Spoleto un convegno su “Agricoltura, Ambiente, Territorio” e così partì un’iniziativa sui temi del rapporto tra agricoltura ed ecosistema sulla base di una “dichiarazione”, sottoscritta anche da esponenti del mondo della scienza e della cultura, in cui si affermava il concetto che l’agricoltura è insieme creatrice e presidio dell’ambiente e del territorio. La “Carta di Spoleto” si pose, dunque, in continuità con l’assunto che Emilio Sereni aveva elaborato nella sua “Storia del paesaggio agrario italiano”. E si prefiggeva di affrontare i nuovi problemi che lo sviluppo agricolo e le trasformazioni del territorio ponevano.

Incominciava così, per impulso di Mario, un interesse sempre più assiduo per i problemi della bonifica che permetteva alla Confederazione di superare la richiesta di abolire i consorzi e di aprire, invece, la strada ad un impegno per una loro modernizzazione e integrazione nelle politiche territoriali regionali. E veniva anche avviata un’iniziativa particolarmente intensa sui problemi dell’acqua. Nei giorni 15 e 16 ottobre 1982, Mario e Alceo organizzarono a Ferrandina (MT) un seminario nazionale sul tema “L’acqua e lo sviluppo agricolo”. L’iniziativa si concluse nel Teatro Duni di Matera con una tavola rotonda – a cui partecipò anche l’assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna Giorgio Ceredi – e un discorso del presidente Giuseppe Avolio che lanciò l’idea di istituire una “autorità nazionale” per l’uso plurimo dell’acqua.

In occasione del congresso di Roma che si svolse nel 1983, il vicepresidente Renato Ognibene chiese di non essere confermato. Venne il responsabile della commissione agraria del Pci, Gaetano Di Marino, mentre si svolgeva una riunione del consiglio generale, a officiare il rito della consultazione di tutti i membri comunisti dell’organismo per indicare il nuovo vicepresidente. Stava per lasciare la responsabilità della commissione agraria del Pci ma non volle sottrarsi a tale incombenza. Ci furono quelli che preferivano la soluzione interna (Mario Campli e Francesco Caracciolo) e quelli che optavano per la soluzione esterna (Massimo Bellotti). Ricordo di aver indicato Mario, che aveva qualità politiche, assiduità nel lavoro e competenze tecnico-professionali adeguate e, per questo, emergeva nel gruppo dei dirigenti più giovani. Ma soprattutto aveva a suo favore un requisito che altri non potevano vantare: si era formato come dirigente nella Confcoltivatori e non nelle organizzazioni che vi erano confluite. Ebbe più consensi di Francesco. Prevalse, invece, la soluzione esterna che era quella sostenuta dal partito.

A Mario fu confermato l’incarico nella giunta esecutiva. E quando Sandro Vallesi, che presiedeva l’Associazione dei coltivatori a contratto agrario, sostituì Emo Canestrelli al settore organizzazione, fu Mario a propormi di assumere l’incarico lasciato da Sandro. Non potevo svolgerlo restando in Basilicata e così decisi di trasferirmi a Roma. Una scelta che mi cambiava la vita. Ero consapevole dei rischi ma anche delle opportunità. Scelsi con convinzione e coraggio e mi tuffai nella nuova avventura.

L’anno successivo vivemmo una fase particolarmente incandescente all’interno della sinistra. Con il decreto che tagliava la scala mobile, detto “di San Valentino” perché approvato dal governo il 14 febbraio 1984, il conflitto tra comunisti e socialisti raggiunse il culmine. Bettino Craxi si era insediato a Palazzo Chigi appena l’anno precedente e aveva promosso una lunga trattativa tra governo e parti sociali sul costo del lavoro. L’accordo finale era stato respinto dal segretario della Cgil, Luciano Lama, per via delle forti pressioni della base e di “Botteghe Oscure”. Era stato, invece, sottoscritto e fortemente voluto non solo dalle organizzazioni imprenditoriali, ma anche dalla Cisl di Pierre Carniti, dalla Uil di Giorgio Benvenuto, e sostenuto dai socialisti della Cgil, guidati da Ottaviano Del Turco.

Le altre organizzazioni agricole valutavano che anche nelle campagne le aziende potevano trarre un beneficio dal provvedimento. Analogo era il giudizio nella Confcoltivatori che manifestava una forte preoccupazione per le condizioni economiche complessive del paese. E dall’esterno si era, dunque, curiosi di conoscere la nostra posizione ufficiale. Si poneva, infatti, l’alternativa tra la tutela degli interessi degli agricoltori e del paese e la solidarietà verso i sindacati dei lavoratori dipendenti.

Avolio e Campli partecipavano agli incontri a Palazzo Chigi e al ministero del Lavoro. E, progressivamente, costruivano con Bellotti una posizione coerente con la nostra natura di organizzazione imprenditoriale, partendo naturalmente dalle ragioni dell’agricoltura e dell’economia in generale. Su quella posizione convergeva l’intero gruppo dirigente.

Dirigeva la sezione agraria del Pci Luciano Barca che convocò più volte a “Botteghe Oscure” i dirigenti comunisti della Confederazione. Voleva convincerci a fare nostra la posizione del partito e della Cgil. Ricordo che ci incontrava nel corridoio davanti alla sala riunioni dove la direzione comunista era in seduta permanente. Forse era anche un modo per drammatizzare quel rito a cui ci sottoponeva. Ma noi intervenivamo tutti, uno dopo l’altro, anche per segnalare con trasparenza una nostra sostanziale unità. E argomentavamo la nostra posizione che autonomamente avevamo elaborato insieme ai nostri colleghi socialisti.

Quell’intervento così soffocante del partito nella vita interna dell’organizzazione era fonte di tensioni e nervosismi. E il clima pesante che ne derivava finiva per logorare anche i rapporti personali. E Mario, che ha un carattere mite e a cui piace il confronto anche serrato ma senza intemperanze, non sopportava i toni al di sopra delle righe che Avolio e Bellotti usavano nei suoi confronti. E così maturò la decisione di andare via dall’organizzazione.

Il 22 febbraio si riunì il nostro consiglio generale e approvò, a larghissima maggioranza, una risoluzione sull’esito del negoziato tra le parti sociali e le decisioni assunte dal governo in merito all’accordo sul costo del lavoro che avevamo sottoscritto.

Cinque giorni prima delle elezioni europee che si tenevano quell’anno, Berlinguer cadde sul lavoro, schiantato da un ictus che lo colse nel pieno della lotta per la vita o per la morte con Craxi, sul palco di un comizio elettorale in piazza della Frutta, a Padova. Morì l’11 giugno, senza avere mai ripreso conoscenza. Il cordoglio e l’emozione furono fortissimi. Anche noi della Confcoltivatori partecipammo al picchetto d’onore attorno alla sua bara e una folla oceanica gli tributò l’ultimo saluto per le vie di Roma.

Dopo qualche mese, Mario assunse la presidenza del Consorzio nazionale olivicoltori (Cno) in sostituzione di Giuseppe Malandrucco che aveva fondato l’organismo ed era andato in pensione.

Negli anni Novanta e fino al 2000 è stato dirigente centrale della Lega Nazionale Cooperative e Mutue (Legacoop). Nel 1999 pubblicò Ridefinire un mestiere. Un percorso politico per l’agricoltura in Italia e in Europa (Editore UPTER), un saggio in cui è tracciato il cambiamento che si stava realizzando nel settore primario, da “mondo a parte” a comparto economico fortemente integrato nella società.

Nei successivi anni (2000-2008) è stato direttore generale di “Legacoop Agro-alimentare” in Italia e Presidente della COGECA nella Unione europea (Confederazione Generale della Cooperazione Agricola della U.E.). Nel 2000 pubblicò AgricoltoriEuropei, con la prefazione di Franz Fischler, commissario all’agricoltura europea (Franco Angeli editore). Nello stesso anno, divenne membro del “Groupe de Bruges”: think thank europeo, indipendente, sull’agricoltura e lo sviluppo rurale.

Sempre in quel periodo, svolse corsi di “Economia e gestione dell’impresa cooperativa”, come “docente esterno”, presso la Università di Ancona, nella facoltà di Economia.

A partire dal 2008, è stato consigliere del Comitato Economico e Sociale Europeo (organismo previsto dal Trattato di Lisbona, della società civile europea) E, negli anni 2010-2013, ha svolto il ruolo di presidente della Sezione Agricoltura e Ambiente (NAT-Natura), una delle sei Sezioni del Comitato. Come membro del Comitato è stato relatore nei Pareri su: Indicazioni e denominazioni geografiche nella U.E.; Commercio e Sicurezza alimentare globale (sempre su questo tema relatore a Brasilia nella Tavola rotonda Unione europea-Brasile); Accesso al credito per consumatori e famiglie, fenomeni abusivi; Lo statuto della società della mutua europea.

Durante la sua presidenza di NAT-Natura, promosse e fece approvare, il 12 dicembre 2012, dall’assemblea del CESE il Parere “Agricoltura sociale: terapie verdi e politiche sociali e sanitarie” (relatrice Willems).

Nel 2014 pubblicò EUROPA, ragazzi e ragazze riscriviamo il sogno europeo (Marotta&Cafiero editori). Presentando il libro agli alunni del Liceo classico del Convitto nazionale Vittorio Emanuele II di Roma – il 9 maggio 2014, Giornata europea dell’Europa - Mario lanciò un appello a ripensare il processo di integrazione europeo per evitare che dal sogno si precipitasse nel sonno.

Nel 2015, terminata la sua esperienza al CESE, aprì la pagina Facebook “Diario Europeo di Mario Campli”, in cui ha commentato, quasi quotidianamente, le vicende riguardanti l’Ue. Dopo due anni, mise insieme i post nel volume Il tempo d’Europa. Tra intervallo e durata, diario 2015-2016 (Cavinato Editore International).

Nel 2016 pubblicammo a quattro mani La casa comune è casa di tutti. Il dovere e il rischio del dialogo fino in fondo (Editore Informat), un saggio sulla crisi ecologica che prendeva spunto, commentandola, dall’enciclica di papa Francesco Laudato sì per mettere a confronto i diversi approcci culturali al tema del cambiamento climatico.

Nel 2018, promuovemmo insieme il comitato civico “Europa che decide” e, durante la campagna elettorale per le elezioni europei che si svolse l’anno successivo, pubblicammo Semestre europeo costituente. La democrazia oltre lo stato (Arcadia Edizioni), una lettera aperta agli eletti al Parlamento europeo con l’illustrazione di otto emendamenti al Trattato sull’Unione europea per completare il processo di integrazione. Nel frattempo, aprimmo la pagina Facebook “La democrazia oltre lo stato”.

Dal 2020 Mario ha effettuato studi di Islamistica presso il PISAI di Roma e nel 2021 ha pubblicato Islamizzazione e Radicalizzazione. Saggio su Olivier Roy e Gilles Kepel (Cavinato Editore International). Sui temi del libro è aperta una omonima pagina Facebook. Nel 2022 ha pubblicato L’Islam e la Rèpublique. Una questione musulmana in Francia? (Informat Edizioni).

Nel 2023 abbiamo scritto insieme Il mito don Milani e la democrazia (Informat Press) e nel 2024 Il concilio e la democrazia (Editore Olio Officina).

Infine, è uscito proprio in questi giorni Della incertezza e della speranza. Il seminatore uscì a seminare (Cavinato Editore International) che Mario ha dedicato ai nipoti Diego e Noah. Il libro è una riflessione sui diversi contesti geopolitici che hanno segnato la sua vita: quello dopo l’undici settembre 2001 e quello dopo l’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 e dopo il sette ottobre 2023. Vi invito ad acquistarlo. In attesa di nuove pubblicazioni che Mario certamente continuerà a donarci.