Viviamo in società multietniche anche se non lo vogliamo ammettere. E la domanda da porci è come tentare di garantire un futuro di convivenza tra persone di differente provenienza culturale.
Per rispondere a questa domanda il primo passo da compiere è separare il tema della clandestinità da quello della convivenza fra migranti regolari e indigeni (europei da più generazioni).
La clandestinità ha un rapporto stretto con la questione della sicurezza. E garantire sicurezza (o quanto meno, prometterlo) è il compito ineludibile di chiunque voglia governare un Paese. Non bisogna mai dimenticare che sono innanzitutto gli stessi migranti regolari, quelli inseriti, quelli che lavorano, ad essere contrari ai clandestini. Era così anche per gli emigranti del Mezzogiorno d’Italia quando andarono a popolare le grandi città del Centro-Nord. E continuano ad essere dello stesso avviso ancora oggi nei confronti delle persone che arrivano da altri Paesi e vivono in Italia illegalmente.
In Italia, sul tema della clandestinità si gioca una stupida battaglia estremista tra destra e sinistra che rende incomprensibile il confronto sulle soluzioni da dare al problema. Non è così in Gran Bretagna, Danimarca e Germania, dove, in tema di clandestinità, la pensano allo stesso modo sia i progressisti che i conservatori.
Ci dovrebbe essere una posizione comune del governo e delle opposizioni per limitare, quanto più possibile, la presenza di migranti clandestini.
Il tema più spinoso è come garantire la convivenza fra gli indigeni (italiani da più generazioni) e gli appartenenti agli altri gruppi.
Purtroppo questo problema è diventato complicato in tutta l’Europa. Tutte le agenzie educative (scuole, università, chiese, famiglie) oggi sono in difficoltà ad affrontare i problemi della multietnicità e ad insegnare le regole della convivenza tra culture diverse. Il motivo lo indica con estrema chiarezza Angelo Panebianco nell’editoriale odierno, di lunedì 7 luglio, sul “Corriere della Sera”: “Ci sono insegnanti (e genitori) che hanno la capacità e l’intelligenza per insegnare regole di convivenza; ma ce ne sono altri che non sono in grado di farlo poiché […] attribuiscono all’Occidente tutte le colpe e finiscono per instillare nei giovani di provenienza extraoccidentale l’idea che essi siano in credito, che abbiano diritto a un risarcimento”.
Questa moda, ormai invalsa nelle nostre società, è fonte di conflitti anziché di convivenza. Per questo non funziona né il modello multiculturale (Gran Bretagna, Paesi Bassi) né quello assimilazionista (Francia).
Ci vuole, pertanto, una riflessione seria per proporre qualcosa di efficace su questo tema. Si tratta di impegnare filosofi, storici, teologi, sociologi, educatori per definire, in modo condiviso, i tratti della cultura occidentale, i suoi valori, la sua storia, naturalmente in dialogo aperto con donne e uomini di pensiero di altre culture.