In un’epoca in cui gli chef sono balzati alla ribalta come reucci della gastronomia italiana e personaggi televisivi o giornalisti improvvisati spesso utilizzano refrain “triti” e competenze generaliste per parlare di cucina al grande pubblico, a Olio Officina Food Festival si fa il punto della comunicazione specializzata con il critico Valerio Massimo Visintin, giornalista del “Corriere della sera”, in incognito per saggiare vizi e virtù dei ristoranti del Milanese.
Presentatosi in sala con la classica maschera nera, l’autore del libro Osti sull’orlo di una crisi di nervi ha svelato alcune buone e cattive abitudini della ristorazione italiana coniugando garbo, competenza e ironia. “Oggi il ruolo degli “osti”, che riservano ospitalità e attenzione al cliente, è spesso “scalzato” da quello del personaggio-chef, nel contempo titolare dei ristorante dove lavora – ha detto il critico. Si è creato quindi il fenomeno della ristorazione basata prettamente sulla venerazione, dove in alcuni casi manca l’accoglienza e vige la soggezione allo chef”. Non sono giunte però solo critiche negative, negli ultimi anni si sono fatti progressi.
“Oggi c’è maggiore attenzione all’estetica dei piatti, una ricerca della materia prima più accurata e una comunicazione più esplicita con il cliente, alcuni ristoratori arrivano addirittura a riferire da quale campo di grano proviene la pasta!” ironizza Valerio Massimo Visentin. Sì a chi propone ristoranti in linea con le caratteristiche della zona e con una tradizione regionale che favorisca la riconoscibilità del locale. “In fondo di ristoranti nel Milanese ce ne sono tanti, occorrono idee nuove e coerenti” ha concluso Visintin.