Il nuovo romanzo di Silvana La Spina, Un rebus per Leonardo Sciascia (Venezia, Marsilio, 2025), si dipana in una trama poliziesca, in cui si innestano digressioni e divagazioni che non riguardano solo e strettamente l’indagine poliziesca, ma che interessano anche e si embricano con la vita personale e intellettuale di Leonardo Sciascia. Di Sciascia, nella narrazione, viene fuori man mano il profilo dello scrittore che conosciamo, immerso nel suo contesto culturale e politico-sociale ma, allo stesso tempo, nell’invenzione una identità nuova e singolare, quella di un detective alle prese con un caso da risolvere: un apparente suicidio, che invece risulterà un omicidio: la vittima è un giudice, il presidente di Cassazione Aurelio Arriva − come nelle migliori storie scritte da Sciascia −. Lo scrittore dunque svolge un ruolo importante nella ricerca della verità sulla morte di Arriva: è un suicidio o un omicidio? Questa è la prima questione che si pone, per le ambiguità dello scenario in cui viene ritrovato il cadavere dell’uomo nella sua abitazione: un colpo di arma da fuoco alla tempia, la pistola sul tavolo e una lettera anonima minatoria contro di lui. Il giallo dunque si infittisce anche per la presenza di lettere anonime.
Il romanzo si apre con l’arrivo, in un piccolo paese della Sicilia, di Biagio Villari, un giovane procuratore. Viene da fuori ma è originario del posto e dunque siciliano anche lui: «si voltò a guardare in giro. Un paese come tanti, ricordò, ma con una tradizione di mafia da decenni, se non da secoli − quando la mafia era quella dei feudi, delle zolfare, dei ricchi proprietari terrieri, mentre adesso…» (p. 7). Il giovane magistrato non fa in tempo a concludere il suo pensiero, perché distratto da una donna che, con curiosità, si affaccia al balcone. Ma è chiaro che quei tre puntini di reticenza, posti da La Spina, sottintendono un processo di trasformazione a cui andavano incontro la mafia e le mafie, sottintendono la loro evoluzione. Il loro mutare rappresenta, negli anni Ottanta, l’inizio dell’adattamento ai cambiamenti dei sistemi politico-economici e finanziari, per potere meglio gestire gli affari illeciti. Sulla mafia, la scrittrice così si esprime ancora: «Era come una faccia nascosta, una faccia antica, una scultura appena appena scolpita su qualche metope degli antichi templi che dormivano nelle vicinanze il loro sonno eterno. Era l’immobilità delle cose, l’eterno presente che diventa antica sostanza di un popolo così difficile da comprendere» (p. 162). Per il PM l’arrivo in Sicilia è un modo di andare indietro − nella sua storia di bambino − di ricordare parte della sua infanzia vissuta in quei luoghi, dove adesso giunge come procuratore per indagare sul caso Arriva. Egli è rappresentato come un uomo sensibile, e scrive anche poesie.
La Spina, nel romanzo, fa emergere e ci fa immergere nell’ambiente sciasciano − che peraltro ha conosciuto e frequentato, nel contesto di un paese di provincia mai nominato, ma che tanto rassomiglia alla Racalmuto di Sciascia: nel periodo della prima metà degli anni Ottanta del Novecento.
Silvana La Spina riesce a rievocare l’aria che si respira nel circolo del paese, intorno ai suoi individui. Il circolo, con i suoi personaggi, diviene punto di raccolta e di discussione di fatti che accadono nella comunità, con le figure di pettegoli che lo frequentano: maldicenti, intriganti e curiosi: «era il luogo in cui tutto avveniva e tutto si scioglieva nelle chiacchiere e nei pettegolezzi dei soci» (p. 35); «il pettegolezzo era un’arte, ma anche il pernio dell’ipocrisia paesana» (p. 43). Il circolo, che connota una forte identità siciliana.
La storia si dipana in intrecci ben articolati tra la narrazione dell’indagine, che Sciascia conduce con acume per scoprire l’assassino del giudice Arriva, e i riferimenti alla sua vita personale e sociale-letteraria; per esempio vengono tratteggiate le abitudini quotidiane e familiari dello scrittore: «Sciascia era andato a raccogliere verdure nell’orto, e aveva dato una passata d’acqua ai pomodori» (p. 121); «Era il dopopranzo nella casa de La Noce, e le visite che Sciascia attendeva sarebbero arrivate solo nel tardo pomeriggio» (p. 120). Viene anche citata la «pasta con le sarde», piatto tipico siciliano, che tanto piaceva alla famiglia dello scrittore e anche ai nipotini.
Ci sono tanti riferimenti alla vita letteraria di Sciascia e alle sue opere, con richiami e alcuni titoli di suoi romanzi, come supporto ma anche come un “ricamo” nella narrazione.
L’autrice, infatti, nella trama della investigazione sul delitto di Arriva, innesta una sorta di investigazione parallela sulla letteratura sciasciana, e non solo, sul suo mondo letterario e su quello che ruota attorno alla vita dello scrittore: gli amici scrittori, gli eventi, la politica del tempo, i personaggi del circolo con le loro discussioni e chiacchiere. Viene ricordata anche la casa della Noce, residenza di campagna dove Sciascia passava le vacanze estive e dove riceveva gli amici.
Silvana La Spina, tra fantasia della trama del giallo e realtà del periodo storico-culturale − orchestrati sapientemente −, fa emergere fatti, relazioni tra scrittori e artisti, viene messo in luce quel periodo della letteratura e della cultura italiana. Quasi solleciti il lettore stesso a divenire un investigatore, non solo del delitto, ma soprattutto della letteratura di quegli anni.
Gli scrittori non vengono idealizzati, anzi, l’autrice li rappresenta – non solo nella loro genialità artistica e umana – ma anche nei loro difetti, nelle loro debolezze, in quei limiti che ne fanno degli esseri umani. Così avviene nella descrizione dei sentimenti di gelosia di Vincenzo Consolo nei confronti dell’amicizia tra Sciascia e Bufalino: «Consolo era uno scrittore sempre tormentato anche nel lavoro, che spesso tardava a raggrumarsi. Intanto doveva prima levarsi quel peso e magari chiedere… Perché quella gelosia, che stava guastando i rapporti di cui ormai molti sapevano e parlavano?» (p. 91). E poi Sciascia e Bufalino: un incontro avvenuto nel “luogo” della scrittura. La scrittura di Bufalino che aveva impressionato lo stesso Sciascia. Così scrive la La Spina: «Era stato nel ’78, esattamente allora, che l’aveva conosciuto. Era stato quando aveva letto quell’introduzione alle vecchie foto di Bufalino su Comiso ieri, che aveva capito con chi avesse a che fare. Lo avevano infatti stupito l’eleganza della scrittura di quelle note, l’effervescenza, l’entusiasmo, la profondità, la bellezza di certe pagine. Aveva quindi voluto conoscere l’autore». E ancora a proposito dei due: «Lui silenzioso, l’altro ciarliero, sembravano così diversi […] Ma invece avevano molto in comune: la vita paesana, l’età, alcune esperienze giovanili e il cinema come passione» (p. 88).
Il romanzo viene attraversato dalla storia del ricovero di Italo Calvino e poi dalla notizia della sua morte, avvenuta nel 1985; e da questo si può desumere che i fatti narrati dalla scrittrice possano essere collocati nel 1985. La morte di Calvino lascia Sciascia nello sconforto e in un senso di solitudine: «Sciascia si chiuse nel silenzio spaurito di chi si sente solo al mondo». (p. 267). E, ancora, emergono figure di scrittori come Bonaviri, Brancati, Pasolini.
Si fa riferimento anche ad aspetti del rapporto di Sciascia con la politica: l’allontanamento dal Partito Comunista, poi l’elezione come deputato con il Partito Radicale. Viene ricordata anche la fine dell’amicizia con Guttuso, per avere reso noto che le Brigate Rosse fossero addestrate in Cecoslovacchia. Notizia che sembrerebbe avere dato Berlinguer, in presenza di Guttuso e Sciascia. Ma Guttuso lo negò.
Nel romanzo si innestano anche notizie di avvenimenti storico-politici come il caso Moro, che compare nel dialogo tra il PM Villari e l’onorevole La Mantia: «Ho saputo che Craxi si è visto persino da queste parti e ha chiesto di incontrare Sciascia… del resto erano d’accordo ambedue sulla possibilità di salvare Moro» (p. 190).
Intanto, nel corso della narrazione, la trama del giallo si complica: si embrica con la morte di una bambina, Viviana, nipote di Arriva e figlia di Elena, annegata in una gebbia. Un fatto avvenuto tanti anni prima rimasto misterioso, sospeso ma che adesso, per l’intuizione investigativa di Sciascia, viene messo in connessione con la morte del giudice Arriva. Nell’intreccio del giallo, comincia ad emergere il sospetto, dai rilievi fatti, che ad uccidere il giovane magistrato possa essere stata una persona molto vicina a lui. Lasciamo al lettore del libro il compito di scoprire la verità del delitto, condotta “per mano” da Sciascia investigatore.
Dalla penna di Silvana La spina esce fuori uno Sciascia abbastanza realistico anche nel suo linguaggio: incisivo, che ossequia la verità e per questo a volte considerato caustico, nella percezione comune. Come quando il giornalista che lo intervista ad un certo punto del romanzo (cap.15, pp. 114-116), gli chiede delle amicizie che si interrompono (si sottintende, nella realtà, al rapporto di amicizia troncato con Guttuso; e, nell’invenzione del romanzo, all’amicizia di Sciascia con il giudice Arriva, anche questa un’amicizia “conclusa”. E lui così risponde: «Le grandi amicizie, sono simili ai grandi amori, all’improvviso si squagliano come neve al sole». E ancora, quando il giornalista gli chiede se c’è differenza tra la vita e i libri, ecco la risposta dello scrittore: «Certo. I libri seguono un ordine, la vita quasi mai…»; e ancora il giornalista: «Questo per dire che le regole del romanzo non sono le regole della vita?», e Sciascia risponde: «La vita è casuale, il raccontare mai».
Sciascia, un uomo attaccato alla sua terra, alla sua Racalmuto, e allo stesso tempo uno scrittore internazionale. Così scrive la La Spina: «Per lui una vigna era la sua storia, la sua terra, il ricordo del nonno che batteva sul balcone col bastone lamentandosi del governo, erano le zie che lo sorseggiavano a stento, e poi l’odore… era l’odore a inebriarlo» (p.113). Un uomo pieno di riconoscenza verso gli scrittori e critici che avevano creduto nella sua opera, in particolare verso Calvino.
C’è tanta Sicilia nel libro di Silvana La Spina, una Sicilia reale e immaginaria con le sue contraddizioni, i suoi personaggi, le sue trasformazioni; con la sua letteratura, dagli aspetti anche popolari. Ma niente comunque che richiami aspetti Kitsch, sentimentalismi o nostalgie. Peraltro diversi romanzi di Silvana La Spina sono ambientati in Sicilia (L’ombra dei Beati Paoli, Vicenza, Neri Pozza, 2024; L’uomo dei Vicerè, ivi, 2021; L’uomo che veniva da Messina, Firenze, Giunti, 2017). Lei stessa, di padre siciliano, vive in Sicilia.
Qui e là, nel romanzo, si incontrano parole e locuzioni del dialetto siciliano, poche ma necessarie a rafforzare la narrazione e la lingua: cani di mannara, astutatu, megliu accussì, malacunnutta. La scrittura e i dialoghi si caratterizzano per la limpidezza e l’essenzialità.
Il libro di Silvana La Spina è un omaggio alla letteratura, a Sciascia, alla Sicilia.
Silvana La Spina, Un rebus per Leonardo Sciascia (Venezia, Marsilio, 2025)