Il titolo - Versus. Diecimila anni di diatribe su geni e colture - racchiude il succo del libro di Andrea Sonnino: “Versus”, una parola latina che significa “contro”, “in opposizione a”. È la storia - che dura da diecimila anni – della disputa tra i sostenitori della conservazione della purezza genetica e i promotori della utilizzazione e del rimescolamento della variabilità dei geni delle piante coltivate.
L’autore è presidente Fidaf, la Federazione italiana dei dottori in scienze agrarie e forestali. Per una vita ha fatto il ricercatore nel campo della genetica agraria prima all’Enea e poi alla Fao. E ora insegna Produzioni vegetali di qualità presso diversi atenei. Nel libro c’è anche una componente autobiografica che rende il testo più accattivante. La dicotomia al centro del saggio, infatti, ha attraversato anche la storia professionale di Sonnino. La ricerca della purezza genetica ha permeato le prime esperienze lavorative, immediatamente dopo la laurea in scienze agrarie conseguita a Bologna nel 1976. C’era ancora l’Istituto dei registri delle varietà dei prodotti sementieri (IREV) che sarà soppresso nel 1978. L’autore era incaricato dall’ente di appurare, mediante apposite prove sperimentali, che le nuove varietà di cereali per cui era stata richiesta l’iscrizione al registro varietale presso il ministero dell’Agricoltura fossero dotate dei requisiti di uniformità, stabilità e differenziabilità dalle altre varietà coltivate. Passò successivamente alla società Maccarese, dove curò la produzione di sementi di base della varietà di frumento duro “Creso”. Anche qui il problema era la purezza genetica della varietà, epurando i campi di produzione delle sementi dalle spighe difformi dagli standard. Solo quando fu assunto come ricercatore dal CNEN (Comitato nazionale per l’energia nucleare, oggi ENEA), gli venne affidato un progetto di mutagenesi “in vitro” della patata. Si trattava di allevare in provetta delle piantine di patata e sottometterle a radiazioni gamma, al fine di indurre mutazioni genetiche. Il contrario esatto dei lavori precedenti: si tratta adesso di selezionare tutti i “fuori-tipo” – le piante portatrici di mutazioni – e di valutarli per i loro caratteri morfofisiologici.
Rigore scientifico, non tesi precostituite
Il libro si legge piacevolmente. L’autore non parte mai da tesi precostituite, ma da interrogativi, dubbi, dilemmi. A cui risponde con la documentazione oggi disponibile. E se i dubbi restano, egli non fa altro che registrarli. Con rigore scientifico, ma anche con un taglio divulgativo che si adatta alla lettura da parte di un pubblico più ampio dei soli esperti.
I quattordici capitoli principali del saggio trattano le quattordici modalità con cui il dissidio si è manifestato nelle diverse epoche storiche. Bastano alcuni titoli per dare il senso dei diverbi discussi: selvatico vs domestico (transizione agricola del Neolitico); autoctoni vs alieni (sviluppo dei commerci nell’antica Roma e “scambio colombiano” iniziato dopo il 1492); selezionatori vs ibridatori (prima rivoluzione verde nei primi decenni del Novecento); mutazioni spontanee vs mutazioni indotte (mediante l’utilizzo dell’energia atomica); puristi vs biotecnologi (vicenda Ogm).
Sono, inoltre, affrontati nodi storici di grande rilievo che ancora oggi impegnano gli studiosi: l’invenzione dell’agricoltura, ad esempio, potrebbe non essere stata provocata da penuria di cibo.
Pubblicistica divulgativa
Ci sono poi racconti ricchi di informazioni che difficilmente si trovano, nella pubblicistica divulgativa, raggruppate sapientemente come in questo libro. Alludo alla stupefacente storia del frumento che incomincia in età neolitica e che ha portato ad unire, in modo naturale o antropico, ben tre specie diverse, appartenenti a due diversi generi; alla storia delle tre ondate epidemiche causate da agenti importati dall’America che, nella seconda metà del XIX secolo, devastarono la viticoltura europea; alla storia dello scontro tra Lysenko e Vavilov in Unione sovietica che si tradusse in una persecuzione politica di scienziati genetisti che non vollero aderire alle teorie antiscientifiche del lysenkoismo e nello scoppio di disastrose carestie in Russia e in Cina, con alcune decine di milioni di morti; alla storia della conservazione e utilizzazione delle risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura con riferimento alla governance internazionale e al loro valore economico e strategico fino al trattato internazionale approvato nel 2001 che pone fine al diverbio su chi sia proprietario di tali risorse e chi dunque possa utilizzarle a fini commerciali, trovando un modo per riconoscere il lavoro degli agricoltori nel corso dei secoli, dall’alba dell’agricoltura fino ai nostri giorni.
Nell’introduzione e poi nelle conclusioni, c’è un’osservazione importante dell’autore che va messa in risalto. Essa apre, infatti, nuovi interrogativi in un mondo che vede l’agricoltura vivere una fase di grande incertezza dovuta ai conflitti geopolitici, al clima, alle migrazioni, allo sviluppo tecnologico. La contrapposizione che permea il libro non è riconducibile alle classiche categorie politiche: destra vs sinistra, conservatori vs innovatori. A volte sono i conservatori a sostenere la purezza genetica e i progressisti la variabilità dei geni. Altre volte avviene il contrario.
E anche oggi, che ai vecchi binomi oppositivi è subentrato uno nuovo (difensori della democrazia liberale vs fautori di regimi illiberali, populismi e sovranismi), a proposito di geni e colture, si riproduce lo stesso schema: a volte sono i regimi autocratici e i loro cavalli di Troia nelle democrazie liberali a sostenere la purezza genetica, mentre i liberali propugnano la variabilità dei geni; altre volte avviene l’inverso. Lo si è visto in episodi disastrosi come quello della Xylella, che ha contrapposto complottisti e ricercatori.
Libertà di ricerca
Non è semplicemente un replay di vicende come quella della fillossera, trattate con dovizia di particolari nel libro. C’è qualcosa di più essenziale che andrebbe approfondito, prendendo spunto dalla riflessione di Andrea Sonnino. Il capitalismo degli ultimi quarant’anni ha assunto le sembianze di un “capitalismo tecno-nichilista” che riduce la libertà ad un inedito connubio tra individualismo esasperato e critica puramente negativa volta a demolire ogni giudizio collettivo. Se non si mette fine a questa forma di capitalismo, saranno le autocrazie a prevalere. E la scienza e la libertà di ricerca rischiano di essere sacrificate con l’imporsi di regimi illiberali.
Per vincere questa sfida, occorre dunque non meno libertà, ma più libertà. Ci vuole una democrazia non meramente formale ma che si fondi su un umanesimo liberale. Un liberalismo, dunque, qualitativamente nuovo: che soddisfi la ricerca di senso, che generi libertà non solo per sé stessi ma anche per gli altri, che accetti limiti per rendere abitabile il mondo, che non tema di interrogarsi sul bene. Si tratta di lavorare sulla coscienza individuale e collettiva, sulla bellezza dei legami, sulla responsabilità verso le generazioni future.
Agli scienziati e ai ricercatori non può bastare difendere il metodo scientifico, ma riempire di contenuti l’umanesimo liberale, raccontando le loro esperienze e le loro conoscenze e confrontandosi nello spazio pubblico. Agli agricoltori non può essere sufficiente tutelare il proprio mestiere, ma immaginare, nell’era dell’intelligenza artificiale, un’agricoltura che reinventi la funzione essenziale per cui è nata, che non era quella di produrre cibo (o non era quella fondamentale) ma di costruire legami sociali, comunità stanziali, religioni, scienza, numeri, scrittura, statualità. Solo così la libertà di pensiero e di ricerca scientifica potrà essere praticata come libertà profondamente umana, concreta e condivisa. In un tempo in cui la produzione di cibo sembra sconnettersi dalla coltivazione della terra e dall’allevamento zootecnico, conoscere la storia della genetica agraria e i suoi conflitti può aiutare a promuovere una riflessione su queste tematiche più ampie.
Andrea Sonnino, Versus. Diecimila anni di diatribe su geni e colture, tab edizioni, 2025