Massimo Montanari insegna Storia medievale e Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, e prima de Il sugo della storia non avevo ancora avuto il piacere di dedicarmi a un suo volume, lo ammetto, mentre adesso sono qui per consigliarlo ai lettori di Olio Officina.
Protagonista indiscusso è il cibo. Le mode che si sono susseguite e intrecciate nel corso dei secoli, riflessioni e atteggiamenti che ruotano attorno a uno degli elementi più significativi di una cultura e di un popolo intero: “si mangia per comunicare – scrive l’autore – Il cibo è strumento di relazione per eccellenza”.
Il cibo, lo sappiamo, non è solo funzionale al nostro organismo: non sarebbe possibile, per noi esseri umani, concepirlo solo ed esclusivamente come l’insieme di alimenti che entrano in circolo e ci nutrono, ci forniscono le giuste energie, tutelano il nostro sistema immunitario, e ricondurlo quindi a meri significati medico/scientifici ma “il cibo è ben altro di una combinazione di sostanze chimiche”.
L’autore quindi ci invita a riflettere e a prendere maggiore consapevolezza sul fatto che il rapporto con il cibo, un rapporto sano con il cibo, vuol dire non poche cose. Vuol dire reciprocità, attenzione, convivialità e forse già inglobiamo questi aspetti, albergano nella nostra mente e nel nostro inconscio, ma capita spesso che ce ne si dimentichi e si guardi agli alimenti come qualcosa di estremamente superficiale.
Eppure, quanto si parla di cibo, ci pensate mai? Io lo chiedo a voi, ma Montanari ci risponde “Anche troppo. Ma non temiamo (o non illudiamoci) di essere i primi a farlo. Di cibo gli uomini hanno sempre parlato molto. Letteralmente e metaforicamente, da prospettive diverse, per ogni sorta di interessi”.
Oggi lo facciamo solo attraverso più canali, così che tutti sappiano che il nostro interesse rimane non solo costante, ma si adatta a seconda del momento, di quello che più ha catturato l’interesse collettivo.
E ciò che è anche cambiato, spiega Massimo Montanari, è il linguaggio scelto per comunicare con i consumatori, dove i consigli dei dietologi hanno abbonando termini quali carboidrati, lipidi e vitamine, ma si è iniziato ad associare i valori nutrizionali a determinati colori, dove il rosso avrà un certo significato e il verde un altro ancora. Un’ associazione immediata, che fa subito percepire quale scelta sia più sana rispetto ad un altra. Sul piano culturale, si tratta di una e propria svolta, che va necessariamente approfondita.
Ma l’autore fa chiarezza anche su tutti quegli aspetti che entrano in gioco quando si parla di ricette. Tra i vari approfondimenti che troverete, uno mi ha particolarmente incuriosita, quello in merito l’atto di condire l’insalata. Intanto l’insalata è diventata con il anche un pasto completo; ormai le insalatone si sono prese ampio spazio sui menu dei bar e ristoranti e sono perfette per le pause pranzo.
Ma come si condisce? Montanari ha indagato nella sua cerchia di amicizie e ha scoperto che sugli ingredienti base ci si trova tutti d’accordo, quindi la triade, per usare le sue parole, olio-aceto-sale non è in discussione, ma sono ben sei le possibilità che si prospettano sull’ordine in cui utilizzarli.
Se la cosa vi lascerà stupiti almeno quanto me – che non utilizzo un ordine particolare, varia di volta in volta, ma l’olio extra vergine di oliva deve essere buono, e scelto con cura – sappiate anche la discussione su come condire l’insalata è presente in tutta la letteratura storica sull’argomento, in particolare negli scritti fra sedicesimo e diciassettesimo secolo.
Insomma, credo proprio che Il sugo della storia vada letto. Sapere qualcosa di più sulla cultura gastronomica – non solo nostra in quanto italiani, ma come esseri umani – significa sapere qualcosa di più su noi stessi e sulla nostra identità.
In apertura, foto di Chiara Di Modugno ©