Quando si traccia il profilo del panorama vitivinicolo italiano, spesso si contrappongono le varietà internazionali a quelle tradizionali. Qualcuno si spinge addirittura a decretare una presunta superiorità delle prime sulle altre, in termini di qualità e diffusione. Si tratta però di un grave errore, poiché tutte hanno una propria specificità dettata dai luoghi in cui sono impiantate e dalla tipologia di vini che si intende ottenere.

Per fugare il dubbio che il nostro Paese venga invaso da vitigni forestieri, analizziamo innanzitutto un dato statistico inconfutabile, che vede nella classifica delle dieci varietà più coltivate in Italia soltanto tre uve cosiddette internazionali: Chardonnay, Merlot e Pinot Grigio. Quest’ultimo, poi, all’estero, Stati Uniti in primis, è considerato un vitigno italico per eccellenza.

In secondo luogo, nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite figurano solo una quarantina di cultivar alloctone contro le oltre seicento nostrane.

Abbiamo già parlato in questa rubrica del Sangiovese, primo per diffusione tra i vitigni a bacca nera. Quelli a bacca bianca registrano la supremazia del Trebbiano, che in tutte le sue sfaccettature (toscano, romagnolo, abruzzese, ecc.), spesso senza troppe affinità fra loro, è presente su una superficie intorno ai 50mila ettari. Lo si ritrova anche in Francia – dove giunse probabilmente nel XIV secolo con il trasferimento della corte pontificia da Roma ad Avignone – soprattutto nella Charente e in Guascogna, per produrre rispettivamente, attraverso la distillazione, nobili Cognac e Armagnac.

Le prime menzioni storiche risalgono a Plinio il Vecchio, che nel I secolo a.C. nella sua Naturalis Historia citava il vinum trebulanum, inteso come “vino di fattoria”; il termine trebula faceva infatti riferimento a un insediamento rurale.

Fra tipologie e specificazioni aggiuntive, il Trebbiano compare in Italia in un centinaio di Denominazioni di Origine, ma soltanto in Abruzzo ha la possibilità di rivendicarne una tutta per sé, quella del Trebbiano d’Abruzzo. Il disciplinare di produzione non fa differenza in termini di utilizzo fra Trebbiano toscano e Trebbiano abruzzese; specifica solo che devono essere presenti, da soli o congiuntamente, per almeno l’85%.

Dopo aver conosciuto un periodo d’oro nel secondo dopoguerra, grazie all’elevata produttività e alla sua resistenza alle avversità climatiche e patogene, a partire dagli anni Novanta è stato messo un po’ in disparte a favore di varietà dalle caratteristiche aromatiche più incisive. Oggi, invece, rappresenta uno dei fiori all’occhiello della rinascita del comparto vitivinicolo abruzzese, insieme a Montepulciano e Pecorino.

Tra coloro che hanno sempre creduto nelle potenzialità del vitigno emerge senza dubbio Dante Marramiero, che ha dato vita negli anni Sessanta ai primi insediamenti agricoli a Rosciano, in provincia di Pescara, su terreni appartenenti alla famiglia dagli inizi del Novecento. La realtà produttiva che porta il suo nome viene fondata ufficialmente nel 1993 e tuttora le sue iniziali campeggiano nel logo aziendale e sulle etichette, come segno di riconoscenza e rispetto.

Alla guida oggi c’è il figlio Enrico Marramiero, il quale, animato dagli stessi solidi principi del papà, ha valorizzato ulteriormente l’attività, rendendola un modello di organizzazione e di sviluppo per l’intero comprensorio. I vigneti sono disposti su quattro distinti areali, per una superficie di circa sessanta ettari, e sono condotti con metodi di coltivazione a basso impatto ambientale. Le Tenute Sant’Andrea, Milano e Tratturo si trovano a Rosciano, mentre l’ultima acquisizione, la Tenuta Amarello, è situata nella piana di Ofena, nell’Aquilano, zona conosciuta come il “forno d’Abruzzo” per le alte temperature che si raggiungono nel periodo estivo.

Si produce anche olio extra vergine di oliva: uno da monocultivar Dritta, la pregiata varietà locale, e un altro ottenuto da un blend di olivigni tra i più diffusi nel Centro Italia, come Moraiolo, Maurino, Intosso, Ascolana, Leccino, Leccio del Corno, Perenzana e Frantoio.

Dalla cantina escono mediamente 600mila bottiglie, suddivise in una quindicina di referenze ottenute in prevalenza da vitigni tradizionali come Montepulciano, Trebbiano e Pecorino, a cui si affiancano Chardonnay e Pinot Nero per la produzione di due Metodo Classico.

Il Montepulciano dà vita a ben cinque etichette, tra le quali svettano i blasonati Inferi e Dante Marramiero, probabilmente il più longevo e complesso tra i Montepulciano d’Abruzzo. Senza dimenticare il raro vino cotto Livia, dedicato alla mamma di Enrico, un tributo alla tradizione locale, storicamente prodotto per festeggiare le ricorrenze della comunità: adatto ad accompagnare i dolci, è in grado di esaltare anche i formaggi stagionati.

Per mettere in evidenza il tratto comune delle selezioni aziendali, dotate di una straordinaria capacità di sfidare il tempo grazie a un’accurata gestione dei percorsi in vigna e in cantina, sotto la lente mettiamo il Trebbiano d’Abruzzo Altare.

Si ottiene da un’attenta cernita delle migliori uve provenienti dalle tenute di Rosciano e da quella di Ofena, con terreni profondi e ricchi, di medio impasto, tendenti all’argilloso, e impianti disposti prevalentemente a spalliera. Le forti escursioni termiche, l’anzianità delle piante e le rese molto basse favoriscono il ciclo vegetativo e l’accumulo degli aromi negli acini. La vendemmia, solo manuale, si effettua a maturazione piena, nella seconda metà di settembre. Il mosto derivante dalla pressatura soffice delle uve fermenta direttamente in barrique, con una lunga macerazione sulle bucce. Dopodiché la fase di maturazione si protrae per 18 mesi, sempre in barrique, prima di affinare a lungo in bottiglia.

Una smagliante tonalità dorata combinata a una solida scorrevolezza sono le prime avvisaglie di un certificato di sana e robusta costituzione. Sentori di cedro candito, fiori di acacia, miele di erica e muschio anticipano un elegante bouquet di timo, maggiorana, vaniglia e cardamomo, con ammiccamenti balsamici e iodati nel finale. Malgrado gli anni trascorsi, l’assaggio è una pura essenza di vitalità, dove la sinuosa morbidezza del sorso, lasciata in dote da una corroborante impronta calorica, si lascia sedurre da una rinfrescante sapidità, che dona equilibrio e allunga la persistenza aromatica.

Servito a una temperatura intorno ai 14 °C, trova il suo abbinamento migliore con le pietanze a base di pescato, soprattutto se lievemente speziate, come i gamberi al curry, oppure con le carni bianche della cucina orientale, ad esempio il pollo tandoori.

Trebbiano d’Abruzzo Altare 2017 – Marramiero

Trebbiano 100% – 14,5% vol.

In apertura, foto di Ilaria Santomanco