Rocchetta Tanaro è un piccolo comune del Monferrato, in provincia di Asti, per molto tempo feudo dei marchesi Incisa della Rocchetta. All’interno del borgo sono ancora visibili una torre cilindrica, parte delle mura e alcuni tratti dell’antico castello di proprietà della nobile famiglia.

Il mio paese non è una sorpresa, son dieci vigne, sei case, una chiesa”, recita la canzone scritta dal giornalista Gianni Mura e dallo chansonnier, nonché medico condotto del paese, Paolo Frola, forse con la complicità di un calice di Barbera di Rocchetta Tanaro. 

Qui nel 1961 Giacomo Bologna fonda la cantina Braida; era questo il soprannome che il padre Giuseppe, di professione carrettiere, si era guadagnato nei tornei di pallone elastico per la sua somiglianza con un campione di tale disciplina sportiva. All’epoca una buona parte della produzione, prevalentemente da uve Barbera, era venduta in paese nell’osteria di famiglia.

Giacomo intuisce da subito che il vino ottenuto da quella varietà merita una miglior considerazione rispetto all’immagine corrente di vino semplice e un po’ rustico; si mette dunque all’opera per dargli il giusto risalto. Il primo Barbera imbottigliato è chiamato La Monella, per via della spuma briosa che ricorda la vivacità dei fanciulli nella fase di crescita.

Nel 1969 si presenta al concorso nazionale dei vini Douja d’Or di Asti e vince la medaglia d’oro, circostanza che gli consente di partecipare gratuitamente alle fiere di Genova, Torino e Milano e di incontrare così un pubblico più ampio di appassionati. Sono ancora celebri le cartoline che spediva periodicamente ai clienti per illustrare le novità della cantina.

Si interessa di lui anche Luigi Veronelli, che nel 1971 lo invita in televisione nel programma Colazione allo studio 7, condotto insieme a Delia Scala e Umberto Orsini. Negli anni successivi viaggia molto, studia i modelli di riferimento internazionali, osserva l’evoluzione dei grandi rossi francesi e sperimenta nuovi stili di vinificazione.

La forte amicizia stretta con Veronelli lo porta ad affrontare nel 1982 un viaggio in California insieme a Maurizio Zanella, Mario Schiopetto e allo stesso giornalista. A Napa Valley il gruppo incontra il famoso enologo di origine russa André Tchelistcheff.

Quell’evento trasforma le sue intuizioni in certezze: la Barbera è in grado di esprimere profondità, eleganza e capacità di invecchiamento, al pari dei grandi vini del mondo.

Nello stesso anno, forte di quelle esperienze, decide di far maturare la Barbera in barrique per 12 mesi, dando vita al Bricco dell’Uccellone, il suo vino simbolo, oggi tra le etichette più blasonate dell’enologia italiana.

Nel 1985 nasce il Bricco della Bigotta, da uve Barbera dei vigneti di proprietà a Castelnuovo Calcea; questa volta la maturazione in barrique si protrae per 15 mesi.

Con la vendemmia 1989, sfidando il parere di tutti, enologo compreso, si propone di vendemmiare tardivamente le uve, per ottenere una Barbera ancora più concentrata. Sei mesi dopo, al primo assaggio dalla barrique, esprime il sintetico concetto che dà il nome al vino: “Ai suma!”, ossia “Ci siamo!” in dialetto piemontese. È il suo punto di arrivo. Purtroppo non riuscirà a godersi appieno il successo di quel vino perché viene a mancare il giorno di Natale del 1990.

Dopo la scomparsa di Giacomo, prima la moglie Anna e oggi i figli Raffaella e Giuseppe – con la nuova generazione rappresentata da Giacomo junior, già operativa in azienda – hanno raccolto la sua eredità, contribuendo a rendere Braida un marchio di spessore, senza tradire le intuizioni originali: rispetto per il carattere identitario delle uve e del territorio, curiosità per le nuove tecniche e gli approcci produttivi.

Attualmente l’azienda è strutturata su 70 ettari vitati e dalla cantina escono in media 700mila bottiglie all’anno, suddivise in una quindicina di referenze, tra cui ben sei interpretazioni di Barbera in purezza e una in uvaggio con Merlot e Cabernet. A queste si affiancano vini da vitigni tradizionali (Grignolino, Timorasso e Nascetta) e internazionali (Chardonnay e Riesling), nonché da uve aromatiche come Moscato d’Asti e Brachetto d’Acqui.

La famiglia Bologna ha sempre sostenuto un’idea di vino come veicolo di cultura e identità, testimoniata dal recente wine-resort, un luogo di incontri, degustazioni, formazione e promozione territoriale.

 

Sotto la lente mettiamo la Barbera d’Asti Bricco dell’Uccellone: è il curioso appellativo attribuito in paese a una signora che viveva in cima alla collina dove dimorano le vigne (ossia il bricco), dotata di un naso che ricordava il becco di un uccello e sempre vestita di nero. Tutto questo le valse il soprannome dialettale di “uselùn”.

Dopo una rigorosa selezione in vigna, le uve Barbera sono portate subito in cantina e sottoposte a una vinificazione tradizionale in rosso, con una macerazione sulle bucce di circa 20 giorni a temperatura controllata. In seguito, il vino riposa per 12 mesi in barrique di rovere francese, prima di affrontare l’affinamento in bottiglia per un altro anno.

Sfoggia una veste rubino intenso, arricchita da sfumature granato. All’olfatto sprigiona sentori di confettura di mora, pot-pourri di rosa, china, genziana, liquirizia e legni aromatici, con sottili suggestioni balsamiche in chiusura. Il sorso è ricchissimo e da subito avvolge con vigore il palato, per poi rivelare un’appagante sapidità che accompagna e rinfresca la beva. Il tannino è soffice e la persistenza infinita.

Alla temperatura intorno ai 18 °C, accompagna alla perfezione i grandi arrosti, carni rosse in umido e formaggi stagionati.

Barbera d’Asti Docg Bricco dell’Uccellone 2021 - Braida Giacomo Bologna

Barbera 100% - 16% vol.

 In apertura, foto di Ilaria Santomanco