Negli anni Sessanta l’Italia visse un periodo di profonda trasformazione, conosciuta con il termine “boom economico”. Dopo le difficoltà del secondo dopoguerra, il rapido sviluppo portò all’aumento della produzione – soprattutto nel settore industriale –, all’urbanizzazione e al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Per contro, l’incremento della domanda di lavoro generò una massiccia migrazione dalle campagne verso le città, alla ricerca di condizioni di vita migliori.
La diffusione dei beni di consumo di massa, simboli di una società in rapido mutamento, interessò anche il settore vitivinicolo. Al 1963 si data la promulgazione della legge istitutiva delle Doc e di altri aspetti per razionalizzare il settore. Grazie a questa normativa, il 3 marzo 1966 con un decreto del Presidente della Repubblica furono riconosciuti i primi quattro vini a Denominazione di Origine: Vernaccia di San Gimignano, Est!Est!!Est!!! di Montefiascone, Ischia e Frascati.
Fu un periodo di grande crescita per il vino italiano, grazie all’introduzione di pratiche innovative, in vigna e in cantina, ad opera di personaggi che nei diversi areali di produzione guidarono il cambiamento. Tra questi spicca la figura di Mario Schiopetto.
Nato nel 1930, fin da giovanissimo aveva collaborato con la mamma Angela e il papà Giorgio nella conduzione dell’Osteria ai Pompieri di Udine, situata proprio di fronte alla caserma che ospitava il Corpo. Iniziò ad appassionarsi al mondo del vino da autodidatta, accompagnando il papà nei brevi tragitti sul territorio alla ricerca dei vini in damigiana da servire nell’attività di famiglia. La sua curiosità lo spinse ad assaggiare i vini di rinomati produttori francesi e tedeschi, le cui bottiglie iniziavano a comparire sulle tavole dei migliori ristoranti. Non avendo le risorse necessarie per viaggiare, si fece assumere come camionista da una ditta di trasporti internazionali. Frequentò così l’Alsazia e la Borgogna, ma restò affascinato soprattutto dalla Renania, dove strinse una duratura amicizia con il professor Müller Spath, direttore di una grande azienda di attrezzature per la vinificazione e di una cantina sperimentale a Bad Kreuznach. Fu il professor Spath a suggerirgli l’utilizzo dell’acciaio al posto dei recipienti in cemento e in legno.
Queste esperienze lo spinsero a cercare nel Collio i terreni più adatti per dare vita al suo progetto vitivinicolo, dove poter impiantare le barbatelle acquistate in Francia e mettere in pratica le tecniche acquisite in Germania.
Nel 1965, con la produzione del suo primo Tocai in purezza, vinificato esclusivamente in acciaio, inizia l’era del vino bianco moderno, nel cui ambito i vini del Friuli-Venezia Giulia sono stati per anni un modello di riferimento. Nel 1970 ottenne in affitto dalla Curia i vigneti di Capriva, dove già si produceva il vino per la mensa arcivescovile di Gorizia, e li mantenne in conduzione fino al 1989, quando riuscì finalmente ad acquistarli.
Mario Schiopetto fa parte di quel ristretto gruppo di produttori che, tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta, contribuirono a migliorare i metodi di produzione del vino in Italia.
Dimostrò il suo spirito intraprendente anche nella promozione e commercializzazione dei suoi vini: inviava per posta ad alcune categorie di potenziali consumatori, da produttore pressoché sconosciuto, dei coupon di invito all’assaggio, e si presentava personalmente a casa di chi gli rispondeva per illustrare le caratteristiche dei prodotti. Grazie al rapporto di fiducia che si instaurava, quei clienti diventavano a loro volta ambasciatori, consigliando agli amici i vini degustati, oppure ricercandoli nei ristoranti e nelle enoteche.
Alla sua morte, avvenuta nel 2003, il testimone è passato ai figli Maria Angela, Carlo e Giorgio fino al 2014, anno in cui l’attività è stata ceduta alla famiglia Rotolo, già proprietaria dal 1995 della storica azienda Volpe Pasini a Togliano di Torreano, nei Colli Orientali del Friuli.
Oggi, da una superficie vitata di circa 30 ettari si producono mediamente 250mila bottiglie all’anno, in una gamma dominata dai vitigni a bacca bianca (Friulano, Malvasia, Ribolla Gialla, Pinot Bianco, Pinot Grigio, Chardonnay e Sauvignon) rispetto a quelli a bacca nera (Merlot, Refosco e Cabernet Sauvignon). Due le linee: una porta il nome del produttore, mentre l’altra è definita “del pompiere” e richiama la grafica della prima etichetta servita nell’osteria di famiglia.

Sotto la lente mettiamo il Collio Sauvignon 2022 della linea Schiopetto, la cui prima annata di produzione è datata 1972; si tratta pertanto della cinquantesima vendemmia. Dopo una rigorosa cernita delle uve, si procede con una pressatura soffice, seguita da un breve periodo di decantazione in totale assenza di anidride solforosa. La fermentazione avviene esclusivamente in acciaio a temperatura controllata, con l’utilizzo del pied de cuve, una sorta di “innesco” che aiuta a guidare la fermentazione attraverso un’azione selettiva dei lieviti, riducendo il rischio di proliferazione di quelli indesiderati. Il vino riposa infine sui lieviti per otto mesi.
Giallo paglierino con vividi riflessi verdi. L’incipit olfattivo è spiccatamente varietale, tratteggiato da sentori di foglia di pomodoro, fiori di sambuco, buccia di pompelmo, mentuccia e ortica, seguiti da note di salvia, erba cedrina, timo, e cenni salmastri in chiusura. Il sorso è elegante, avvolgente ed equilibrato, con una marcata sapidità impegnata a governare il lunghissimo finale.
Servito alla temperatura di circa 12 °C, mette in evidenza le sue doti di freschezza, per accompagnare i piatti della cucina di mare, oppure minestre a base di riso, orzo o farro, ma è superlativo con il prosciutto di Sauris leggermente affumicato al legno di faggio.
Collio Sauvignon Doc 2022 – Mario Schiopetto
Sauvignon 100% – 13% vol.
In apertura, foto di Ilaria Santomanco