Per la prima volta – spiega Jaime Lillo nell’ambito della tredicesima edizione di Olio Officina Festival – da quando si è iniziato a raccogliere i dati per monitorare l’andamento delle olivagioni, abbiamo assistito a due campagne olearie brevi, in termini di durata, e anche scarse, per quanto concerne la resa, conseguenze entrambe del cambiamento climatico e dell’aumento delle temperature soprattutto nella stagione della fioritura e della siccità nei Paesi del bacino del Mediterraneo.

“Questo momento  – prosegue Lillo – è coinciso con un’alta domanda di olio da olive, in particolare di extra vergine, soprattutto da Paesi come Usa, Canada, Brasile, Australia. Questa situazione di bassa produzione e alta domanda ha portato inevitabilmente a innalzare i prezzi dell’olio Evo, rappresentando di fatto una sfida per tutti gli attori del settore, compresi i consumatori stessi”.

Che tipo di relazione c’è tra i produttori di olio italiani e i i produttori di olio spagnolo?

Ovviamente c’è concorrenza tra Italia e Spagna, ma in questo momento ciò che è importante è che entrambi i Paesi aumentino la loro produzione, e questo è possibile data l’esperienza e la grande capacità di esportazione.

Credo che questa rivalità sia positiva, e ci conduca a progredire nel settore, soprattutto nel campo nelle esportazioni internazionali.

Come si può ovviare a questa difficile campagna olivicola?

Purtroppo, non c’è una risposta facile e immediata, si articola toccando più aspetti.

L’olivo è una pianta con una grande capacità di adattamento al clima mediterraneo, ed è necessario guardare alle diverse varietà, alle risorse genetiche, a come si adattano ai diversi regimi di temperatura, alle pratiche di coltivazione dell’olivo, alla gestione del suolo, alla potatura e, cosa molto importante, alla gestione dell’acqua di irrigazione.

Questo è ciò che può facilitare l’adattamento dell’olivicoltura e contribuire così alla soluzione del cambiamento climatico. E non va assolutamente dimenticato che l’olivo è una pianta capace di proteggere il pianeta, catturando CO2 e fissando i gas in modo permanente in quella che viene chiamata carbon farming.

In apertura, foto di Olio Officina©