Economia

L’industria dell’olio da olive in Italia secondo Mediobanca

L’olio italiano? Non è più al centro delle attenzioni da tempo, e non è certo una novità. La prima indagine condotta dall’area studi del noto gruppo finanziario ci offre uno spaccato del Paese anche in relazione ai competitori esteri, facendoci intravedere possibili strategie future. Colpisce, in particolare, il profilo generazionale delle imprese. Gli appartenenti alla gen X sono la fascia generazionale più rappresentata (41,2%), seguiti dai baby boomers (37,2%), mentre i millennials sono rappresentati nella stessa misura dei soggetti nati prima del 1945 (10,8%, in entrambi i casi). Per quanto concerne le quote rosa nei board degli oleifici, le donne sono il 14,9%, mentre è doppia la rappresentanza femminile nella compagine proprietaria (31,2%)

Olio Officina

L’industria dell’olio da olive in Italia secondo Mediobanca

L’Area Studi di Mediobanca ha pubblicato la sua prima indagine sull’industria dell’olio da olive in Italia, e questo ci fa molto piacere, visto che il comparto olivicolo-oleario non viene per nulla considerato in Italia. Peccato per quel che emerge, un quadro non certo esaltante, visto che il predominio spagnolo si fa sentire, e non è certo una novità. Si tratta di una panoramica molo utile per inquadrare il settore e riflettere sulle strategie future, ammesso che si abbia voglia ancora di investire.

A questa prima indagine dell’Area Studi di Mediobanca abbiamo collaborato anche noi, fornendo in particolare elementi importanti per il focus riguardante gli oli con attestazione di origine Dop e Igp, oltre che sul tema della sostenibilità.

Quanto agli extra vergini Dop e Igp italiani, questi sono senz’altro numerosi (rappresentano il 32,7% del totale degli oli certificati in Europa), ma di fatto risultano poco incisivi (e non è certo una novità), infatti pesano solo per l’1% del valore della produzione nazionale. C’è qualcosa che non va, al riguardo; si parla tanto di origine, ma poi si certifica poco e nemmeno i consumatori sono così propensi ad acquistare gli oli a indicazione geografica. Un errore nella comunicazione? Uno scarso interesse da parte di chi produce e non si preoccupa di certificare l’origine? Un’assenza di strategie commerciali? Un disinteresse da parte dei confezionatori, delle catene distributive, dei ristoratori e dei consumatori? A cosa serve istituire Dop e Igp se poi percentualmente non trovano concreti e reali consensi? Sicuramente qualcosa non è andato per il verso giusto.

In ogni caso, molto preziosi sono stati in questa indagine di Mediobanca i contributi di alcuni relatori a Olio Officina Festival che hanno argomentato intorno a questi temi così cruciali. Ma l’indagine, ovviamente, si estende ad ampio raggio su tutti gli aspetti del comparto, a partire dall’esame delle cinquanta principali società di capitali italiane il cui fatturato individuale 2022 è stato superiore ai 20 milioni di euro. Interessante, ai fini dio comprendere lo stato di salute del comparto, quanto viene riportato nel rapporto. Intanto, ciò che emerge immediatamente è che nel 2023 il carrello della spesa si è rivelato quanto mai pesante, con un segno +27,3% per il prezzo dell’olio extra vergine di oliva (e in particolare un +17,3% per il 100% italiano). Quanto alle previsioni per il 2024, le vendite sono in aumento del +9,5%, con un +6,8% per l’export. Quanto invece all’andamento del 2023, c’è da registrare un +24,5% per le vendite totali e un +18,1% per ciò che concerne l’export. Riguardo alla produzione, non è certo una novità che la Spagna domini ormai il mondo: rappresenta un terzo del totale. In Italia è come sempre la Puglia a primeggiare (59,3%, con Bari e BAT al 45,7%). Anche riguardo ai frantoi, l’Italia non si può certo paragonare alla Spagna: i nostri oleifici sono quasi venti volte più piccoli di quelli spagnoli, ma questa è cosa risaputa, d’altra parte.

Quanto pesa l’Italia olearia nel panorama mondiale

Nella campagna 2023-2024 la produzione mondiale di olio d’oliva è stimata in 2,4 milioni di tonnellate, in calo rispetto al 2022-23 (-6,3%), dopo il crollo (-24,9%) rispetto al massimo storico (3,4 milioni) toccato nel 2021/22.

L’Unione europea rappresenta il 71,7% della produzione globale: in prima posizione si colloca la Spagna (circa un terzo dei quantitativi mondiali), seconda l’Italia (12%), la Grecia quinta. con l’8,1%, perdendo due posizioni occupate da Turchia (8,7%) e Tunisia (8,3%) le quali, insieme alla Siria (3,9%) insidiano il primato Ue.

Sul podio del 2023, per esportazioni mondiali, si classificano in prima posizione la Spagna, con 781mila tonnellate pari a 4,5 miliardi di euro, e a seguire l’Italia, con 338mila tonnellate e 2 miliardi di euro, quindi la Grecia con 241mila tonnellate e 1,3 miliardi di euro.

La metà dell’export italiano di olio da olive si concentra in tre Paesi: Stati Uniti (29,1% dei quantitativi complessivi nel 2023), Germania (11,2%) e Spagna (10,6%).

L’olio importato proviene principalmente da Spagna (41,7%), Grecia (38,7%) e Tunisia (10,1%).

La bilancia commerciale è in disavanzo strutturale: nel biennio 2022-2023 il deficit è stato più ampio (rispettivamente -315 milioni di euro e -305 milioni) rispetto alla media dal 1991 (-171 milioni di euro).

La scarsità dell’offerta globale ha originato un’esplosione dei prezzi alla produzione dell’olio extra vergine di oliva dal 2019-20 al 2023-24 nei maggiori mercati: quadruplicati quelli spagnoli, passati da 2,04 €/Kg a 8,12 €/Kg, cresciuti di 3,6 volte quelli greci (da 2,14 €/Kg a 7,78 €/Kg), di 2,7 volte quelli italiani (da 3,46 €/Kg a 9,33 €/Kg) che sono al top delle quotazioni.

Nei primi cinque mesi del 2024 si registra tuttavia un rallentamento della corsa: l’incremento dei prezzi italiani ha segnato +6% mentre sono in calo quelli spagnoli (-7,2%) e greci (-8,9%). L’aumento dei prezzi ha inciso sul calo del consumo mondiale di oli da olive, sceso a 2,7 milioni di tonnellate nel 2023-24 (-4,8% sul 2022-23).

L’Italia con 415mila tonnellate è il primo consumatore mondiale di olio d’oliva, in contrazione del 13,3%, seguita da Stati Uniti (368mila, +0,3%) e Spagna (350mila, -2,7%). Per quanto riguarda i consumi pro-capite, la Spagna e la Grecia sono in testa con 7,5 kg a persona, seguite dall’Italia (7,1 kg).

L’Italia è anche il primo importatore mondiale (510mila tonnellate, 2,5 miliardi di euro), ma il 39,2% viene riesportato.

L’industria dell’olio d’oliva italiana nel 2023 e in prospettiva

I maggiori produttori italiani di oli da olive si attendono per il 2024 una crescita delle vendite complessive del 9,5%, più marcata sul mercato nazionale (+10,4%) e meno su quello estero (+6,8%), oltre a un incremento degli investimenti del 53,6% e a un aumento delle spese di marketing dallo 0,3% del 2023 allo 0,5% del fatturato nel 2024.

Il 2023 dei maggiori produttori italiani di olio d’oliva si è chiuso con un’espansione del giro d’affari del 24,5% rispetto al 2022, solo in parte sostenuta dall’export (+18,1%).

I principali canali di vendita sono: Gdo (34,2% del totale), altri operatori industriali (32,2%), privilegiati dalle società che producono esclusivamente olio d’oliva (54,5% dei ricavi del segmento), e intermediari e grossisti (21,4%).

L’HoReCa rappresenta solo il 4% mentre le vendite online sui siti di proprietà il 5,9% (oltre allo 0,2% delle piattaforme generaliste e al 2,1% di altri canali).

Il 43,8% dell’olio da olive sfuso acquistato dai maggiori produttori italiani per successive fasi di trasformazione proviene da imprese olivicole nazionali, con il 35,2% di origine spagnola e il 14,2% greca.

Secondo le elaborazioni dell’Area Studi Mediobanca su dati Nielsen IQ, il prezzo medio dell’olio da olive nella Gdo nel 2022-23 ha raggiunto i 6,25 euro a litro, in crescita del 28,6% sul 2021-2022. Gli aumenti più marcati si sono registrati per le specialità meno care: +36,4% per l’olio d’oliva non extra vergine (5,73 euro a litro nel 2023), +32,8% per l’olio extra vergine di oliva comunitario (5,67 euro), +31% per l’olio extra vergine di oliva non comunitario (5,49 euro), a cui corrispondono le maggiori flessioni dei quantitativi venduti (-17,1%, -11%, -12,7% rispettivamente). Più contenuti gli aumenti dei prezzi degli oli più pregiati: l’olio Evo 100% italiano è cresciuto del 17,3% (7,61 euro a litro nel 2022-2023) e l’olio Evo Dop e Igp del +4,8% (11,95 euro) che intercettano la clientela con minor elasticità al prezzo (consumi calati dell’1% nel primo caso, stabili nel secondo).

L’olio da olive italiano tra specificità regionali e denominazioni

La Puglia è la prima regione italiana per produzione di olio d’oliva con il 59,3% del totale nazionale, di cui il 45,7% dalle province di Bari e BAT (Barletta-Andria-Trani) che dal 2013 hanno compensato i deficit produttivi delle province di Lecce, Brindisi e Taranto interessate dalla Xylella.

Completano il podio tricolore la Sicilia (12,1%) e la Calabria (10,6%); a distanza Toscana (3,3%), Abruzzo (2,9%), Lazio e Campania (entrambe al 2,5%). Pugliese anche il primato della produzione unitaria: 147,5 tonnellate per frantoio, a fronte di 43,7 tonnellate della Sicilia e 31,3 della Basilicata, con la Calabria ferma a 25,8 tonnellate (43,6 tonnellate la media nazionale).

In ogni caso le dimensioni medie dei frantoi spagnoli restano largamente maggiori, con produzioni valutabili tra le cinque e le sei volte quelle pugliesi.

La resa delle olive (litri di olio ogni 10 Kg di olive, in percentuale) tocca i suoi massimi in Liguria (17,2%), che precede Calabria 15,8%, Sicilia 15,6% e Puglia 15,3%.

Le 42 tipologie italiane di olio extra vergine di oliva Dop e le 8 Igp rappresentano il 32,7% dei prodotti del comparto oli e grassi registrati in Unione europea e il 15,3% di quelli tricolore Dop-Igp-Stg del settore alimentare. Questo segmento incide ancora poco, rappresentando il 5,6% dei quantitativi di olio d’oliva prodotti in Italia, pari all’1% del valore della produzione ed è molto concentrato: Puglia (30,7%), Sicilia (26%) e Toscana (21,3%) raccolgono il 78% del valore nazionale. Dal 2020 al 2024 si è ridotto il differenziale di prezzo tra i principali oli extra vergini di oliva Dop e Igp e l’olio Evo passato da 2,3 a 1,3 volte.

Quali governance nel comparto oleario

Al controllo familiare è riferibile una quota prossima ai tre quarti (74,4%) del patrimonio netto, quota che sale al 77,7% se si considerano anche le cooperative.

Il controllo estero rappresenta una quota pari al 22,3% dei mezzi propri. Nei board prevalgono le compagini asciutte (il 38% dei CdA ha un solo componente) e verticistiche (nel 64% dei casi le deleghe operative sono concentrate nelle mani di un singolo soggetto).

Le presidenze (età media 61 anni), sono ricoperte da soggetti relativamente più anziani soprattutto nel caso di cumulo con la carica di Consigliere delegato (69 anni). L’età media del Consigliere è di 56 anni. Gli appartenenti alla Gen X sono la fascia generazionale più rappresentata (41,2%), seguiti dai Baby Boomers (37,2%). I Millennials sono rappresentati nella stessa misura dei soggetti nati prima del 1945 (10,8% in entrambi i casi). Per quanto riguarda le quote rosa nei board degli oleifici le donne sono il 14,9%, doppia la rappresentanza femminile nella compagine proprietaria (31,2%).

In ritardo la rendicontazione della sostenibilità

Solo il 20% dei maggiori produttori italiani di oli da olive redige un bilancio di sostenibilità (il 4% è obbligato perché Società Benefit). Gli SDGs 3 ‘Buona salute e benessere per le persone’ e 12 ‘Consumo e produzione responsabili’ sono indicati in tutti i report di sostenibilità. Gli standard di qualità più diffusi tra i maggiori produttori di olio d’oliva italiani sono quelli rilasciati dal Global Food Safety Initiative (GFSI), a garanzia della sicurezza alimentare: la certificazione BRC è presente nell’82,1% dei casi e quella IFS nel 74,4%, mentre quella che attesta la provenienza biologica dei prodotti arriva all’86%.

In apertura, foto di Lorenzo Cerretani

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