Gentile Direttore,

gentile Redazione di Olio Officina,

scrivo come olivicoltore del Garda dopo aver letto il vostro articolo «Cosa si può dire riguardo all’olivicoltura veneta», nel quale vengono riportati i dati del Rapporto 2024 sulla congiuntura del comparto agroalimentare regionale redatto da Veneto Agricoltura. Desidero portare la prospettiva di chi lavora in campo: nel nostro areale la congiuntura è più fragile di quanto emerga dai dati aggregati, e il quadro non è affatto confortante.

Nel nostro areale gli oliveti sono storia, paesaggio e presidio ambientale. Eppure, negli ultimi anni, la produzione è diventata incerta e spesso insufficiente persino a coprire i costi vivi. Il mutamento delle condizioni climatiche, gli eventi estremi e l’andamento altalenante della mosca dell’olivo mettono a rischio fioritura, allegagione e resa finale. L’alternanza produttiva, accentuata dal clima, trasforma intere campagne in annate “vuote”.

Nel frattempo, i costi non si fermano — potature, difesa, nutrizione, sfalci, manutenzione dei terrazzamenti, manodopera, trasporti — e crescono perché in campo dobbiamo continuamente arginare nuove sfide. Ci ritroviamo così, troppo spesso, senza produzione o con volumi minimi. La domanda di olio c’è, ma manca la produzione.

La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: senza interventi mirati, per molti la prossima mossa sarà l’abbandono degli oliveti. Non sarebbe solo una perdita agricola, ma anche ambientale e paesaggistica: più fragilità idrogeologica, un territorio meno curato, un danno a quell’immagine che sostiene turismo e identità locale.

Vi chiedo, come testata che dà voce al settore, di mantenere alta l’attenzione su alcuni punti concreti:

  1. Misure dedicate all’olivicoltura: sostegni mirati al reddito e alla manutenzione paesaggistica.
  2. Ricerca e assistenza tecnica: investimenti su pratiche resilienti (potatura, irrigazione, gestione del suolo, difesa integrata) e formazione di tecnici specializzati.
  3. Integrazione con turismo e paesaggio: premiare chi mantiene gli oliveti curati come bene pubblico oltre che produttivo.

Servono condizioni concrete per poter continuare a coltivare e custodire il territorio. Occorre un confronto operativo: cosa possiamo fare, concretamente, come sistema — istituzioni, filiera, ricerca e territori — per non arrivare all’abbandono?

Grazie per l’attenzione e per lo spazio di confronto che offrite.

Con stima,

Lettera firmata

Condivido in toto questa preoccupazione. Il fatto è che il nostro Paese da almeno quattro decenni a questa parte non ha voluto far nulla sul fronte olivicoltura.

Mi riferisco sia alla olivicoltura dei grandi numeri del sud (che pure si sono via via ridimensionati, anche in ragione di un alto tasso di abbandono da parte di aziende strutturate che non trovano più remunerativa e soddisfacente la propria attività), sia alle realtà olivicole del nord Italia (che pur ottenendo i favori dei mercati, con le giuste remunerazioni per chi produce, ha tuttavia seri problemi legati in gran parte a una mancanza di coordinamento e di strategie per fronteggiare le anomalie produttive degli ultimi anni).

L’articolo «Cosa si può dire riguardo all’olivicoltura veneta», non è altro che la notizia ripresa tal quale da una analisi condotta dall’agenzia per l’innovazione Veneto Agricoltura, relativamente alla redazione del Rapporto 2024 sulla congiuntura del comparto agroalimentare regionale.

I “tre punti concreti” da lei prospettati sono più che condivisibili, e li sottoscrivo anch’io, punto per quanto, perché esatti e per nulla aleatori. Per agire in tempo, prima di una disfatta generale, deve esserci una assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori coinvolti, in primo luogo quelli istituzionali, che purtroppo latitano, perché non serve fotografare e descrivere la realtà se poi non si agisce concretamente. La realtà olivicola deve essere affrontata ogni santo giorno, non ci si può limitare solo a descriverla.

Io ritengo che le problematiche degli olivicoltori gardesani, ma per estensione direi di tutto il nord Italia, siano prese sottogamba dalle rispettive regioni, perché in realtà ritengono di fatto marginale il peso dell’olivicoltura. E invece bisogna ripartire dai tre “punti concreti” da lei segnalati.

Si parla sempre dell’importante ruolo degli olivicoltori quali “manutentori del paesaggio”, ma è proprio per questo occorre che occorre favorirli e sostenerli con politiche adeguate, che vanno estese anche alla società civile. Tra tutti i punti critici, senza trascurare gli altri, quello di maggiore debolezza è soprattutto la voce “ricerca e assistenza tecnica”. Da me in redazione sono arrivati alcuni olivicoltori, anche della vicina Lombardia, per denunciare lo stato in cui versano le proprie aziende, pur condotte bene, lamentando di essere lasciati soli ad affrontare problemi concreti, sul piano agronomico, che richiedono una operazione collettiva e non solitaria, perché le piccole realtà da sole non possono farcela senza strumenti adeguati.

Sarebbe un grande peccato perdere un patrimonio olivicolo con una grande storia alle spalle.

Si parla da decenni di Piano olivicolo nazionale, senza mai giungere a qualcosa di concreto. Anche in questi mesi è vivo il dibattito, ma l’assenza di attenzioni verso l’olivicoltura del nord è un grave errore che si pagherà a caro prezzo. Le Regioni devono fare la propria parte e sollecitare le istituzioni nazionali ad agire per preservare una olivicoltura che è marginale solo per ciò che concerne i volumi di prodotto, ma non certo per qualità delle produzioni e per capacità di manutenzione del territorio e virtuosa gestione turistica delle rispettive aziende.

Senza produzione, come lei giustamente osserva, la domanda di olio non può certo essere soddisfatta.

Io mi faccio carico di portare queste problematiche nel corso della prossima edizione di Olio Officina Festival, ma non devono mancare le Istituzioni, perché senza un coordinamento che venga dall’alto ogni iniziativa è destinata a perdere di efficacia.

In Veneto avete la fortuna di possedere uno strumento virtuoso quali sono le attestazioni di origine Dop Garda e Dop Veneto. Avere dalla vostra parte tale strumento vi facilita moltissimo, ma è necessario non perdere di vista ciò che sta a monte: gli investimenti sul territorio, e soprattutto l’assistenza agronomica e tecnologica, aspetti, questi, che non possono ricadere solo sui consorzi di tutela, i quali non dispongono di adeguate risorse economiche, ma che richiedono una azione congiunta e grandi investimenti che possono solo apportare vantaggi per tutte le filiere agricole, non solo per quella olivicolo-olearia.

Le auguro una buona olivagione.

Luigi Caricato

In apertura, oliveto gardesano (particolare), foto di Olio Officina