Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

L’estate della cicatrice

Per La Nave di Teseo è dal 3 dicembre in libreria con una nuova raccolta di racconti, Il maiale e lo sciamano, di cui riportiamo un testo in anteprima. Un kamasutra narrativo scandito per quadri onirici

Roberto Barbolini

L’estate della cicatrice

Per gentile concessione dell’Autore, riportiamo uno dei racconti, quello che da’ il titolo al volume. La prossima settimana ne presenteremo un altro. Buona lettura.

L’ESTATE DELLA CICATRICE

E venne l’estate sfolgorante della Cicatrice: l’estate che non dimenticherò mai. Trionfi di cioccolata rosa e verde pistacchio occhieggiavano dai grossi barattoli di vetro nella bottega del droghiere; nel vicino negozio di carni le mosche calavano a sciami sulla bestia appena macellata, mentre Attilio asciugava il coltello nel grembiule sporco di sangue fischiettando con aria distratta. (…)

Nell’ora più calda cercavamo riparo dal sole spietato sotto le fronde del fico o dietro il nocciòlo del giardino (…) Oppure nel buio della grande casa, un buio umido e peloso come un animale. E proprio come un vecchio animale quel buio dagli occhi di vetro e dalla coda di volpe (che avevo visto al collo della nonna in una foto color seppia) emanava un tanfo inconfondibile di pelliccia tarmata e di indumenti rosicchiati dai topi in armadi dimenticati di cui si era da tempo perduta la chiave.

In quegli oscuri accampamenti di stoffe e velluti la Cicatrice viveva rintanata come un pensiero cattivo, che s’insinua e ti cresce dentro (…) Nella penombra tutta la casa ronzava come un’arnia. (…) Ma ecco che il ronzio si fa sempre più forte e si trasforma in un rombo possente: è la rossa motocicletta di mio padre, l’eroica Gilera che in un nugolo di polvere omerica balza improvvisa al centro della pista.

L’altoparlante annuncia il giro della morte; il pubblico annusa l’odore del sangue e applaude festoso come alla corrida. Sgasa e romba la moto in fondo al pozzo circolare, scalpita come un destriero dalle froge fumanti. Il babbo dà un’ultima boccata alla sua solita Serraglio; il fumo della sigaretta sale in lente spirali e la Gilera con un ruggito di belva ci si arrampica sopra in spericolate gira- volte sempre più veloci, sempre più in alto, fino a superare l’orlo del pozzo, e continua a salire fra gli “Ooh!” di meraviglia degli spettatori.

Mio padre sta aggrappato al manubrio, col dorso piegato e la testa un po’ di lato, china sulla moto come se le stesse sussurrando qualcosa. Complici la velocità e la distanza, il casco marrone e la tuta azzurra del pilota si mescolano via via con il rosso fiammingo del suo bolide finché mio padre e la moto volano via in un fioco ronzare di calabrone impazzito, scomparendo in un nugolo di polvere alla svolta della sterrata che porta alla villa.

Invano la mamma prova a inseguirlo con gli scàttini, ormai lo fa solo col pensiero da quando, ragazza, si prese una storta da cui non è mai guarita del tutto e a tradimento le gonfia la caviglia come una mongolfiera, riempiendola delle lamentele e dei rimorsi che fa gravare su di noi ogni volta che la facciamo arrabbiare.

Chini su lombrichi e formiche sotto il sole giallo e sguaiato che percuoteva il giardino, levando di soppiatto lo sguardo verso l’alto, ci pareva a volte di vedere la sua gigantesca caviglia ammonitrice affacciarsi guardinga alla finestra ad arco della torretta e, scavalcato d’un balzo il davanzale, tuffarsi leggera nell’ariosa piscina del cielo. Stupefatti seguivamo la lenta ascesa di quella portentosa caviglia-mongolfiera finché scompariva tra il biancore delle nuvole, lassù nell’azzurro, portandosi dietro i nostri infantili sensi di colpa, e ci lasciava liberi di tornare ai nostri giochi crudeli fra le erbacce impazzite.

In apertura, lo scrittore Roberto Barbolini

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