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Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

La pelle di Liliana Cavani è un film che non convince

Cinevisioni. La rappresentazione espressionistica e visionaria del romanzo di Curzio Malaparte nella versione cinematografica piega verso l'iperrealismo

Andrea Carraro

La pelle di Liliana Cavani è un film che non convince

Ho visto La pelle della Cavani dal capolavoro di Curzio Malaparte (forse il più bel romanzo italiano sulla Seconda guerra, insieme a La storia della Morante) e non mi ha convinto proprio. I motivi sono molti, ma forse il più grave di tutti, è che gli attori, pur grandissimi (Mastroianni e poi anche Burt Lancaster nei panni del generale americano), non stanno a proprio agio nei relativi personaggi. Mastroianni è impacciatissimo, si sente ogni momento che sta recitando, non è mai spontaneo in quei panni del Virgilio-Malaparte coltissimo, raffinato, elegante, un po’ saccente, un po’ cinico, ma anche affascinante, ma anche penetrante mentre ci guida dentro i visceri di quelle plebi napoletane asservite, offese dalla guerra, dal Vesuvio eruttante, da una miseria atavica, ma mai davvero sconfitte, ancora capaci di esprimersi come nella danza rituale dei femminielli (figliata), gay ante-litteram (che idea potente!), una specie di sacra-sacrilega rappresentazione di un parto dal quale viene fuori un satiro in miniatura con un enorme fallo; ancora capaci di reagire eroicamente al nemico, al vero nemico, ai tedeschi, nelle famose quattro giornate, immortalate da Nanni Loy nel capolavoro Le quattro giornate di Napoli, e cioè il Malaparte tridimensionale del romanzo, che è interessante nella psicologia, perché ha un passato fascista da farsi perdonare, per così dire. Ma Mastroianni nel film appare ingessato, più antipatico che altro e le terribili immagini della ragazzina vergine messa in vendita dal padre, quasi come un reperto, alla soldataglia americana, non hanno un sostrato su cui appoggiarsi, e finiscono per apparire eccessive e gratuite. La rappresentazione espressionistica e visionaria di Malaparte piega verso l’iperrealismo, il trompe-l’œil. Insomma, una delusione da una regista anche teatrale a cui il talento non manca.

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