Economia

Quel che non si dice sull’olio

Tutti a stracciarsi le vesti, intimoriti dagli oli importati, ma nessuno che si interroghi sul reale valore dell’olio italiano e, soprattutto, sulla importanza degli extra vergini a marchio Dop. L’origine certificata non ha nulla a che vedere con gli oli mass market, di produzione non italiana, che si trovano abitualmente in commercio. Occorre imparare a comunicare il valore dell’olio italiano, e di quello Dop, al consumatore. Zero polemiche e nessun grido di allarme. Quando si sperimenta la qualità, poi si prende la giusta confidenza e non si è più capaci di abbandonarla

Ciro Zambito

Quel che non si dice sull’olio

Il Consorzio di Tutela dell’olio Dop Val di Mazara – di cui mi onoro di essere il nuovo presidente, dopo essermi insediato lo scorso anno – sta mettendo in atto tutta una serie di attività volte a valorizzare ulteriormente il proprio olio a denominazione di origine protetta. Per noi l’origine ha un significato importante, perché ci permette di distinguerci e caratterizzarci, dando valore e centralità al territorio.

In tutto ciò, le attestazioni di origine sono determinanti, essenziali, fondamentali. Non solo gli oli a marchio Dop o Igp, la commercializzazione dell’olio da olive in Italia garantisce la completa tracciabilità del prodotto lungo tutta la sua filiera, in quanto le prescrizioni normative, obbligano tutti gli attori del comparto a dover comunicare telematicamente, entro sei giorni, tutte le operazioni nel portale SIAN.

Le produzioni a marchio Dop – le quali per loro intrinseca natura sono sinonimo di garanzia e trasparenza in tutta la filiera – prevedono, per di più, la totale conoscenza dei suoli di provenienza delle olive, quelle destinate a produrre l’olio che si avvale della sigla Dop, e per le quali è obbligatorio effettuare le analisi della totalità di olio da commercializzare come Dop, con conseguente emissione di attestati di conformità che precedono le attività di confezionamento e commercializzazione.

Tutto ciò è di per sé un bene, costituendo un grande vantaggio per tutti gli operatori, oltre che per lo stesso consumatore. Così, seppure la commercializzazione dell’olio extra vergine di oliva in Italia garantisca la completa tracciabilità del prodotto, con la mia presidenza, abbiamo inteso fornire un servizio ulteriore al consumatore, il quale in qualsiasi momento, attraverso il codice alfanumerico riportato sul collarino di ogni bottiglia di olio Dop Val di Mazara, può ottenere tutte le informazioni riguardo al confezionatore dell’olio contenuto in quella determinata bottiglia che ha deciso di acquistare e portare in tavola e in cucina. Una operazione rapida ed efficace: inserendo semplicemente tale codice nell’apposita pagina web del consorzio si ricevono le informazioni nel dettaglio.

Questo passaggio per noi è solo un primo step, in quanto nel prossimo futuro tale servizio darà tutte le informazioni relative anche alla specifica produzione, fino ad arrivare alla pianta. Tante informazioni per aggiungere alla qualità del prodotto anche la consapevolezza di ciò che vi sta dietro.

L’obiettivo del Consorzio di tutela è di valorizzare la Dop Val di Mazara e incrementare le aziende certificate, aumentano di conseguenza anche le quantità stesse di prodotto certificabili e certificate.

Secondo la mia e nostra idea – ed evidenzio il plurale perché un consorzio deve esprimersi a nomi di tutti gli aderenti, in quanto è una comunità – il prodotto Dop certificato non ha nulla a che vedere con gli oli mass marketche si trovano abitualmente in commercio e di produzione non italiana.

Noi seguiamo con attenzione tutti i dibattiti in corso riguardanti le importazioni di oli da altri Paesi produttori, e in particolare dalla Tunisia. La produzione Italiana è di circa 300.000 tons. di olio, ma quest’anno sicuramente non si produrranno più di 150.000 tons.

Sono i numeri che parlano: in Italia il fabbisogno di olio da olive è di circa 1.000.000 tons., includendo il consumo interno e la quota destinata all’export. Sono numeri plateali e inequivocabili, che ci devono indurre a riflettere.

Appare evidente che in un simile contesto operativo occorra necessariamente importare olio da altri Paesi (700.000 tons) la differenza di quantitativo indispensabile per soddisfare il fabbisogno italiano, per le aziende che debbano fornire il quantitativo d’olio richiesto dai consumatori.

Tale quantitativo serve dunque per soddisfare il fabbisogno italiano e ammonta appunto a 700.000 tons, pari a oltre il doppio della produzione italiana, un quantitativo che viene importato dai seguenti Paesi produttori:

– SPAGNA, per circa tons 450.000 tons;

– GRECIA, per circa 150.000 tons;

– TUNISIA, per circa 50.000 tons;

– PORTOGALLO, per circa 50.000 tons (in maggioranza gestito da aziende spagnole).

Pertanto, alla luce dei dati messi in evidenza, appare incomprensibile ogni grida allo scandalo o preoccupazione che possa generare l’importazione di olio dalla Tunisia, come pure da altri Paesi.

Sono parole al vento, anche perché c’è inoltre da osservare che essendo la Tunisia un Paese che si trova al di fuori dalla Unione europea, ogni singola importazione proveniente dalla Tunisia è appunto soggetta alle operazioni doganali, con relativi controlli – sia documentali, sia analitici – del prodotto importato. Mentre, per tutto il resto, e quindi per circa 650.000 tonnellate d’olio, non viene effettuato nessun particolare controllo all’attraversamento dei confini nazionali, anche se l’olio di origine comunitaria, a onor del vero, è pur esso sottoposto a dei controlli, ma a campione, da parte delle autorità competenti presso le aziende.

Appare inoltre opportuno specificare che già da diversi anni le aziende olearie (grandi e piccole, ma anche le stesse aziende agricole) siano tenute a tenere (e comunicare) giornalmente qualsiasi operazione di produzione, movimentazione, miscelazione, entrata, uscita dell’olio, indicandone tipologia, origine e quantità.

In poche parole, la tracciabilità di tutto l’olio di produzione italiana e/o di produzione estera (nel caso delle importazioni) è ben visibile, da parte delle autorità competenti, tramite il registro telematico del portale Agea del Ministero Politiche Agricole (sotto il costante occhio del “grande fratello” istituzionale) il quale costantemente vigila e dispone controlli sulle aziende olearie.

Tali controlli, da arte del dicastero agricolo, sono finalizzati principalmente alla verifica del rispetto della rispondenza dell’origine dell’olio acquistato con l’origine dell’olio venduto e alla corretta etichettatura.

In ogni caso, basta recarsi nei supermercati per verificare le etichette delle bottiglie esposte per potersi rendere conto che ormai l’olio da olive viaggia su due distinti binari:

– il primo: con l’olio di alta qualità certificata DOP / IGP / Italiano (costo medio a scaffale, per litro, 10 euro);

– il secondo: con l’olio mass-market – di origine non italiana, Miscela UE e/o non UE (costo medio a scaffale, per litro, 3 / 4 euro).

Di quest’ultimo olio, MISCELA UE e/o non UE, ne viene venduto nei supermercati italiani più del 90%, con una percentuale assai maggiore nei supermercati esteri.

Il rimanente 10% è rappresentato dalle vendite di oli di alta qualità (Dop / Igp e Italiano). Tale 10% è composto dal solo 2% di oli certificati Dop / Igp (alta qualità), mentre il restante 7 – 8% è costituito da olio italiano, con una percentuale ancora minore nei supermercati esteri.

Quindi, a partire dai numeri precedentemente citati, si può dedurre che tutte le importazioni che effettuano le aziende italiane non vanno a danneggiare il mercato interno dell’olio da olive, ma servono a mantenere e soddisfare le richieste delle grandi catene di distribuzione nazionali ed estere. Dalle notizie che ci giungono dagli operatori del settore appare evidente che le aziende olearie italiane fatichino a chiudere i contratti con le grandi insegne della Gdo, anche per pochi centesimi. Le imprese olearie viaggiano sul filo del centesimo per la chiusura dei contratti con questi grandi marchi della Gdo, in quanto la pressante e crescente concorrenza spagnola offre l’olio da olive a prezzi sempre più appetibili rispetto alle imprese italiane. Ciò è dovuto alle migliori condizioni di produzione agricola, ovvero al processo di meccanizzazione, innovazione e industrializzazioni dell’agricoltura, con il risultato che si abbassano i costi delle produzioni agricole.

È un dato questo inoppugnabile. Le politiche agricole della Spagna sono state sicuramente più illuminate e senz’altro più efficaci rispetto alla situazione italiana e alla cecità di molti.

Riguardo al contesto operativo in cui ci troviamo, è doveroso evidenziare come l’Italia da sempre, fino a qualche anno addietro, era il primo paese venditore di olio di oliva nel mondo, sia per quantità che per fatturato.

Un primato perso già da qualche anno, a favore della Spagna, dove hanno già realizzato diversi Piani Olivicoli, a differenza dell’Italia.

Per dovere di cronaca, bisogna anche osservare che le aziende spagnole importano a loro volta olio dalla Tunisia, e che, anzi, nell’ultimo decennio, questo fenomeno è sempre aumentato, a significare quanto la Gdo richieda in genere tali determinati prodotti.

Così, per concludere va precisato che il problema dell’olivicoltura italiana non è certamente la conseguenza dell’olio tunisino o spagnolo, ma è più strutturale, dovuto a un settore che da un lato non si è rinnovato, riducendo gli alti costi di produzione, e dall’altro da un consumatore che va costantemente alla ricerca delle offerte e di oli di media/bassa qualità, in quanto non disposto a spendere la giusta quantità di denaro per acquistare un prodotto certificato, e ciò sia per una questione di educazione alimentare, sia per esigenze strettamente economiche, di mero bilancio familiare.

Il nostro obiettivo, di conseguenza, in un contesto operativo come quello contemporaneo, è di valorizzare al massimo il nostro olio Dop Val di Mazara, un olio di altissima qualità, che nulla ha a che vedere con l’olio di importazione. In tale contesto, nel medesimo tempo, le associazioni agricole di categoria devono remare assieme a noi, come pure assieme alle aziende olearie, perché si deve andare nella stessa e unica direzione: valorizzare i nostri prodotti certificati senza denigrare gli oli importati dalla Spagna o dalla Tunisia o da altri luoghi, in quanto in questo modo, assumendo un simile atteggiamento, si denigra tutto il comparto oleario, facendo di conseguenza male anche al nostro olio Dop certificato.

Dobbiamo far comprendere al consumatore finale – e spetta a ciascuno di noi farlo – l’alta qualità controllata e certificata del nostro olio extra vergine di oliva, e dobbiamo pertanto educare a leggere, sì, e attentamente, le etichette, ma non limitarsi a esse, ma provare, degustare, sperimentare nella propria cucina gli oli di alta qualità e territoriali, soprattutto quelli certificati, con l’origine non solo certa nella loro italianità, ma anche nella loro localizzazione in un areale ben ristretto, come appunto lo sono gli extra vergini a marchio Dop. “Provare per credere”, è una espressione che calza a pennello. Se non si sperimenta la qualità, non può esserci consumatore che la scelga, perché la leva del prezzo non è certo la strada vincente, ma solo la prova del prodotto. Perciò, coinvolgere il consumatore serve a orientarlo nelle scelte, ed è ciò che devono fare i nostri oli a denominazione di origine, per poi passare al 100% italiano. Quando si sperimenta la qualità, poi si prende la giusta confidenza e non si è più capaci di abbandonarla. È il passo che bisogna far compiere ai consumatori. A poco serve denigrare gli altri oli. Occorre fare sperimentare i propri oli. Questo bisogna fare.

La foto di apertura è di Olio Officina

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