Saperi

La coperta rossa

Narrazioni. A soli tre anni dalla scoperta del neurone, Sigmund Freud non poteva certo ancora conoscere i dettagli. Scrive una lettera destinata a un amico, nel 1895: “In una tempestosa notte, in uno di quei momenti di penoso disagio in cui il mio cervello lavora meglio, le barriere improvvisamente si sono sollevate, i veli sono caduti e sono riuscito a vedere tutto…”

Massimo Cocchi

La coperta rossa

“In una tempestosa notte della scorsa settimana, in uno di quei momenti di penoso disagio in cui il mio cervello lavora meglio, le barriere improvvisamente si sono sollevate, i veli sono caduti e sono riuscito a vedere tutto, dai dettagli delle nevrosi fino alle condizioni della coscienza.

Ogni cosa al posto giusto, gli ingranaggi a posto, si trattava di una macchina che, da un momento all’altro, avrebbe cominciato a muoversi da sola.

I tre sistemi di neuroni, lo stato libero e legato della quantità, il processo primario e secondario, le tendenze al compromesso del sistema nervoso, le due leggi biologiche dell’attenzione e della difesa, i segni della qualità, della realtà e del pensiero, la situazione del gruppo psicosessuale, la determinazione sessuale della rimozione e, infine, i fattori che provocano la coscienza in quanto funzione percettiva: tutto concordava e concorda ancora.

Io, naturalmente, riesco a stento a contenere l’entusiasmo.”

Così scrive Freud a un amico nel 1895.

Siamo a soli tre anni dalla scoperta del neurone e, quindi, non poteva certo ancora sapere i dettagli del neurone, come poi descrive in un disegno che accompagnala lettera.

Cioè che la caratteristica di membrana del neurone con i suoi recettori, che si espongono all’interno o all’esterno della membrana, condiziona l’ingresso della serotonina, la sostanza della cosiddetta felicità, e non poteva sapere che la percezione cosciente sarebbe stata ipotizzata in un gioco molecolare della cellula che coinvolge la mobilità della membrana e altre strutture cellulari quali il citoscheletro, i microtuboli e il raft lipidico.

Un genio, una sorpresa nella notte.

Già, la notte.

Un’invenzione della sfera celeste per lasciare l’uomo, solo, con la sua intimità, fuori dalla luce e dai rumori che, invece, pur consentendo di vedere la bellezza, non lasciano spazio all’intimo piacere della riflessione, ma incalzano il pensiero verso mille distrazioni che, nella luce, sembrano confondere mente e coscienza.

La notte.

Quel momento magico dove, ogni volta, dipingi il quadro della tua vita.

Dove le pennellate si susseguono e tracciano la strada del racconto e dei ricordi del tempo che ti ha accompagnato.

Il momento in cui bene e male sembrano trovare una sintesi nel compromesso, o tu sembri creare il compromesso con le ombre e le luci della tua vita.

La mia notte, ora, è accompagnata da una coperta rossa, già da una coperta rossa e dalla sua storia.

Fra le tante difficoltà che ho nel dare spazio e tempo alle vicende della vita ho, invece, bene in mente quando la coperta rossa fece l’ingresso nella mia casa, quasi dieci lustri fa.

La coperta rossa, un giorno fu piegata e riposta in un armadio, era quel giorno che dava termine alla sacralità della mia famiglia intesa nella sua interezza.

La coperta rossa, ripiegata più volte, nascondeva o meglio, conservava quei pensieri notturni che raccontavano le gioie e dolori di una vita in comune, gli affanni quotidiani e il tempo della costruzione.

Quel tempo era diventato maggiorenne e un tragico evento ripiegò la coperta rossa quasi a sottolineare che il suo compito era finito.

La coperta rossa, quasi con una percezione cosciente, come diceva Freud, si richiudeva in se stessa e si nascondeva.

Non voleva che altri entrassero nelle sue pieghe per carpirne i ricordi.

E così, la coperta rossa, rimase, per tanti anni, in silenzio a pensare cosa ne sarebbe stato del suo destino.

Arrivò un giorno in cui la coperta rossa si ricongiunse al suo letto.

Si aprì fra mille timori.

Pensava, chissà se il tempo avrà segnato pieghe incancellabili, chissà se il mio colore rosso cardinale sarà sfumato.

E, invece, si aprì e i timori furono fugati, il rosso splendeva e le pieghe si distesero.

Era trionfante della sua ritrovata bellezza.

Era ritornata alla vita e aveva voglia di riprendere un conversare che si era interrotto tanti anni prima.

Voleva sapere perché tornava a ricoprire il suo ruolo e mi accoglieva notte dopo notte.

Voleva sapere, voleva capire perché l’avevo lasciata dormire tutto quel tempo.

Era preoccupata di questo nuova avventura.

Era arrivata con la felicità, se ne era andata con il dolore, perché adesso, di nuovo fuori ad ascoltare i miei pensieri?

C’era, forse, un nuovo tempo di felicità?

Avrebbe, di nuovo, potuto sorridere?

Per la prima volta nella mia vita mi trovavo in imbarazzo a dare spiegazioni, la mia arroganza si confondeva e balbettava.

La coperta rossa se ne accorse e non fece più domande, si era abituata al silenzio.

Trascorrevano notti dopo notti e percepivo, nella sua riservatezza, il suo imbarazzo, la sua delusione.

Come, ti avevo accompagnato in tanti anni di vita felice e adesso non mi racconti nulla.

Io so che, ora, hai bisogno di me, altrimenti non sarei qui ad avvolgerti.

Forse hai ritrovato la felicità?

Mah…

Ho bisogno di tempo, coperta rossa, di tempo per capire, l’importante è che adesso siamo di nuovo insieme.

La coperta rossa si tacque nuovamente, aveva capito che non ero ancora pronto e con pazienza aspettava che la sollevassi ogni mattina e la rimettessi in perfetto ordine.

Non amava le pieghe distorte, l’avevano fatta troppo soffrire, non amava le asimmetrie, non amava sentirsi a disagio.

Aspettava, con pazienza, notte dopo notte, che le rivolgessi la parola.

Che le dessi delle spiegazioni per le quali mi era difficile trovare le parole.

Eppure, dovevo farlo e lo feci in una notte tempestosa, come Freud.

In un temporale d’estate, improvviso e violento, con il vento che spazzava la pioggia facendola cadere lontana dalla sua traiettoria naturale, una notte dove la forza degli eventi può ripulire anche il cervello e farti vedere.

Si, come a Freud, mi era tutto chiaro, la coperta rossa aveva capito che era giunto il momento della verità e mi si strinse addosso, quasi a proteggermi.

In quel momento le raccontai di un pezzo di vita che un annuncio, violento per l’anima e improvviso, aveva cambiato.

Aveva cambiato la percezione dei sentimenti e degli affetti.

Aveva aumentato la fretta di vivere, di fare, aveva reso insopportabili le attese.

Aveva dato al tempo una dimensione diversa da quella che conoscevo.

Mi giungeva una percezione del tempo, a me che avevo dissertato sul tempo futuro dimostrando, probabilmente anche in modo opinabile, che non esiste, che era diventata improvvisamente reale.

Il tempo, un tempo che non sapevo più cosa fosse, guardavo gli affetti che avevo intorno e che sembravano apparire come d’incanto, come la coperta rossa, a forzarmi di credere che il tempo aveva un senso, il senso di una vita.

Tutto mi ricordava il tempo e mi raccontava dei momenti in cui, quegli oggetti che mi circondavano, avevo smesso di guardarli, quasi a disconoscere il ricordo di cose preziose per l’anima che avevo raccolto in una vita.

Non erano cose inerti, erano vita e allora ricordai ogni momento che me li aveva fatti incontrare, che li aveva messi sulla mia strada.

Quei ricordi erano un carico pesante e ingombrante e, in quella notte di tempesta, mi parlavano tutti assieme.

Ciascuno di loro mi raccontava, meglio mi ricordava, del momento in cui l’avevo scelto e mi ringraziava per averlo rimesso al proprio posto.

Già, al loro posto, ma quale era il mio posto? non l’avevo ancora capito, forse il mio posto era solo uno, con loro in mezzo a loro che mi guardavano e mi spingevano a ricordare il tempo felice.

Dopo quel tempo non avevo cercato nuovi oggetti, sarebbero stati presenze anomale e indesiderate, loro, gli altri, quelli della vita, mi avrebbero capito?

Era come se mi dicessero…guardaci bene perché siamo noi il tuo tempo.

Mi sentii in colpa per averli così a lungo allontanati dai miei pensieri.

La coperta rossa capì il mio turbamento, capì il mio conflitto fra un tempo passato e un tempo futuro di cui non ho dimensione ma solo effimera speranza.

La coperta rossa si avvolse a me, sempre più stretta e mi chiese di non ripiegarla mai più per riporla in un cassetto.

Quella notte di tempesta cessò, mi alzai e rassettai la coperta rossa con cura sul letto. Lei non meritava tutte le pieghe che le avevo procurato, come quelle che avevo fatto della mia vita.

La coperta rossa mi guardò e disse: starò sempre con te.

La foto di apertura è un dettaglio dell’opera di Caravaggio ” San Girolamo Penitente”

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