Saperi

Processo a un frantoiano

La morte di un giovane operaio dopo fulminante malattia, la denuncia della vedova, l’inchiesta giudiziaria tra interrogatori, autopsie, dibattimenti in aula. La condanna dell’imputato e poi il giudizio di appello. Una vicenda terribile, lunga e penosa, senza il supporto delle associazioni di categoria

Luigi Caricato

Processo a un frantoiano

Tranquilli, correvano alri anni. Siamo alla fine dell’Ottocento. In Puglia, nel Salento. Della tristissima vicenda a scriverne è Fulvio Filo Schiavoni. Un libro impeccabile, che si legge come un romanzo. Ed è in effetti un saggio narrativo, dove si racconta una storia vera, come tante alòtre sicuramente sono state vissute in altre epoche. Senza che i lavoratori godessero della minima considerazione.

Il libro, che consiglio di leggere, giusto per avere il quadro della realtà, in tempi non poi così lontani, ha per titolo Il cavallo farcinoso, e per sottotitolo Processo per la morte nella Manduria di fine ‘800. Il volume è edito da Parva sed apta mihi.

Partiamo dai fatti. Un giovane operaio di manduria, in provincia di taranto, lavorava in un frantoio a trazione animale. In Puglia si chiamavano trappeti, allora; e ancora oggi si ricorre a tale espressione: trappitu. Cosa è accaduto? Il giovane operaio è morto a seguito di una mallattia trasmessa da uno degli animali che muoveva le macine. Era un ronzino ammalato, con ogni probabilità di morva o farcino. Da qui il titolo di cavallo farcinoso.

La malattia era dunque contagiosa e il proprietario del frantoio, Vincenzo Filotico, tra i più ricchi del paese, era stato incriminato per quella assurda morte del giovane trappetaro Santo Perrucci, segno di grande incuria e superficialità. Il libro di Filo Schiavoni è nato quasi per caso, perché l’autore si è ritrovato gli atti del processo e ne ha voluto scrivere ricostruendone punto per punto la vicenda. Oltre al Filotico a essere processato è stato anche il veterinario, Agostino Schiavoni.

Il motivo per cui è stato scritto il volume è per conservare la memporia del passato, affinché non si parli vanamente di tradizione senza poi conoscere quel che c’era dietro al mondo del mlavoro di allora. Oggi si tende a idealizzare il passato, senza avere la minima sensibilità di entrare in quel mondo, di indagare su ciò che è stato, sulel condizioni di vita, miserabili, dei lavoratori di quel tempo.

L’Ottecento è stato un periodo difficile, nei suoi ultimi anni. L’olivicoltura era attraversata da uno stato di crisi terribile. Il raccolto delle olive decimato dalla mosca olearia, i prezzi dell’olio bassi, le frodi, con al comparsa sulla scena, dei miscugli di oli di seme, per lo più quelli ricavati dal cotone, i più economici allora, e gli oli da olive.

Gli usi industriali dell’olio venivano meno, venendosi a creare altre alternative. Non aveva più un mercato l’olio lampante destinato all’illuminazione, e nemmeno quello finalizzato alla lavorazione delle lane. I saponifici dal canto loro erano attraversati da un momento di grande crisi. Le condizioni dei lavoratori soprattutto in un momento di grande crisi non erano le migliori immaginabili per l’epoca. Paghe miserevoli, lavoro disagevole, condizioni di vita che oggi aparirebbero disumane. Non c’era ancora la concreta possibilità di essere aiutati concretamente nella tutela dei propri diritti.La Lega dei contadini non era ancora nata. La paga giornaliera era sufficiente appena per due chili di pane.

Il trappeto in questione era definito a trazione animale. A Manduria ve ne erano venti, di oleifici simili per macinare le olive, e soli tre erano a vapore. Ci pare qualcosa di molto lontano, in realtà solo fino agli anni Trenta del Novecento esistevano ancora frantoi mossi da trazione animale.
Il lavoro era massacrante, l’igiene latitante.

Nemmeno i lavoro in campagna erano facili. Chi non consegnava la cesta piena di olive nei tempi indicati rischiava il licenziamento. Si iniziava al mattino prsto per finire la sera, per un raccolto medio giornaliero per donna raccoglitrice di circa un quintale di olive. Si raccoglieva a “pizzicu”, ininterrottamente, da terra.

Santo Perrucci poteva solo ringraziare il cielo per l’opportunità che aveva di lavorare in frantoio. Aveva 28 anni. La sua sfortuna fu di aver lavorato fianco a fianco con un cavallo affetto da una malattia contagiosa. Il veterinario pensava si trattasse di una semplice costipazione, e il proprietario del trappeto pensò bene di metterlo al caldo di un frantoio, per ristabilirsi lavorando. Il cavallo fu curato con un decotto di camomilla!

I lavoratori furono assicurati per la loro salute. Non poteva succedere nulla. Invece a metà dicembre Santo Perrucci iniziò a star male, colpito da una fstidiosa febbre. Il medico che lo curò disse che si trattava di uan malattia tifoidea. La causa: le pessime condizini igieniche. Inziiarono a formarsi dell pustole sul viso e un “moccio fetido usciva dal naso”.

Ci si accorse che il problema era più grave di quantpo si potesse immaginare. Venne chiuso il frantoio, abbattuti i due animali, le carcasse disinfettate e interrate.

La vedova di Perrucci scelse la via giudiziaria. Il proprietario del frantoio fu accusato di omicidio colposo. L’autore del libro racconta scendendo nei particolari, tracciando una cronistoria esatta e impeccabile, dura e dolorosa, inquietante anche per gli sviluppi che en seguono.

Anche Gregorio Renna, un altro operaio si ammalò pochi giorni dopo la chiusura forzata del frantoio. Era il 9 gennaio 1897. La storia assumeva contorni sempre più complessi. Si iniziava a trattare. Filotico e il suo veterinario furono rinviati a giudizio per omicidio. Il processo ebbe inizio il 17 novembre del 1897 a Taranto. La sentenza fu di condanna: venne inflitta una pena minima di detenzione, di dieci mesi, e il pagamento di 1666 lire più le spese. Vennero accettati i benefici per via dei buoni precedenti penali degli imputati. Puntualmente il giorno dopo fu presentata domanda di appello. Si tenne a Trani il processo il giorno 31 marzo 1898. La Sentenza? Fu di assoluzione, in quanto non provato la colpevolezza, sia del proprietario del trappeto, Filotico, sia del veterinario, Schiavoni. Non solo: la Corte di Appello mise perfino in dubbio che la malattia fosse la morva.

Il trappeto di Filotico tornò a macinare le olive. Fu attivo fino a poco prima della seconda guerra mondiale. Vincenzo Filotico morì a 87 anni, dopo una vecchiaia serena, nel 1937.

Fulvio Filo Schiavoni,

Il cavallo farcinoso. Processo per la morte di un trappetaro nella Manduria di fine ’800,

prefazione di Gianni Iacovelli,

postfazione di Giancarlo Valente,

pp. 160, Parva sed apta mihi, Manduria 2012,

edizione fuori commercio

La foto di apertura è di Luigi Caricato. La foto nel corpo dell’articolo ritrae Luigi Caricato, a sinistra, in compagnia dell’autore del libro, Fulvio Filo Schiavoni

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