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Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Belle scene non garantiscono un bello spettacolo

La tempesta di William Shakespeare - nella traduzione, adattamento e regia di Alessandro Serra - ripropone una bellissima scenografia e splendidi abiti, ma lo spettacolo risulta essere una sorta di vaudeville con battute legate all’oggi, in cui il pubblico ride, ma … tutto scompare senza lasciare traccia

Mariapia Frigerio

Belle scene non garantiscono un bello spettacolo

La tempesta fu l’ultimo tra i grandi drammi shakespeariani ed è considerato una sorta di malinconico commiato.

Scriveva infatti di quest’opera Glauco Mauri, già Caliban nel ’57 accanto a Salvo Randone, come di un «meraviglioso groviglio di poesia e di vita, così intriso di malinconia, che ci donò un Cantore Sublime dell’animo umano quando forse avvertiva l’avvicinarsi della sua fine».

Poi, divenuto lui stesso regista dell’opera nel ’95 e interprete di Prospero scriverà: «Molti dicono che La tempesta sia il capolavoro di Shakespeare, io non lo so, ma tutto è superato da una commossa e a volte disperata meditazione sulla condizione umana».

Famosi i paralleli tra le arti magiche di Prospero e l’illusione teatrale, come noti i temi dell’usurpazione e della magia e il fatto che Shakespeare fosse a conoscenza del testo di Montaigne Dei Cannibali del 1603.

Ma veniamo in breve alla vicenda che si svolge in un’isola del Mediterraneo non precisata, in cui Prospero, duca di Milano, è esiliato e trama, con le sue arti magiche, per riportare la figlia Miranda al posto che le spetta. Così, mentre suo fratello Antonio e il suo complice Alonso, re di Napoli, stanno navigando di ritorno da Cartagine, Prospero invoca una tempesta che rovescia i passeggeri, incolumi, sull’isola.

Con le sue abilità magiche e con l’aiuto del servo Ariel, spirito dell’aria, Prospero svela la vera e malvagia natura di Antonio, riscatta il re, e fa sposare sua figlia con il principe di Napoli, Ferdinando.

Veniamo ora allo spettacolo visto al Carignano.

«Perché avete scatenato la tempesta?» dicono voci registrate fuori scena, poi ascoltiamo le vere voci degli attori, quelle di Prospero, di sua figlia Miranda, dello spirito Ariel, tutti vestiti di bianco, mentre veli neri creano l’effetto del mare in burrasca.

Il vero dramma della vecchiaia è di poter operare confronti e i confronti sono sempre a scapito di qualcuno.

Questo è quello che ci è successo quando abbiamo assistito alla rappresentazione della Tempesta shakespeariana, con regia e adattamento di Alessandro Serra, perché immediatamente la mente ci ha riportato a quella di Strehler.

Sul palco del Carignano, Prospero, grande tessitore di trame, interpretato da Marco Sgrosso, è una figura opaca, seppure a volte ironico, non paragonabile a quello di un attore della finezza di Tino Carraro.

Da sinistra Maria Irene Minelli, Marco Sgrosso

Ariel è invece una brava Chiara Michelini che sopporta bene il confronto la meraviglia di Giulia Lazzarini appesa a un cavo d’acciaio nello spettacolo strehleriano del 1978, la stessa Lazzarini che, nello spettacolo del ’57, con Randone, interpretava Miranda.

Chiara Michelini

C’è poi Caliban, il selvaggio dell’isola, colui che ha tentato di violentare Miranda, un ottimo Jared McNeill che non è da meno del giovane Michele Placido nello spettacolo del secolo scorso.

Jared McNeill

Echeggiano poi frasi celebri come il naufrago che definisce il dolore «cancro della bellezza» oltre a quella celeberrima sui sogni, ma l’uso (abuso) del napoletano infastidisce con la citazione di Totò, «questo volto non mi è nuovo», pur sapendo che a tradurre in napoletano si era dedicato perfino il grande Eduardo.

Ascoltiamo ora quanto ci dice il regista del suo allestimento: «Ma il potere supremo – pare dirci Shakespeare – è il potere del Teatro. La tempesta è un inno al teatro fatto con il teatro la cui forza magica risiede proprio in questa possibilità unica e irripetibile di accedere a dimensioni metafisiche attraverso la cialtroneria di una compagnia di comici che calpestano quattro assi di legno, con pochi oggetti e un mucchietto di costumi rattoppati. Qui risiede il suo fascino ancestrale».

Qui, però, non abbiamo l’idea di costumi rattoppati, ma di splendidi abiti coloratissimi del ‘600 che, con effetto dirompente, scendono dall’alto, su un lungo bastone, per vestire i naufraghi.

E infatti sia la scenografia sia i costumi sono bellissimi e sono dello stesso Serra che firma non solo la regia e l’adattamento, ma anche le scene e, appunto, i costumi.

Dei suoi maestri prediletti (Brook, Kantor, Grotowski, Bausch) non si vede traccia però, perché lo spettacolo risulta essere una sorta di vaudeville con battute legate all’oggi, in cui il pubblico ride, ma… tutto scompare senza lasciare traccia.

In apertura, da sinistra Jared McNeill, Vincenzo Del Prete, Massimiliano Poli. All’interno e in apertura, foto di Alessandro Serra

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