Corso Italia 7
Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of LiteratureDiretta da Daniela Marcheschi
Frammenti di un epicedio e La danzatrice. Due poesia di ELIO PECORA, tradotte in francese da Jean Portante e pubblicate sulla rivista Transkrit, nel marzo 2014.
Frammenti di un epicedio
…Il corpo della madre
è un porto mai raggiunto,
pure è di là che parte,
– ne parte per tornare
e ripartirne il figlio.
Di quel cavo ha sentito
la perdita, il distacco,
quindi un lungo vagare
nei recinti del mondo,
inebriato, deluso,
dentro il sogno confuso
di un’iniziale, persa,
colma felicità.
Nel corpo della madre
– logoro sacco d’ossa,
di liquami –
negli occhi che s’attendono
ancora la salute, l’allegria,
un’ uguale promessa,
il primo patto,
l’unica immedicata nostalgia.
E un altro cavo,
un altro e un altro ancora
fino al solco, alla mota,
mai più la madre e il figlio,
non il dopo né il prima,
paradiso/giardino,
irrinunciabile ruota.
Che sa l’uno dell’altra?
Pure andarono insieme
lungo molte stagioni
– anche lontani, ignari,
stretti in diverse pene,
per diversi stupori.
E ciascuno portò la sua fatica,
ciascuno fu portato
là di dove sarebbe partito,
dove sarebbe tornato.
… C’è un punto nelle viscere,
lungo le arterie, pulsa nella fronte,
alita in petto,
incespica nei piedi:
a volte il desiderio lo intravede:
è un lume che vacilla, una domanda
persa dentro il rumore:
in quel punto ciascuno
si dà un nome e un cammino,
vi conserva il bagaglio
pesante, rattoppato
che chiamano destino.
Due che andarono, soli,
padre figlio fratello,
madre figlia del figlio,
linfe fasciate d’ossa,
dissimili e uguali,
prima dell’ansia,
prima dell’attesa.
Da quali lontananze
si muove questa voglia
di restare?
L’ora si sfalda,
la parola si stinge sulla bocca,
nella domanda estrema
la risposta.
In che vale l’impresa?
Pure è questa la stanza
da abitare,
nel recinto la rocca.
Le luci s’accorpano d’ombre
nell’arduo consuntivo,
s’affiocano gli echi, le torme
delle ansie scancella
l’accordato motivo.
L’antico patto è scaduto,
la vigilia è trascorsa,
l’ora pone il suggello
sull’ultima porta.
Resta nel corpo del figlio,
nel sangue della memoria,
il corpo materno, riannoda
nelle minuscole storie
l’inarrestabile storia.
Tanto può rendere solo
alla madre il figlio:
strette arrese parole,
residui di un’allenza,
scompaginato cartiglio….
Fragments d’un epicedion
… le corps de la mère
est un port jamais atteint,
pourtant c’est de là qu’il part,
– il en part pour revenir
et en repartir le fils.
De ce creux il a senti
la perte, le détachement,
donc un long errer
dans les enclos du monde
enivré, déçu,
à l’intérieur du rêve confus
d’une initiale, perdue,
comble de bonheur.
Dans le corps de la mère
– sac d’os épuisé,
de purin –
dans les yeux qui s’attendent
encore à la santé, la joie
une promesse identique,
le premier pacte,
la seule nostalgie fardée.
Et un autre creux,
un autre et un autre encore,
jusqu’au sillon, la boue,
plus jamais la mère et le fils,
pas l’après ni l’avant,
paradis/jardin
indispensable roue.
Que sait l’un de l’autre ?
Pourtant ils ont parcouru ensemble
bien des saisons
– même lointains, ignorants,
serrés dans plus d’une peine,
plus d’une stupeur.
Et chacun a porté sa lassitude,
chacun a été porté
là d’où il serait parti,
où il serait revenu.
… Il y a un point dans les viscères,
le long des artères, il bat dans le front,
halète dans la poitrine,
trébuche dans les pieds :
parfois le désir l’entrevoit :
c’est une lampe qui vacille, une question
perdue dans le bruit :
à ce point chacun
se donne un nom et un chemin,
il y conserve le bagage
lourd, rapiécé
qu’on appelle destin.
Deux qui sont partis, seuls,
père fils frère
mère fille du fils,
lymphes langées d’os,
différentes et pareilles,
avant l’angoisse,
avant l’attente.
De quels éloignements
part cette envie
de rester ?
L’heure se clive,
la parole se déteint sur la bouche,
dans la question extrême
la réponse.
À quoi bon l’entreprise ?
Pourtant c’est ça la chambre
à habiter,
dans l’enceinte de la roche.
Les lumières font corps avec les ombres
dans l’ardu bilan,
s’affaiblissent les échos, les meutes
des angoisses s’efface
la raison accordée.
Le pacte ancien a expiré,
la veille est passée,
l’heure pose son scellé
sur la dernière porte.
Reste dans le corps du fils,
dans le sang de la mémoire,
le corps maternel, renoue
dans les minuscules histoires
l’inarrêtable histoire.
Tant peut restituer seulement
à la mère le fils :
des paroles étroites qui se rendent,
résidus d’une alliance,
cartouche déboussolé.
La danzatrice
Nel silenzio di pietra si prepara
la ragazza alla danza.
Fra un istante le braccia come rami
mossi da un vento lieve
disegneranno l’aria.
Si scioglieranno i piedi
dall’opaco pianeta che si sfalda.
Sarà luce che guizza,
fiore dischiuso, nube
di continuo mutante,
suprema simmetria
di un Eden senza porte:
inebria il cuore e gli occhi
e li trattiene
per un piacere che non ha durata.
La danseuse
Dans le silence de pierre se prépare
la fille à la danse.
Dans un instant les bras comme des branches
mues par un vent léger
dessineront l’air.
Se détacheront les pieds
de l’opaque planète qui se clive.
Ce sera lumière qui vacille,
fleur entrouverte, nuage
sans cesse changeant,
suprême symétrie
d’un Eden sans portes :
enivre le cœur et les yeux
et les retient
pour un plaisir qui n’a pas de durée.
Traduit de l’italien par Jean Portante
ELIO PECORA è nato nel 1936, vive a Roma, ha pubblicato libri di poesia, di prosa, di saggistica, testi teatrali, libri per l’infanzia. Ha curato antologie di poesia italiana contemporanea e raccolte di fiabe popolari. Ha collaborato a lungo per la critica letteraria a numerosi quotidiani, settimanali, riviste e ai programmi culturali della Rai. Fra i suoi libri di poesia più recenti: Favole dal giardino, Empiria 2004 e 2013; Simmetrie, Mondadori 2007; Tutto da ridere?,Empiria 2011; Nel tempo della madre, La vita felice 2011; In margine e altro, Oedipus 2011.
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