Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

I viaggi di Eracle

Ritornare ai classici. Per quanto assurto a simbolo per eccellenza del viaggiatore curioso e infaticabile, Ulisse non è il solo personaggio della mitologia classica a perlustrare il mondo fino ai suoi estremi confini. C’è per lo meno un altro eroe che compete con lui per la quantità dei suoi spostamenti, anche se nell’immaginario occidentale esso ha finito con l’identificarsi più con la forza fisica imbattibile che non con la curiosità del viaggiatore: questo eroe è naturalmente Eracle, che costella della sua presenza l’intero mondo antico

Anna Ferrari

I viaggi di Eracle

“I veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre ‘Andiamo’, e non sanno perché”: così scriveva Charles Baudelaire ne Il viaggio, nella traduzione di Giovanni Raboni.

Chi si occupa di mitologia classica sa bene che essa trova la sua dimensione privilegiata nell’andare: implica un continuo dislocarsi tra luoghi e popoli leggendari, un imprevedibile viaggio letterario attraverso le terre più fantasiose, un movimento di palloncini, come diceva Baudelaire, spinti spesso dal caso; ma sa anche che esisteva uno stretto rapporto tra quelle terre immaginarie e il mondo reale che Greci e Romani conoscevano. Intraprendere un viaggio in poltrona attraverso la geografia fantastica del mondo antico significa scoprire che alla fine del percorso non è solo l’universo mitico ad apparire delineato nei suoi contorni, ma l’intera realtà – geografica, storica, culturale – del mondo classico.
Plutarco, nel suo scritto dedicato a Iside e Osiride, dice:

“All’interno dei miti è racchiuso un tentativo di spiegare i propri dubbi e le proprie esperienze. I fisici dicono che l’arcobaleno è dovuto a un fenomeno di riflessione del sole, e che i suoi colori si rivelano solo se noi lo osserviamo contro uno sfondo nuvoloso: così per noi mortali il mito non è altro che il riflesso di una realtà trascendente, che obbliga la nostra intelligenza a rivolgersi verso altri oggetti” (Plutarco, Iside e Osiride, 358 F-359 A; traduzione di Marina Cavalli, in Plutarco, Iside e Osiride, introduzione di Dario Del Corno, Adelphi, Milano 19944).

La mitologia ci sfida a vedere quale realtà si rifletta nei mondi meravigliosi nei quali sono ambientati tanti dei suoi racconti. In molte leggende e tradizioni popolari nel punto dove si origina l’arcobaleno si cela un tesoro; lo scopo di chi si interessa alla geografia mitica sarà appunto di andarlo a cercare.

Gianfranco Folena (nella Premessa a “Quaderni di poetica e di retorica”, I, 1985, numero monografico) aveva osservato che tutta la letteratura, in ultima analisi, può essere descritta come una infinita sequenza di racconti di viaggio, e che il viaggio costituisce il tema letterario per eccellenza, declinato in forme innumerevoli: come viaggio vero e proprio, di ricerca, di scoperta, di fuga, di ritorno; come viaggio metaforico, alla ricerca di qualcosa o di qualcuno, o come indagine dentro sé stessi; come viaggio della fantasia, nel chiuso della propria stanza; come viaggio nel tempo, oltre che nello spazio, nel passato della memoria e della storia o nel futuro della fantascienza… Viaggi reali e viaggi sognati, esploratori storici ed eroi vagabondi punteggiano tutta la letteratura, e quella classica in primis.

Quando si pensa alla geografia del mito e ai viaggi nei luoghi dell’immaginario antico è inevitabile che venga in mente prima di tutto Ulisse. Ma per quanto assurto a simbolo per eccellenza del viaggiatore curioso e infaticabile, Ulisse non è il solo personaggio della mitologia classica a perlustrare il mondo fino ai suoi estremi confini.

C’è per lo meno un altro eroe che compete con lui per la quantità dei suoi spostamenti, anche se nell’immaginario occidentale esso ha finito con l’identificarsi più con la forza fisica imbattibile che non con la curiosità del viaggiatore: questo eroe è naturalmente Eracle, che costella della sua presenza l’intero mondo antico, complice anche il fatto che con l’Eracle greco vengono identificati (e conseguentemente assimilati nel nome) anche eroi locali dalle caratteristiche vagamente affini, che hanno contribuito nel tempo a diffonderne la nomea su scala planetaria.

Ricordi del passaggio di Eracle si trovano un po’ dovunque nel mondo antico. In alcune località si potevano vedere le tracce materiali del suo transito: una guida turistica redatta con criteri moderni avrebbe contrassegnato quei luoghi con due o tre stelle, a significare che la meta “vale il viaggio”, o per lo meno “vaut le détour”.

Ad Agira, nei pressi di Enna, per esempio, si diceva che fossero riconoscibili le orme della mandria di buoi di Gerione condotta da Eracle in Occidente. Come si fossero conservate dall’epoca remota dei tempi mitici, la tradizione non dice. Ancor più sorprendenti erano le impronte che l’eroe stesso aveva personalmente lasciato percorrendo le strade del mondo, spesso imprimendole, cosa straordinaria, nella dura pietra.

Erodoto per esempio sosteneva che un’impronta del genere fosse visibile presso gli Sciti, in prossimità del fiume Tire (oggi Dniestr). Essa era una conferma del passaggio dell’eroe in quelle terre: “gli Sciti mostrano impressa su una roccia un’orma di Eracle, che assomiglia all’impronta di un piede umano, ma ha una lunghezza di due cubiti”, scrive lo storico greco, enfatizzando la statura gigantesca tipica degli eroi (IV, 82).

In una località anticamente chiamata Pandosia, identificata con Mendicino, a qualche chilometro da Cosenza, secondo la leggenda erano parimenti visibili le impronte lasciate dall’eroe passato da quelle parti di ritorno dalla conquista delle mandrie di Gerione. Quelle orme erano sacre ed era severamente vietato calpestarle.

Eracle viaggia in tutto il mondo conosciuto. Ma si spinge anche in quello sconosciuto, agli estremi confini della terra. E supera, addirittura, tali confini, oltrepassando le colonne che da lui prendono il nome e spingendosi nelle lontananze misteriose dell’immenso Oceano che abbracciava, come un grandissimo fiume circolare, le terre emerse.

Le occasioni per viaggiare per il mondo intero a Eracle non mancano: lo troviamo tra i partecipanti alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del mitico vello d’oro nella favolosa Colchide; ben prima della guerra di Troia diventata più famosa si reca in quella città e vi combatte distruggendone le mura; è forse in quell’occasione che si reca ad affrontare le Amazzoni, compiendo la sua impresa nota come conquista del cinto d’Ippolita, regina di quel mitico popolo di eroine guerriere; celebre è il suo lungo soggiorno in Lidia: presso Onfale, regina di quel paese,  l’eroe vive compiendo tutti i servizi tipicamente femminili, in una specie di paradossale caricatura dei ruoli tradizionali sottoposti a un radicale (e comico) capovolgimento:

“lei avvolta nella pelle leonina e armata della clava di lui, come se fosse davvero Eracle, e lui in camiciola color zafferano e sopravveste di porpora intento a cardare la lana sotto i colpi del sandalino di Onfale” (Luciano, Come si deve scrivere la storia, 25 [59], 10; traduzione tratta da Luciano di Samosata, Dialoghi, a cura di V. Longo, 3 voll., Utet, Torino 1976-1993).

Tacendo dei continui spostamenti di Eracle in Grecia, o di quelli ancor più impegnativi addirittura nel mondo dei morti, possiamo ricordare ancora le sue spedizioni in Occidente, e soprattutto quelle che compie spingendosi al di là delle Colonne d’Ercole, a margine di due delle sue imprese più celebri: la conquista dei pomi delle Esperidi e la cattura delle mandrie di Gerione, che lo costringono a recarsi in due isole collocate nel favoloso Oceano occidentale. Tanto l’isola di Gerione, la favolosa Erizia, o Eritea (l’isola ‘rossa’), abitata dal mostro tricorpore proprietario delle mandrie, quanto il giardino delle Esperidi, luogo incantevole dai frutti d’oro (forse gli agrumi?), sono luoghi favolosi, la cui collocazione precisa le fonti non dicono, e che nelle descrizioni assumono caratteri magici.

Tra il viaggio di andata e quello di ritorno, però, Eracle ha modo di percorrere tanto il tragitto sulla costa meridionale del Mediterraneo, attraversando l’intera Africa, quanto quello sulla costa settentrionale dello stesso mare, transitando per le rive dell’Europa, dalla Spagna alla Francia all’Italia, con un’escursione fino in Britannia.

Questi itinerari lo mettono a contatto con luoghi reali, ma spesso scarsamente noti ai Greci e abbastanza estranei anche ai Romani. Fare di quei luoghi il teatro delle imprese del più grande degli eroi greci è un modo per renderli familiari, per inserire gli scenari ignoti di quella geografia sconosciuta nel grande alveo del mito.

Si ambientano così sul loro sfondo racconti mitici specifici: come la storia delle innumerevoli avventure, amorose e d’altro genere, di Eracle che, percorrendo l’Europa con le mandrie di Gerione al seguito, divaga, amoreggia con belle fanciulle (come nel caso degli amori con Pirene, una giovinetta che venne poi sepolta sotto i monti che da lei, secondo Plinio, Nat. Hist., III, 8, presero il nome di Pirenei); cosparge di discendenti il suolo dell’Europa (come nel caso degli amori con Celtine, bella principessa della Britannia, dalla quale genera Celto, capostipite dei Celti); lascia il suo nome a svariate città (tra le quali Porto d’Ercole, corrispondente a Monaco-Montecarlo, ed Ercolano); apre per primo un valico nelle Alpi (da cui il nome di Alpe Graia, cioè greca, dato alla catena alpina); attraversa lo stretto di Messina a nuoto per recuperare un capo della mandria che era fuggito… Partendo da luoghi sotto tutti i rispetti immaginari (Eritea, il giardino delle Esperidi) Eracle passa alla geografia del mondo reale, e la rende immaginaria a sua volta trascinandola con sé nelle avventure del mito; ma poiché il mito incarna la realtà più vera, nota e profonda della cultura greca, ecco che quei luoghi reali prima scarsamente conosciuti e sentiti come estranei diventano a un tratto familiari, assimilati alla comune esperienza.

E se a noi pare che questa commistione tra mondo reale e mondi immaginari, tra mito e storia, si presenti agli occhi dei Greci con una certa naturalezza e inevitabilità, non possiamo però dimenticare che i viaggiatori che contribuiscono a delineare tale geografia sono degli eroi: il viaggio non è esperienza consueta, e neppure così desiderabile, per i comuni mortali, ma richiede una marcia in più che solo esseri speciali possono mettere in campo.

Più ancora di Ulisse, Eracle appare in questi mitici viaggi il conquistatore del mondo. Egli compie tuttavia le sue conquiste non soltanto con la forza, che costituisce la sua prerogativa più tipica, bensì  soprattutto con la conoscenza, col rendere noto e familiare, e perciò gradito e amico, ciò che prima era sconosciuto, con l’individuare nell’altrove aspetti comuni e comuni credenze atte a rendere possibile un contatto tra mondi diversi. Solo in questo modo, sembra suggerire il mito di Eracle viaggiatore, ci si può rapportare all’altro, allo straniero, al mondo esterno, e trovare pur nella diversità e in mezzo a possibili insidiosi pericoli delle basi comuni sulle quali dialogare.

Tra i molti significati del mito di Eracle, questo non era certo secondario agli occhi dei Greci. Né era oggetto di semplice curiosità erudita, bensì ingrediente vitale di una cultura condivisa. Lo conferma un dialogo di Luciano di Samosata, Eracle: un prologo (55, [5]), dove Luciano descrive il singolare aspetto che presso i Celti viene attribuito all’eroe greco, che essi chiamano Ogmio: è raffigurato come un vecchio dalla fronte calva e dai radi capelli bianchi, dalla pelle scura e bruciata dal sole come un vecchissimo marinaio, ma insieme dotato degli attributi più tipici dell’eroe, ossia la clava, la pelle di leone, l’arco, la faretra.

Tali oggetti fugano ogni dubbio circa l’identità del personaggio, anche se il suo aspetto fisico è inconsueto e potrebbe suscitare qualche incertezza nell’identificazione. La cosa più curiosa è che quel vecchio trascina, legati per le orecchie, innumerevoli uomini, assicurati a lui da sottili catene d’oro e di ambra che appaiono collegate alla sua lingua; e in tal modo egli, trascinandoli appunto con la lingua (non potendo fare diversamente, perché le sue mani sono impegnate a reggere le armi), li fa andare dove vuole.

Un Celta spiega a Luciano il significato di quella strana immagine, così lontana da quella tradizionale dell’eroe più forte del mondo: per i Celti  Eracle rappresenta la parola, strumento dalla forza impareggiabile, che manifesta nella vecchiezza il compimento della sua maturazione: “noi riteniamo che Eracle sia stato saggio, abbia compiuto le sue imprese servendosi della parola e abbia strappato la maggioranza delle sue vittorie con la forza della persuasione” (55 [5], 6).

La parola che conquista, più e meglio delle armi; e il mito (il racconto) che accomuna civiltà e culture diverse. Una lettura del personaggio di Eracle decisamente inconsueta, ma forse, ancora oggi, capace di far riflettere e più attuale che mai.

In apertura, foto di Olio Officina© 

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