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Diretta da Daniela Marcheschi

“Il fuoco che ti porti dentro”. Una anomala dichiarazione d’amore

Taccuino di lettura. Fenomenale la madre di Antonio Franchini, a cui il figlio dedica un canto d’amore nel suo nuovo romanzo edito da Marsilio. Una madre da cui si fugge e contro cui si lotta con la consapevolezza che ora «sta morendo e che tutto ciò contro cui ho lottato per tutta la vita si dissolverà con lei, nel vuoto, in un niente»

Mariapia Frigerio

“Il fuoco che ti porti dentro”. Una anomala dichiarazione d’amore

Antonio Franchini, Il fuoco che ti porti dentro, Venezia, Marsilio Editori, 2024

Fenomenale la madre di Antonio Franchini, a cui il figlio dedica un canto d’amore nel suo libro Il fuoco che ti porti dentro.

Un canto per una donna che viene definita, a seconda dei casi, qualunquista, razzista, classista, egoista, irrequieta, rabbiosa.

Una madre che ha fatto il liceo classico e l’università, ma che rivendica il suo ruolo di casalinga che considera comunque meglio di quello di maestra.

Eppure proprio per questa madre tanto vituperata, per cui il figlio ha «un’avversione che dura da sempre» e che «detesta da sempre», ma che al lettore suscita un’immediata, strabordante simpatia, è nato uno dei libri più emozionanti, più viscerali degli ultimi tempi.

Il termine “viscerale” non è stato usato a caso, ma proprio perché quello che meglio può descrivere – sia nel bene che nel male – il rapporto che lega questa madre a questo figlio.

Una madre senza amiche, una madre che, come la sua stessa madre, ha disprezzato l’amore, la gentilezza, le altre donne.

Una madre litigiosa, incoerente coacervo di difetti, una donna per cui «gli amici non esistono, le donne sono zoccole e gli uomini figli di zoccola».

Una madre che la notte non dorme ma pensa, «incline alla concretezza ma refrattaria alla ragione».

Una madre che da giovane era bella, ma soprattutto «friccicarella» e che vanta i suoi due fidanzati calabresi.

Una madre carnale che si sposa incinta, indulgente verso sé stessa e severa verso il mondo.

Una madre definita pazza e bipolare (e chi non lo è, ci verrebbe da aggiungere?).

Una madre che “violenta” la figlia con la sua volontà e le sue imposizioni, che si innervosisce per tutto, che fa uso quasi esclusivo del turpiloquio, che ha dato ai figli un’educazione senza grazia.

Una madre sanguigna che ha un difficile rapporto con la cognata, che odia la Merkel e ama Putin e i cinesi.

Eppure, ci viene detto, è simpatica agli altri…

E attraverso di lei entrano in scena personaggi, donne e uomini: la “zia” Vittoria, la zia Anna, Elisabeth, moglie di zio Francesco, avvocato che vive a Milano, il cognato buddista.

Una madre da cui si fugge e contro cui si lotta con la consapevolezza che ora «sta morendo e che tutto ciò contro cui ho lottato per tutta la vita si dissolverà con lei, nel vuoto, in un niente».

Ed è giusto fuggire dalle madri (non solo da quella di Franchini), avendo però chiaro che bisogna esserci quando queste stanno per lasciarci come bene aveva scritto Aldo Busi in quel pezzo insuperabile che è Del mio vero rapporto con Maria Bonora in Busi, mia madre.

Eppure, nell’elenco pressoché infinito dei difetti materni, Franchini si pone domande che non ci lasciano indifferenti: «Se prova tanto rancore nei confronti del mondo è possibile che le sia stato fatto, da bambina, da ragazza, da adulta, qualcosa che non ha mai avuto la forza, il coraggio di confessare?» o ancora: «Quale sofferenza si porta dentro mia madre?», infine «Quale vuoto deve colmare coi suoi vaniloqui? Quale voce che le urla dentro deve tacitare? Chi le ha attaccato questo male? Suo padre morendo troppo presto? Sua madre vivendo troppo a lungo?».

A queste domande filiali, che denotano comprensione e tenerezza, si aggiunge la dichiarazione d’amore di Angela al figlio: «Io cu te venesse dappertutto. Tu fusse capace ‘e me fa piglià pure l’aereo.»
E per quanto, come scrive Franchini, «tutti gli amori siano in qualche modo sbagliati» di sicuro tra questa madre e questo figlio c’è stato vero amore.

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