Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

È l’uomo che fa la storia o è la storia che fa l’uomo?

Noi che ci arroghiamo di essere padroni, autori dei nostri pensieri, in realtà non li controlliamo; ci limitiamo a ricevere quelli che vengono, anche quelli che non vorremmo ricevere. I pensieri fioriscono nella nostra mente come le foglie sui rami dell’albero, sono pensieri-foglie sui rami dell’albero-pensiero

Sossio Giametta

È l’uomo che fa la storia o è la storia che fa l’uomo?

Il 2 giugno 2019 partecipai a Seregno, nell’ambito del Festival sulla storia organizzato (annualmente) da Eva Musci e Antonio Zappa, a un convegno con Franco Cardini e Alessandro Barbero su “Senso e nonsenso della storia”. Questa che segue è la breve relazione che vi tenni.

Giambattista Vico afferma che l’uomo non può conoscere la natura, che è fatta da Dio, ma può conoscere la storia, che è fatta dall’uomo. D’altro lato, però, Hegel afferma che la filosofia è il proprio tempo appreso in pensieri, e Goethe recita da parte sua che l’individuo è un organo del suo secolo che agisce per lo più inconsapevolmente.

Ora, che cosa significano queste due affermazioni se non che, nel primo caso, il soggetto non è la filosofia, ma il proprio tempo, da cui la filosofia è forgiata, e nel secondo che il soggetto non è l’individuo, ma il secolo, come organismo di cui l’individuo è un organo?

Ma se così stanno le cose – e così esse stanno effettivamente – allora non è l’uomo che fa la storia, come dice Vico, ma è la storia che fa l’uomo. Ciò suona paradossale, perché è indubbiamente quello che fanno gli uomini, che la storia registra. Ma bisogna vedere se quello che fanno gli uomini non obbedisca a un segreto, intimo e inconsapevole comando, cioè a impellenti istanze storiche, che hanno determinato la loro formazione e determinano il loro destino.

In generale noi pensiamo la realtà che circonda l’uomo, di cui la storia è il bordo interno, come oggetto del nostro pensiero e quasi come un caput mortuum. Invece è il nostro pensiero che è l’oggetto della realtà, come sua emanazione terminale, perché è la realtà, sotto forma di storia, che è il vero soggetto attivo, come l’albero, che la foglia, se potesse pensare, riterrebbe suo oggetto, rovesciando l’ordine naturale.

Noi che ci arroghiamo di essere padroni, autori dei nostri pensieri, in realtà non li controlliamo; ci limitiamo a ricevere quelli che vengono, anche quelli che non vorremmo ricevere. I pensieri fioriscono nella nostra mente come le foglie sui rami dell’albero, sono pensieri-foglie sui rami dell’albero-pensiero. Così pure le nostre azioni: sono azioni-foglie sui rami dell’albero del secolo di cui gli individui sono organi.

Si tratta, insomma, di fare un’inversione copernicana.

Tutto questo si può vedere concretamente se facciamo un esempio con l’autore che studio da sessant’anni: Nietzsche.

Nietzsche si è vantato di essere il pensatore più indipendente e più inattuale della sua epoca, e questo è vero rispetto alla cultura del suo tempo, per esempio rispetto a David Strauss, contro il quale scrisse la prima considerazione inattuale.

A sua insaputa, però, egli è il più dipendente e il più attuale, essendo una inconsapevole incarnazione della crisi europea. Questa avanzava ai suoi tempi sordamente e si irradiava in tutte le sfere dell’attività umana: politica, morale, filosofia, arte, economia, diritto ecc.

I pensieri fioriscono nella nostra mente come le foglie sui rami dell’albero

Col suo pensiero, Nietzsche le ha dato corpo spirituale, l’ha legittimata e l’ha accelerata. Egli costituisce dunque, senza essersene reso conto, la risposta al “tramonto dell’Occidente”, nei suoi tre aspetti: 1) crisi della filosofia, 2) crisi della civiltà, 3) crisi della religione.

Siamo con lui nel caso esemplificato da Spinoza nella sua negazione del libero arbitrio: l’uomo si crede libero e indipendente perché sa che può fare quello che vuole, ma ignora le cause che lo spingono a volere quello che vuole, escludendo ogni altra cosa. L’uomo cioè, per il fatto che sa che può fare qualsiasi cosa, crede anche di poter volere qualsiasi cosa. Ma sbaglia, perché può volere solo quello che la sua natura, concreta, determinata e attiva, in combinazione con le circostanze storiche (i motivi), gli fa volere.

Dunque, lungi dall’essere un’entelechia indipendente dalla storia, che nella storia semplicemente si rivela e si realizza, come sostiene Giorgio Colli, Nietzsche va interpretato proprio sul piano storico, come creazionedella storia. Per il fatto di averlo interpretato nei ristretti recinti della storia della filosofia, gli interpreti se ne sono preclusa la comprensione essenziale. Sono andati dietro a quello che Nietzsche ha detto invece che a quello che Nietzsche ha fatto, che è diverso da quello che ha detto.

Che cosa ha fatto Nietzsche? Come genio, ha trasfigurato in poesia e filosofia tragica, nella visione dionisiaca, il declino della civiltà europea; cioè da un fatto contingente ha tratto una legge universale, che è una legge drammatica; come organo del suo secolo, ha invece subìto, incorporato ed espresso la crisi, che era una crisi di autodistruzione, compattandola in uncorpus spirituale.

Questo è quello che fa sempre il genio, il quale non rispecchia, ma integra il processo storico, da cui per vie interne è suscitato. Il genio è infatti l’estrema risorsa nelle crisi dell’umanità, come lo sono stati Gesù Cristo, Cesare, Lutero e Nietzsche stesso; è il rimedio che cresce dove cresce il male, secondo il detto poetico di Hölderlin.

Noi facciamo molta retorica spiritualistica sul genio, ma esso non è altro che l’adattamento all’ambiente, beninteso all’ambiente storico, non a quello fisico degli animali (la pelliccia dell’orso tra i ghiacci del Polo, la lingua lunga e viscosa del formichiere per penetrare nelle tane delle formiche, il collo lungo della giraffa per arrivare all’alto fogliame degli alberi). Allo stesso modo, il genio è la capacità di adattamento dell’uomo al mutare delle circostanze storiche, cioè alle crisi, che esse stesse lo suscitano.

Gli interpreti di Nietzsche non hanno capito, come non aveva capito Nietzsche stesso, che egli è tutto e solo attualità, che i problemi di cui si è occupato e preoccupato, a proposito della Grecia arcaica, sulle tracce di Hölderlin, sono frutto di una trasposizione inconsapevole dei problemi e dei (dis)valori della sua epoca, per cui rappresenta un fenomeno di grandezza epocale mitico-terrificante, e che la Grecia, nel suo caso, funziona quasi come un alibi o, detto alla Marx, come una sovrastruttura. Per tutto ciò Nietzsche invera perfettamente i detti di Hegel e Goethe ed è la più chiara dimostrazione che è la storia che fa l’uomo.

[Questo articolo è stato pubblicato in una versione breve sulle pagine del supplemento culturale “Domenica”, del quotidiano Il Sole 24 Ore, lo scorso 17 maggio. Lo riportiamo qui, su “Corso Italia 7”, nella sua versione più estesa, integrale, così come ce l’ha fornita l’Autore, che ringraziamo per la cortesia che ci riserva]

In apertura una foto di Olio Officina che riprende un particolare di un’opera di Sandro Bettin (Pisa, 1955), “I muri ci guardano” (2015), tecnica mista, 110 x 210 com, collezione privata

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