Corso Italia 7
Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of LiteratureDiretta da Daniela Marcheschi
La Maria Brasca, un personaggio indimenticabile per un autore da non dimenticare
Il teatro di Giovanni Testori è un teatro di parola, di sperimentalismo linguistico, ed ecco che non poteva che uscire dalla sua penna un testo di una forza espressiva così potente. Uno spettacolo, quello ospitato dal Teatro Gobetti di Torino, con la regia di Andrée Ruth Shammah, in cui si parla di «terronia» e nessuno si sente né offeso né oltraggiato, dove il politicamente corretto non si sa dove abiti, perché ricchissimo di umanità
Partiamo dal fatto che Testori è, ai nostri occhi, uno degli autori più interessanti della seconda metà del ‘900 e che, forse, non ha mai avuto il giusto riconoscimento (manca completamente, ad esempio, nelle letterature ad uso delle scuole); aggiungiamo poi che un regista della grandezza di Luchino Visconti ha preso spunto proprio da una raccolta di suoi racconti, Il ponte della Ghisolfa, per creare quel capolavoro cinematografico che è Rocco e i suoi fratelli; uniamo a quanto appena detto che il suo è un teatro di parola, di sperimentalismo linguistico (parola intesa come “carne”, perché viva, sofferente, lacerata) ed ecco che non poteva che uscire dalla sua penna un testo teatrale della forza di La Maria Brasca.
Un personaggio che si imprime nei nostri cuori, perché è un’«esplosione di energia», come giustamente l’ha definita la regista Andrée Ruth Shammah.
Eppure quando debuttò al Piccolo Teatro di Milano nel ’60, Eligio Possenti, che lo recensì per «Il Corriere della Sera», non dimostrò grande entusiasmo né per l’autore né per gli attori.
Leggiamo: «La commedia è scritta in un italiano milanesizzato [..] in un’ibrida amalgama che non è né lingua italiana né dialetto».
Di certo Possenti non è “entrato” nella bellezza della lingua di Testori (lui avrebbe preferito un’opera completamente in dialetto milanese o, diversamente, tutta in italiano), una lingua che a lui pare artificiosa e non permette ai personaggi di raggiungere un «calore vitale».
Persino nel riassumere la vicenda è chiaramente contro l’autore: «Questa storia di due giovani che si amano, si bisticciano, si riconciliano, e si sposano, è vecchia quanto il teatro. La novità è data dall’essere i due protagonisti due proletari, dal sostituire ai dialoghi sentimentali o psicologici, dialoghi grezzi e rudi, infiorati di parolacce, introdotte con abbondanza, e di far leva sulla volgarità».
Non mancano poi critiche al regista [Mario Missiroli, NdC] che «ha dato al personaggio di Maria una insistente sguaiataggine ad alte tonalità».
Deve tuttavia riconoscere che «le chiamate di una parte del pubblico [notare il “di una parte”, NdC] sono state parecchie e con gli attori è comparso anche l’autore. Gli attori hanno recitato con impegno. Franca Valeri ha dato a Maria Brasca accenti e cadenze milanesi e impeti sinceri […]».
Ma il giudizio totalmente negativo arriva alla fine: «Tutto si può portare sul teatro, anche la realtà più piatta purché diventi arte. Altrimenti si cade nella sciatteria e nella inutile esibizione di un ardimento che ardimento, in sostanza, non è».
Ridurre un testo come La Maria Brasca a «sciatteria» è stato il grande limite del critico che, purtroppo, ha avuto influenza negativa per lungo tempo sul teatro di Testori. Non va infatti dimenticato che questo avveniva sulle pagine del primo quotidiano dell’epoca, ovvero sul «Corriere della Sera».
Poi c’è stata la riabilitazione: gli splendidi anni ’70 con la Trilogia degli scarozzanti [L’Ambleto – Macbetto – Edipus, NdC], le altre Marie Brasche rappresentate al Salone Pier Lombardo con Adriana Asti, le interpretazioni del grande Sandro Lombardi, il centenario della nascita che si celebra quest’anno.
Tuttavia nulla a che vedere con la “beatificazione” di un Pasolini (autore peraltro da noi amato, soprattutto come opinionista, ma che come autore non ha saputo raggiungere i livelli di Testori) nel centenario della sua nascita.
Veniamo ora allo spettacolo visto al Teatro Gobetti di Torino con la regia di Andrée Ruth Shammah e con una a dir poco strepitosa Marina Rocco nella parte della Brasca e riprendiamo solo alcune battute: «Cosa credi, che non abbia il coraggio di sentirla, la verità? Son corna? E va be’, corna prenderemo. Tanto, sai, anche nella disperazione c’è poi un limite»; «Credi che la stessa voglia che ho messo nell’aiutarti e nel legarti, non debba metterla adesso nel non perderti?»; «Ma su te, caro mio, le mani, per prima, le ho messe addosso io e non le tiro via per nessuna ragione; perché, se dio vuole, in queste cose qui, i padroni siam ancora noi»; «[…] perché in queste cose qui, uomo e donna dovrebbero essere a pari»; «Perché tu hai bisogno d’una donna che oltre che farti da moglie, ti faccia da madre»; «Allora ti do due, tre, quattro, cinque, tutti i giorni che vuoi; poi, o sì o no; ma se è sì, sai anche tu cosa vuol dire: prati, guzzi, morosate e tanquant; ma anche pubblicazioni e allé, a cercar casa. Se son disposta io a cambiar nome! Dico, ci potrò tenere a ‘sto Brasca qui con cui son venuta al mondo!».
Certo che rispetto a tanto femminismo insopportabile, la Brasca è di una forza e di una simpatia spiazzanti. Fa l’amore con tutti, senza problemi, ma poi s’innamora…
E ha capito tutto della vita.
L’importanza dell’indipendenza economica (lei che lavora come operaia), la “tolleranza” dei tradimenti, la parità uomo-donna (almeno a letto), l’importanza del mantenere anche nel matrimonio il cognome di nascita, l’impegno nel non perdere l’uomo che ama e che guarda (e va) con un’altra.
Il finale poi, in cui si rivolge all’amica per dirle, urlarle, che si sposerà è straordinario: la Rocco scende i gradini che portano alla platea e grida la sua gioia a una signora del pubblico come fosse la sua amica operaia del calzificio.
Uno spettacolo in cui si parla di «terronia» e nessuno si sente né offeso né oltraggiato, dove il politicamente corretto non si sa dove abiti, perché ricchissimo di umanità.
Se abbiamo definito la Brasca-Rocco strepitosa, infantile e sensuale a un tempo, non da meno lo sono gli altri attori, a partire da una Mariella Valentini (come scordarla nella sua iconica parte della giornalista petulante in Palombella Rossa?), nel ruolo della sorella casalinga, di rara bravura.
Luca Sandri e Filippo Lai danno il giusto rilievo, rispettivamente, al cognato e al Romeo che fa perdere la testa alla Brasca.
Il pubblico è esploso in applausi ripetuti per tutti, ma, inutile dirlo, in vere e proprie ovazioni per Marina Rocco.
Non abbiamo visto né Franca Valeri, né Adriana Asti, in questo ruolo, eppure siamo certi di poter dire che la Rocco ne ha dato l’interpretazione migliore.
In apertura, foto di Lorenzo Barbieri
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