Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Letizia Battaglia, tra etica ed estetica

Mariapia Frigerio

Letizia Battaglia, tra etica ed estetica

Nella fotografia, che sta dilagando in modo abnorme – ora che tutti si sentono indistintamente fotografi e modelli –, l’occhio (nel senso dello sguardo) è fondamentale. È quello che distingue la banalità dello scatto indiscriminato, del mordi e fuggi, del io-fotografo-tutto.

Perché c’è un occhio, quando guardiamo, che non è l’occhio di tutti. C’è una prospettiva, quando osserviamo, che non è la prospettiva di tutti. Ma è un certo occhio che ci fa vedere, è una certa prospettiva che ci fa assaporare. L’occhio di Letizia Battaglia, in più, cattura. E cattura in duplice senso. Cattura immagini in primo luogo e cattura, poi, noi spettatori. Fotografa di fama internazionale, ha usato il bianco e nero (un insuperabile bianco e nero) sia per le foto di denuncia sia per descriverci la sua Palermo tra miseria e nobiltà, fra degrado e splendore. E ancora per ritratti di grandi intellettuali.

Letizia Battaglia, Pier Paolo Pasolini al Circolo Turati -1972. Courtesy -L’artista

Dacia Maraini

Letizia Battaglia è una reporter, mai una fredda catalogatrice d’immagini.

Questo vale sia quando documenta le stragi della mafia (con le quali è diventata famosa come “fotografa di mafia”) sia quando il suo sguardo si posa sull’infanzia sia, infine, quando ci dà ritratti memorabili.

Le bambine che ritrae nel quartiere Kalsa o alla Cala di Palermo, come la famosa Bambina con il pallone del 1980 o quella che morde un pezzo di pane (Il pane, 1979), sono bambine d’altri tempi, bambine fuori dal tempo come la miseria che rappresentano, che è, appunto, una miseria senza tempo. Una miseria che diviene una categoria filosofica più che il riflesso di un contesto storico. Nel Bambino turco alla lavagna del 1984 continua la sua analisi del mondo dell’infanzia che rimanda a certi fotogrammi di film di Truffaut, all’Antoine Doinel dei 400 colpi: qui, come nel grande cineasta francese, quello che colpisce è la furbizia ingenua di questi piccoli, vittime di un mondo che non sa avere uno sguardo tenero su di loro.

Kalsa pane, 1979

Ma c’è anche, nelle foto della Battaglia, una indiscutibile ricerca di bellezza, come la bellezza dei piedi sporchi, quasi una ripresa precisa della Madonna dei Pellegrini caravaggesca o, ancora, dei piedi lavati ai bambini poveri.

La bellezza permea queste immagini immerse di quotidianità, di quella quotidianità che le rende vive. Ed è difficile non pensare a Pasolini quando guardiamo la foto della coppia che si bacia sulla spiaggia: un “accattone” fiero del suo fisico vestito solo di un piccolo slip che bacia la sua donna il cui fisico, un poco sfatto, è fasciato da gonna e maglietta.

Del resto lo scrittore friulano era stato oggetto nel ’72 di una serie di ritratti, di scatti rubati (18 per la precisione) di una non ancora troppo nota Letizia Battaglia, al Circolo Turati di Milano. Ritratti “scolpiti” in un meraviglioso bianco e nero, intensi nei giochi di luci e ombre, dove sia il volto segnato sia la mano a esso appoggiata hanno grande forza icastica.

C’è poi il Guttuso con sigaretta, Sciascia, Gae Aulenti, Franca Rame e una Maraini quasi fanciulla…

Bellezza… In Rielaborazione. Rosaria, Eleonora d’Aragona, Marta del 2010 la bellezza della vita si fonde con la bellezza immobile della statua.

Non mancano, infine, foto di una Palermo ricca, una Palermo di Gattopardi, con emblemi di ricchezza, come la volpe morta al collo di un’aristocratica. Qui l’occhio sensibile della Battaglia, l’occhio che ha riguardo per tutti, l’occhio amorevole diviene di colpo un occhio crudele che ci riconsegna, inquadratura dopo inquadratura, un mondo di squallore che ben poco ha a che vedere con la nobile miseria.

Se è vero che un artista è tale a prescindere dal sesso, è pure vero che c’è un erotismo diverso in uomo e donna così come c’è, tra loro, una diversa psicologia. Nelle fiabe della corte del Re Sole l’unica in cui la sfumatura di un carattere supera l’abituale stereotipo è La Bella e la Bestia non a caso scritta da una donna. Nelle immagini di Letizia Battaglia, che non si separa mai da una macchina fotografica che vuole leggerissima perché “non occorrono mastodonti d’acciaio per fare belle foto”, traspare, pur nei suoi solidi scatti, una rara sensibilità, una sensibilità che non può che appartenere a una donna.

La bambina con il pallone, 1980

Riconosciuta in tutto il mondo come una grande della fotografia, vincitrice di premi prestigiosi, politica appassionata, curatrice di mostre e autrice di libri ha ricevuto lo scorso giugno a Lucca insieme alla poetessa Margherita Rimi, autrice di Nomi di cosa-Nomi di persona (la cui copertina riporta proprio la foto della Battaglia Il pane), il premio “Dillo in sintesi” (la manifestazione italiana dedicata all’importanza della brevità nella comunicazione) in una serata alla presenza di Beppe Severgnini e di Lella Costa.

Dalle immagini di Letizia Battaglia che, come lei stessa dice, continua a sognare la bellezza pur avendo fotografato gli orrori della mafia, da questo tuffo nelle sue foto, riemergiamo tutti più ricchi e più consapevoli.

Piedi sporchi

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