Corso Italia 7

Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Un dissidente della vita

Al Teatro Era, Giuseppe Battiston con La valigia. In viaggio con Dovlatov, in anteprima nazionale, dà vita sul palcoscenico ai personaggi indimenticabili che hanno fatto parte della vita di Sergei Dovlatov, scrittore russo da cui è stato tratto e poi adattato il testo. Lo spettacolo si articola tra presente e passato, ma cosa contiene la valigia che, quasi dimenticata, un giorno viene fuori dal suo armadio?

Mariapia Frigerio

Un dissidente della vita

Chi, guardandolo con gli occhi teneri di una svampita Marina Massironi, non si è innamorato di Costantino, improvvisato e maldestro investigatore in Pane e tulipani, delizioso piccolo capolavoro di Silvio Soldini, film pluripremiato nel 2000?

Vincitore del David di Donatello e del Ciak d’oro come migliore attore non protagonista, Costantino-Giuseppe Battiston è sicuramente un talento cinematografico e teatrale che ricorda (anche se è difficile competere con i miti) Tino Buazzelli, per corporatura e bravura e lo statunitense Victor Buono, candidato al premio Oscar nel 1963 come migliore attore non protagonista per Che fine ha fatto Baby Jane?

Qui, al Teatro Era, in un testo da lui adattato tratto da La valigia di Sergei Dovlatov (scrittore russo scomparso nel 1990 non ancora cinquantenne), in anteprima nazionale, Battiston dà vita sul palcoscenico ai personaggi indimenticabili che hanno fatto parte della vita di questo autore, in uno spettacolo che si articola tra presente e passato, ambientato in uno studio radiofonico (non scordiamo che Dovlatov era anche giornalista e reporter).

Giuseppe Battiston ne La valigia. In viaggio con Dovlatov

Ma cosa contiene la valigia che, quasi dimenticata, un giorno viene fuori dal suo armadio?

Nient’altro che gli oggetti che l’esule Dovlatov voleva portare via da Leningrado e a ogni oggetto corrisponde un episodio e un personaggio della sua vita vagabonda.

Oggetti e i ricordi che questi, quasi novelle madeleines proustiane, si accendono nel suo animo.

Il narratore è un migrante, intelligente, il tipico uomo sovietico della sua epoca, una vita come tante altre («Osservai la valigia vuota. Sul fondo Marx. In cima Brodskij. E tra loro la mia unica, inestimabile, irripetibile esistenza»).

Ma la diaspora di Dovlatov ha il potere di diventare metafora della condizione umana, perché siamo tutti emigranti dello spazio e del tempo.

Emigriamo infatti dalla nostra giovinezza, da un passato fatto di persone, immagini, episodi e sentimenti che il ricordo ha la forza di immortalare e resuscitare.

Qui ogni episodio è paradossale, divertente ed insolito: lo è nel libro e lo è sulla scena.

I critici di Dovlatov, ebreo russo scomparso in esilio dopo la caduta del regime sovietico, hanno osservato la sua somiglianza con Čechov, di questo dissidente appartato da aver fatto dire di sé che era sopra ogni cosa un «dissidente dalla vita» quasi esatta parafrasi dell’incipit del Gabbiano: «sono in lutto per la vita».

Così come c’è chi ne ha visto tratti che riecheggiano Carver.

Direi che sia importante ricordare (Čechov e Carver a parte) che questo libro autobiografico, come molti altri capolavori dell’epoca, non fu mai pubblicato in Unione Sovietica, ma riscosse un enorme successo in una rinata Russia negli anni ’90.

Quindi ancor di più va il merito a Giuseppe Battiston per averlo diffuso teatralmente, nel bello spettacolo che si avvale della suggestiva scena di Nicolas Bovey e degli azzeccatissimi costumi di Vanessa Sannino.

Molteplici applausi, ma 80 minuti filati sono forse un po’ troppi anche per un pubblico paziente e preparato.

 

All’interno e in apertura, foto di Filippo Manzini

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