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Rivista internazionale di Letteratura – International Journal of Literature
Diretta da Daniela Marcheschi

Un dramma familiare

Agosto a Osage County di Tracy Letts racconta, per certi aspetti, quello che è la famiglia oggi. Un’opera corale, con attori – tutti – di rara bravura, in cui ognuno occupa con grande intensità il ruolo che gli è stato assegnato e incanta – per due ore e trentacinque minuti – il folto pubblico del Teatro Carignano

Mariapia Frigerio

Un dramma familiare

Beverly Weston, ex bambino poverissimo divenuto poeta pluripremiato, si suicida e l’intera famiglia si riunisce per lui. Il vuoto che ha lasciato sarà riempito dal non detto di anni di vita comune, in una sorta di apocalisse incombente.

E sarà un conflitto degno di una tragedia, nella casa dell’odio, la casa dei Weston in Oklahoma, alimentato da fallimenti personali, da invidie, da delusioni, da scontri generazionali.

Agosto a Osage County è un dramma familiare denso e tesissimo, con momenti di inaspettata comicità, che racconta, per certi aspetti, quello che è la famiglia oggi.

Si potrebbe considerare questo testo come l’ultimo atto del dramma borghese – quello di Ibsen, Čechov, Pirandello – che mette al centro dei suoi interessi la famiglia.

Un malfunzionamento della famiglia che si iscrive più nella tradizione europea che in quella americana, perché, per il regista Dini, è questa quella «più universale».

Qui abbiamo una famiglia matriarcale, in cui il potere è in mano alle donne (le stesse che mandano avanti la vicenda), lasciando agli uomini il ruolo di comparse.

Comparse in grado ugualmente di infliggere dolore, ma comunque passivi, quasi sottomessi a donne impositive.

Si passa da una “preistoria” nobile a un presente fatto di odio e violenza: l’unica eredità lasciata alle tre figlie – Barbara, Ivy, Karen – riunite nella casa di famiglia per quanto accaduto al padre.

Anche qui – come in Čechov – tra i tanti personaggi, spiccano proprio loro, le sorelle, quasi tre sorelle cechoviane. Dini omaggia il grande drammaturgo inserendo in scena il gioco delle carte, unendo così alla drammaticità l’ironia.

L’unione delle tre sorelle, il loro scherzare insieme, nasce solo dal ricordo dell’infanzia comune. Ma ormai l’infanzia è lontana e chi di loro crede nella sorellanza lo fa solo per comodità: si idealizza un legame perché il ricordo è sbiadito in quanto non concreto. Qualcosa che riguarda anche la famiglia contemporanea.

Lo spettatore viene immerso in questo dramma di famiglia che lo rimanda alla tragedia greca; una famiglia che si muove in una casa labirintica, dove le stanze vengono create e spostate dai molti personaggi che la compongono. È un luogo della nostra mente, questa casa, creato con raffinata bravura dallo scenografo Gregorio Zurla.

Alla “geografia” della casa, luogo della mente, corrisponde anche la dimensione mentale del panorama, come si vede dalla fotografia del manifesto dei Weston al completo su una collina verde al tramonto. Dovrebbe essere l’Oklahoma e invece è il prato davanti alle Fonderie Limone di Moncalieri.

Il regista Filippo Dini invita – dalle sue note di regia – a leggere questa storia con uno sguardo benevolo in nome della poesia che apre il testo di Tracy Letts, una poesia di Howard Starks – da cui la pièce prende il titolo –, poesia che descrive una famiglia intorno a una vecchia signora morente. Una poesia di grandi tenerezze familiari che qui si faticano a ritrovare.

Un’opera corale questo Agosto a Osage County, con attori – tutti – di rara bravura, in cui ognuno occupa con grande intensità il ruolo che gli è stato assegnato, sotto la guida dell’eccellente “direttore d’orchestra” Filippo Dini nonché interprete di Bill Fordham.

Il premio «Le maschere del teatro italiano» anche quest’anno ha preso in considerazione il suo lavoro assegnandogli ben due premi, quello per la miglior regia e quello come migliore attore protagonista per Il crogiolo di Arthur Miller.

Un attore-regista di notevole bravura come avemmo modo di scrivere a proposito del suo Ghiaccio [31 marzo ’22, NdC] lo scorso anno.

Così lo stesso premio è andato, come migliore attrice non protagonista, a Orietta Notari per Il gabbiano di Čechov e qui una notevole Mattie Fae Aiken, sorella di Violet, la perfida matriarca malata di un cancro incurabile.

Impossibile non fare i nomi di tutti i componenti di questo “coro” ai quali, oltre ai già nominati – e premiati – Filippo Dini e Orietta Notari, vanno aggiunti le superlative Giuliana De Sio e Manuela Mandracchia seguite da Fabrizio Contri, Caterina Tieghi, Stefania Medri, Valeria Angelozzi, Andrea Di Casa, Edoardo Sorgente, Fulvio Pepe, Fabrizio Contri, Valentina Spaletta Tavella.

Uno spettacolo che, nonostante la durata di due ore e trentacinque minuti, interrotte solo da un breve intervallo, è riuscito – senza nessun cedimento – a incantare il pubblico del Carignano che, entusiasta, ha richiamato più volte gli attori, ovvero l’intera e numerosa famiglia Weston, alla ribalta.

Così questa prima nazionale ha confermato ancora una volta il livello della gestione del Teatro Stabile di Torino e delle sue scelte.

Foto di Luigi De Palma 

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