Codice Oleario

Gli oli da seme non fanno male

Il dibattito sui grassi. Ogni alimento “ben fatto” non è nocivo, perchè ogni offerta di madre natura ha quasi sempre una logica. Gli oli di semi fanno male se sono trattati male, se non sono sufficientemente protetti dai fenomeni ossidativi. Il migliore degli oli di oliva e il migliore degli oli di semi possono essere una formula di olio ideale? (3. continua)

Massimo Cocchi

Gli oli da seme non fanno male

Caro Luigi, ho riflettuto molto sulle domande che mi hai posto e sono anche stato indeciso se ufficializzare una mia risposta o meno. Perché ho deciso di risponderti? Ho deciso di risponderti e di seguito espliciterò più in dettaglio i motivi perché è alle porte Expo 2015 dedicato alla alimentazione. Io credo che expo 2015 faccia bene a limitare tutti i suoi interventi con orientamento promozionale e mercantile, perché proprio dalle tue domande si risottolinea come il problema nutrizionale, in genere, sia nelle mani di persone che il più delle volte non hanno vera coscienza e conoscenza del significato biochimico della nutrizione.

Prima di passare alle considerazioni che desidero esporti, ti ricordo che ogni alimento “ben fatto” non è nocivo e che ogni offerta di madre natura ha quasi sempre una logica.A questo proposito ti ricordo che l’esposizione alle diverse temperature del globo privilegia la naturale produzione di alimenti che devono difendere l’uomo e/o proteggere l’organismo animale da queste condizioni. Ad esempio, nei climi dove è favorita la produzione di olio di palma la ragione risiede nel fatto che se gli abitanti consumassero prevalentemente grassi polinsaturi le loro membrane cellulari patirebbero delle difficoltà nel corretto funzionamento degli scambi intra–extra cellulari.

E’ anche ampiamente noto che le membrane cellulari dal punto di vista della propria composizione lipidica cercano di mantenere una forte stabilità ai fini di evitare pericolose modificazioni delle interazioni molecolari.
Alla luce dei recenti risultati, da noi ottenuti, nello studio del profilo acidico delle piastrine di soggetti con patologia psichiatrica e cardiopatia ischemica, senza essere a conoscenza delle affermazioni che mi riferisci sulla nocività degli oli di semi, mi sono comunque posto il problema.

Mi sono posto il problema perché l’indicatore rilevato dalla combinazione bio-matematica utilizzata ci dice che l’acido linoleico è uno dei punti più critici nella rappresentatività diagnostica sia della patologia psichiatrica sia della cardiopatia ischemica. Non entrerò nel dettaglio specifico, ma ti basti sapere che le sue concentrazioni piastriniche sono caratteristiche di queste patologie, per esempio, molto basse nel tentativo di suicidio e nelle forme gravi di cardiopatia ischemica. Certamente questo non significa che tutti i cardiopatici tentino il suicidio. L’acido Linoleico, nonostante scarsamente concentrato, si relaziona con altri, come evidenziato dalla rete neurale utilizzata, e solo in certe condizioni di rapporto esprime questi gravi problemi, esso è comunque molto ridotto in questo distretto cellulare.

Ti dico questo perché, come tutti sappiamo, gli olii di semi sono apportatori prevalenti di acido linoleico. La letteratura degli anni ‘80-‘90 ha rilevato che vi è un legame tra basso livello di linoleico e alcune delle patologie sopracitate ed ha anche posto in evidenza che eccessi di linoleico possano essere coinvolti in aspetti non desiderabili per la salute.
Tuttavia non si può liquidare questo problema dicendo che gli oli di semi “fanno male”.
Gli oli di semi fanno male se sono trattati male, se non sono sufficientemente protetti dai fenomeni ossidativi e credo con questo di essere assolutamente in ordine con quanto il comune amico Gianni Lercker ti avrà già scritto.

Ma torniamo un attimo all’acido linoleico, coinvolgendo di conseguenza la sua fonte primaria, cioè l’olio di semi. Fra pochi giorni espliciterò nella lettura Invernizzi, in occasione del convegno dell’ARNA di cui ho avuto l’onore di ricevere la richiesta, alcuni “segreti” sull’acido linoleico.
La relazione infatti si intitolerà “Linoleic Acid Secrets”, il fatto che io parli di queste cose, rende evidentemente pleonastico il termine segreto, ma lo uso perché rispetto alla classica conoscenza che ci è stata somministrata a livello universitario sulla essenzialità dell’acido linoleico stesso, ben altri aspetti lo coinvolgono nella gestione di dinamiche molecolari che sono alla base della vita.

Te ne riferisco alcune:

– Nel tentativo di suicidio, il livello di acido linoleico nelle membrane piastriniche è al minimo pensabile così come nella cardiopatia ischemica grave;

– Nel disturbo ossessivo compulsivo e quindi negli aspetti che ne caratterizzano la tendenziale aggressività la sua concentrazioni (sempre a livello di membrana piastrinica) è 3-4 volte superiore a quella precedentemente riferita.

– L’animale naturalmente ibernante, prima di entrare nella fase di letargo si dirige a consumare preferenzialmente cibo ricco di acido linoleico, la concentrazione dello stesso non varia nel tessuto adiposo di deposito, ma aumenta del 30-40% la sua concentrazione del tessuto adiposo bruno. Perché questo? Perché è stato dimostrato che se al risveglio dal letargo l’animale non dispone delle adeguate quantità di acido linoleico, come conseguenza di una regolazione del passaggio del calcio fra reticolo endoplasmatico e citosol, si ha un accumulo di calcio nel citosol medesimo con conseguente fibrillazione e arresto cardiaco;

– Un’altra cosa che abbiamo dimostrato, unitamente alla ricerca effettuata da un certo Svennerholm, è che nel tessuto cerebrale e nelle sue frazioni fosfolipidiche a partire da quello embrionale di pollo fino a quello di un uomo di 80 anni di età (passando quindi attraverso tutte le fasi della vita) la quantità di linoleico corrisponde a una frazione quasi impercettibile. La media è attorno allo 0,3-0,5%. La riflessione che abbiamo fatto è che sia tale percentuale (così bassa) a garantire la stabilità della struttura cerebrale. E poiché essa si mantiene lungo tutta la catena evolutiva, dal primo animale della filogenesi, a sangue caldo fino all’uomo, il fondamentale significato progettuale della funzione del linoleico sembra evidente.

Per tutte queste ragioni, ci siamo interrogati più e più volte sull’opportunità dei consumi dell’olio di semi, quindi dell’acido linoleico in esso contenuto, nelle diverse condizioni considerate. Nonostante ci sia parso sufficientemente chiaro e imprescindibile che debbano necessariamente esserci dei meccanismi che regolano l’incorporazione dell’acido linoleico nelle membrane cellulari, limitandola o favorendola, il problema che si pone è se dobbiamo valutare un inserimento costante dell’olio di semi nella nostra alimentazione o se dobbiamo correre il rischio che una propaganda ideologica sulla presunta nocività di tale olio possa poi portare al realizzarsi di pericolose situazioni molecolari all’interno dell’organismo?

Io ho registrato alcuni fenomeni relativi all’acido linoleico. Dal punto di vista pratico e non in uno spirito pilatesco, ed essendo comunque un grande sostenitore dell’olio extravergine di oliva, credo di poter recuperare un concetto che tanti anni fa il mio maestro sviluppò in accordo e in amicizia (come esiste fra noi), con i maestri di Giovanni Lercker e Lino Frega, e cioè quello che una ragionata miscelazione fra il migliore degli oli di oliva e il migliore degli oli di semi poteva rappresentare una formula di olio ideale ribadendo in definitiva quello che oggi sembra emergere da queste ricerche avanzate che vedono nuovi aspetti dell’acido linoleico inserirsi prepotentemente in una dinamica fondamentale di regolazione molecolare della funzione cellulare.

La foto di apertura è di Luigi Caricato

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