Olivo Matto

C’è mai stata la tanto auspicata svolta dell’olivicoltura?

Luigi Caricato

Correva l’anno 2014 quando in aprile decisi di riunire a Verona, nell’ambito del Vinitaly, alcune personalità del calibro di Zefferino Monini, Cesare Buonamici, Mauro Lazzari, Juri Battaglini, Laura Turri, Enzo Rossi e Massimo Occhinegro. Coinvolsi anche Antonio Boschetti, direttore del settimanale L’Informatore Agrario, per lanciare con Olio Officina Magazine, un manifesto attraverso il quale dettare i dieci punti fondamentale per il rilancio dell’olivicoltura italiana.

“L’Italia – scrissi allora – non cambierà in seguito alla formulazione di un Manifesto, ma intanto si è potuto lasciare un segno, una testimonianza. Nel senso che qualcuno tra noi ha provato a smuovere il mondo dell’olio e a scuoterlo dall’inedia. Ma se il mondo dell’olio resterà immobile e chiuso in se stesso, inchiodato nelle proprie lamentele, ipocrisie e stati di sudditanza verso il potere esercitato dai soliti noti, se il mondo dell’olio non intenderà reagire, vorrà dire che alla gran parte delle persone va bene mantenere lo statu quo. Ed è giusto, nel caso, che sia davvero così, che nulla cambi, anche perché ciascuno in fondo è responsabile del proprio e dell’altrui destino”.

Cosa è cambiato da allora? Possiamo ritenerci soddisfatti? I dieci punti che avevo elencato sono stati presi in considerazione?

Li riporto tal quali, in modo che siate voi stessi a dare una personale risposta.

  1. Più alberi, perché non è pensabile rinunciare a proiettarsi nel futuro L’Italia è l’unico Paese ad alta vocazione olearia a non piantare olivi. Non investe più in olivicoltura, si limita a mantenere e perpetuare l’esistente.
  2. Meno paura, perché occorre investire soprattutto risorse personali Il grande male dell’Italia è nell’essersi ripiegata su se stessa, dopo essere stata per decenni mantenuta e sorretta da finanziamenti pubblici che hanno solo sottratto spirito di intraprendenza.
  3. Più persone libere, perché non abbiamo più imprenditori indipendenti L’Italia ha perso la tenacia che la contraddistingueva nel passato e c’è sempre qualcuno che fa le veci di qualcun altro, mancando soggetti pronti a mettersi in gioco e a esprimere una fame di gloria.
  4. Meno pastoie, perché non è accettabile che si debba aver timore di lavorare L’Italia si caratterizza per una legislazione bulimica e quasi completamente slegata dalla realtà, soprattutto in materia di olio. Pur valorizzando a parole le imprese, la burocrazia le spegne.
  5. Più ricerca privata, perché non si può declinare tale compito solo allo Stato Nonostante gli antichi fasti del passato, l’Italia non sembra più propensa a sostenere la ricerca come invece avviene in altri Paesi, a partire dalle risorse vive delle imprese, per il vantaggio di tutti.
  6. Meno conflittualità, perché è l’ora di finirla con le eterne contrapposizioni In questo stato d’animo, sempre in eterno conflitto tra le parti, l’Italia si contraddistingue alla perfezione rispetto al resto del mondo, dimostrandosi vocata a farsi del male con le proprie mani.
  7. Più donne, perché è inaccettabile che nei ruoli chiave non abbiano voce in capitolo Il ruolo di primo piano delle donne nel comparto oleario è chiaro a tutti, ma, paradossalmente, non trovano ancora spazio, in Italia, nel far parte attiva, a pieno titolo, della classe dirigente.
  8. Meno nicchia, perché è impensabile che si debbano circoscrivere gli orizzonti In un Paese che pone scarsa attenzione alle strategie commerciali, al marketing e alla comunicazione, occorre ripartire da una visione non più confinata alle sole produzioni d’eccellenza.
  9. Più idee, perché non sta bene che il comparto oleario inibisca lo spirito creativo L’Italia ha grandi talenti, in grado di apportare felici intuizioni e generare innovazioni, ma stupisce la scarsa propensione, da parte chi gestisce il potere e gli spazi d’azione, ad accoglierli e favorirli.
  10. Meno ideologia, perché per il comparto oleario ha bisogno di coscienza critica Investire in cultura puntando sulla formazione e sull’educazione al sapere, è l’unica strada per l’autodeterminazione. Diversamente, si può solo cadere nel vittimismo o nelle autoassoluzioni.

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