Gli eroi dell’olivicoltura estrema
Ricostruire la cattedrale degli olivi è possibile. Occorre solo crederci, e scommettere tutta la propria vita. Ci vuole dedizione e tenacia, perché si tratta di una sfida quasi impossibile, anche se a ben riflettere non è affatto utopia. C’è un nuovo modo di "fare impresa" che richiede una nuova coscienza civica del consumatore e il pieno sostegno del progetto di "alcuni sognatori" che si riconoscono nei valori di TreeDream
Gentile Direttore, Le scrivo come Segretario di TreeDream per fare il punto sul nostro progetto di rinascita dell’olivicoltura d’alta quota, e in particolare sul Progetto Taggialto, che si riferisce alla cultivar taggiasca in alta quota.
Scopo di questa lettera è un’aperta riflessione critica sui metodi nuovi da noi utilizzati per raggiungere certi traguardi in tempi relativamente brevi.
Questi metodi nuovi, in estrema sintesi, possono essere sintetizzati in un principio di lealtà comunicativa fondata su un rapporto di fiducia: la fiducia come “principio di innovazione economica”, secondo la felice espressione di Damiano Fuschi (Video QUI).
“L’azione politica di Flavio Lenardon costituisce un punto di svolta, una vera e propria innovazione economica in un processo produttivo: competitor imiteranno il modello di fiducia che si occupa realmente del territorio e considera il profitto solo un indicatore e uno strumento.”
Damiano Fuschi
Azione politica? Ma non stiamo parlando d’olio? Al lettore che giustamente esprima questa perplessità chiediamo la meditata, completa lettura del contenuto di questo documento. La lettura potrebbe anche ispirargli un sentimento di rispettosa ammirazione verso alcuni autentici eroi civici: degni rappresentanti di quegli olivicoltori che non si sono permessi di abbandonare le loro terre per una ragione “morale”: sono le terre che hanno ricevuto dai loro genitori e, come scriveva Giovanni Boine, in quelle terre i padri avevano fissato il loro destino.
INDICE DELLA LETTERA
1. Il pensiero che crea un problema non lo risolve
2. Il nostro modo nuovo di “fare impresa”
3. La nuova coscienza civica del consumatore
4. Il progetto di “alcuni sognatori”
5. Come un popolo nella cattedrale degli ulivi
6. La pianta di olivo è la vera protagonista del messaggio
7. La parabola dei tre tagliapietre
8. La restaurata “regalità dell’individuo”
9. Sette (ri)costruttori di una cattedrale
1. Il pensiero che crea un problema non lo risolve
La fiducia di cui parla Damiano Fuschi è stata da noi perseguita innanzitutto verso gli olivicoltori per persuaderli a perseverare nel mantenere ancora gli oliveti d’alta quota (nel video Fuschi dà personale testimonianza: “ho visto Flavio Lenardon e Giuseppe Stagnitto che andavano a bussare alle porte degli olivicoltori e si facevano conoscere, con pazienza, fino ad ottenere la loro fiducia”).
Ma la fiducia è principio di innovazione economica soprattutto se fonda il rapporto con tutti i protagonisti del mercato, consumatori finali compresi.
Caro Direttore, noi non crediamo che la battaglia che Lei ci sta aiutando a combattere – battaglia che possiamo certamente estendere all’intera olivicoltura dei territori montani – possa essere vinta ricorrendo alle cosiddette certificazioni ufficiali che poco interessano, secondo nostra esperienza diretta, ad una certa classe di consumatori.
Durante le Giornate di Presentazione del Taggialto da Peck a Milano abbiamo illustrato personalmente il nostro progetto di rinascita dell’olivicoltura d’alta quota a circa 500 persone, molte delle quali competenti e interessate: non una, ripeto, non una sola di queste 500 persone se ne è dimostrata minimamente interessata.
In sintesi: se l’olio è percepito degno di appartenere alla “fascia alta del mercato”, non sono richieste ulteriori attestazioni.
Per queste nostre giornate milanesi, Lei ha avuto per noi parole di cordiale apprezzamento: QUI
“Provare a fare ingresso sugli scaffali prestigiosi di un riconosciuto tempio internazionale della gastronomia qual è Peck, non è da tutti. Loro ci sono riusciti, e non da poco, ma da diversi anni. Il Taggialto piace, si vende, perché non c’è nella bottiglia solo l’olio, ma altro: il valore aggiunto dell’alta quota, ma, soprattutto, una progettualità, una storia, un senso di compiutezza.”
Anche se il Taggialto ha caratteristiche che lo rendono unico, noi siamo persuasi che la maggior parte degli oli ottenuti dalle cultivar nelle regioni montane italiane meriterebbe di appartenere al mercato di “fascia alta” dell’olio extravergine.
Il nostro successo potrebbe pertanto esser trainante per più vasti territori.
Questa lettera vorrebbe sensibilizzare imprenditori, politici e amministratori affinché non cadano nella tentazione di risolvere “burocraticamente” un problema che appartiene ad un livello diverso.
Come dice la nota frase attribuita ad Einstein: non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo”.
Sarà stato Damiano Fuschi profeta nel prefigurare un prossimo futuro nel quale “competitor imiteranno il modello di fiducia che si occupa realmente del territorio e considera il profitto solo un indicatore e uno strumento.”?
2. Il nostro modo nuovo di fare impresa
Innanzitutto chiariamo che il nostro nuovo modo di fare impresa si fonda su un trinomio inscindibile: un Movimento culturale, un’Azienda che esercita la “sinduzione” (secondo il neologismo da noi coniato) e un Progetto d’azione concreta, reso pubblico perché doveva essere pubblicamente condiviso.
Infatti, l’Azienda che opera in modo “sinduttivo” agisce consapevolmente a più livelli, inseguendo integralmente lo “spettro” degli interessi di quell’organismo vivente che essa è; di conseguenza la comunicazione aziendale deve prendere coscienza della responsabilità del proprio compito.
Il Sole 24 Ore (QUI) parla di “una sorta di network della sostenibilità agro-alimentare e ambientale che è in realtà molto di più. Nel giro di pochi mesi nel 2009 nascono infatti una società (la srl Tesori della Costa, che si definisce azienda “a responsabilità politica”), un movimento culturale (TreeDream) e un piano d’azione concreto, il “Progetto Taggialto”.
Perché diciamo che è “nuovo” il nostro modo di fare azienda?
Lasciamo il giudizio finale ai lettori dopo averli invitati a considerare quanto segue.
– Quando, a memoria d’uomo, un’azienda privata ha anteposto, nel proprio oggetto sociale, le iniziative culturali a quelle produttive, commerciali od economiche; affermando così, nel modo più esplicito, che non vanno confusi fini e mezzi?
– Quando, a memoria d’uomo, è mai avvenuto che un’impresa si sia raccontata praticamente in “tempo reale”, ad esempio scrivendo lettere aperte programmatiche (vedi i punti successivi) o redigendo pubbliche cronache documentanti i passaggi concettuali seguiti dai responsabili per l’ideazione dei marchi? (Nascita del nome Taggialto: QUI);
– Quando, a memoria d’uomo, un’impresa privata ha dichiarato di perseguire nel modo più esplicito un obiettivo politico (restituendo all’aggettivo politico il significato etimologico)?
(Impresa con responsabilita politica: QUI)
– Quando, a memoria d’uomo, è avvenuto che un’impresa privata abbia esercitato funzione sociale e culturale non “a lato” del suo essere azienda ma proprio nel cuore stesso della sua attività? A questo proposito cito alcune Sue parole, Direttore: “Lenardon e Stagnitto stanno guidando una rivoluzione civile e silenziosa che merita ampio rispetto e attenzione”)
(La mia parola vale: QUI)
Con paziente perseveranza Flavio Lenardon, nelle serali riunioni di TreeDream, ha svolto per anni un’attività quasi “filologica”, perché per prima cosa si doveva ricostruire il “significato” delle nostre stesse parole. Questo video sottolinea il valore “filosofico” della paziente operazione culturale e politica da lui compiuta: Abbiamo visto Socrate in azione: QUI
– Quando, a memoria d’uomo, un’impresa ha concesso l’uso gratuito del marchio da essa ideato e registrato agli operatori (nel caso i piccoli frantoiani) che aderiscano ai principi fondatori di un movimento culturale, riservandosi solo la commercializzazione per la custodia del marchio stesso?
– E infine quando mai, a memoria d’uomo, un’impresa ha esplicitamente e pubblicamente chiarito che “non vuole rivenditori e non vuole clienti”: ricerca invece persone che credono nel Progetto Taggialto e vogliono sostenerlo. Rivendere o acquistare una bottiglia di Taggialto deve essere un atto di responsabile scelta politica”.
Che queste non siano semplicemente frasi ad effetto può essere dimostrato semplicemente leggendo un estratto del comunicato redatto dall’Uffico Comunicazione e Marketing di Peck:
Abbiamo scelto di sposare la nobile causa di Tesori della Costa per supportare la difesa dell’olivicoltura d’alta quota e dell’olio di straordinaria qualità che ne deriva …
Domanda chiarificatrice: non vedono i nostri imprenditori, politici e amministratori le “nobili cause” che giustamente potrebbero sostenere l’intero comparto dell’olivicoltura montana?
Direttore, ci domandiamo: deve sempre la forza prevalere sulla ragione?
La forza di cui parliamo è una forza di attrito colossale che per mantenere l’attuale stato delle cose finge di ignorare la portata rivoluzionaria dell’iniziativa di TreeDream.
La ragione è talmente semplice che può afferrarla un bambino. Le iniziative, anche istituzionalizzate, di salvaguardia del territorio fondate su un principio di omogeneizzazione territoriale hanno condotto al degrado quasi irreversibile dell’olivicoltura montana.
3. La nuova coscienza civica del consumatore
Durante le Giornate di presentazione del Taggialto noi abbiamo verificato che sta prendendo sempre più piede una nuova coscienza civica del consumatore, il quale, insieme “al gusto dei sensi e delle emozioni, vuole, ora, anche la consapevolezza di partecipare a ciò che è utile allo sviluppo dell’uomo”. Abbiamo fatto nostre la bella espressione di Alfonso Pascale che nel suo intervento a OOF 2016 (Video QUI) ha anche detto:
“il consumatore vuole conoscere le motivazioni di fondo che spingono a produrre questo particolare olio” …
“raccontare la propria storia è un elemento fondamentale per costruire la fiducia”.
Le nostre motivazioni di fondo?
Lei ci è testimone, Direttore, che per anni noi non abbiamo “cercato di vendere”, perché le urgenze erano altre: per noi la vera urgenza era ricreare una coscienza di identità che i contadini avevano praticamente perduto!
Non è stata questa un’operazione di altissimo valore politico che avrebbe dovuto essere colta e “favorita”(come prescrive l’art. 118 della nostra Costituzione) dalla mano pubblica?
Raccontare la nostra storia?
Lei ci è testimone, Direttore, che per anni, abbiamo insistito nel criticare la concezione che appiattisce ad una sola dimensione una realtà complessa come quella di un’impresa.
L’analogia più corretta per comprenderne la dinamicità non è quella di una macchina, ma quella di un “organismo”: questa analogia ci guida a capire che l’interazione tra organismo ed ambiente fa sì che è proprio nel perseguire una finalità comune che si realizza il massimo beneficio!
La rinascita dell’olivicoltura d’alta quota ha valore morale e civile: si potrebbe essere ancora in tempo per salvare meravigliosi territori, evitare disastri ecologici (è il sistema dei terrazzamenti montani che protegge dalle frane) e probabilmente salvare anche vite umane.
Ecco la nostra storia: noi siamo arrivati in un luogo ove nessuno vedeva più un valore (la logica produttiva infatti diceva: poiché la coltivazione degli oliveti ad una certa quota non è suscettibile di meccanizzazione, essi sono oggettivamente destinati a morire, un sacrificio da accettare in nome dell’inevitabile progresso) e abbiamo condotto una campagna comunicativa impressionante se paragonata alla povertà dei mezzi.
In poche parole, sembrerebbe proprio che con la nostra azienda, noi abbiamo, seguendo la nostra naturale inclinazione, – sulla via aperta, nel campo della comunicazione, proprio da Lei Luigi Caricato – letteralmente creato un nuovo mercato.
4. Il progetto di “alcuni sognatori”
Direttore, il 28 settembre 2012, Lei pubblicava la Lettera aperta del Presidente di TreeDream al Presidente della Regione Liguria QUI e la presentava come l’esposizione di un progetto di alcuni sognatori “pronti a tradurre in realtà le loro più nobili aspirazioni”.
Il progetto descritto nella lettera aperta era quello della rinascita dell’olivicoltura d’alta quota italiana, per salvare dalla totale estinzione una “cultura” (cultura di olivi e di uomini allo stesso tempo).
La lettera partiva dal dato obiettivo seguente: l’olio che si trae dagli oliveti sopravvissuti in quota, in zone di diffuso abbandono, è oggettivamente superiore all’olio che si trae dagli oliveti generalmente coltivati.
Lei Direttore è stato il pioniere indiscusso nella comunicazione della necessità di questa differenziazione. Infatti già in un libro del 2005, intitolato Extravergini d’alta quota, pdf QUI aveva scritto che è necessario “far comprendere i motivi per cui gli oli di montagna abbiano costi di produzione del tutto differenti, ma anche un profilo sia chimico-fisico, sia sensoriale diverso rispetto a oli di pianura“.
Scopo esplicito della lettera aperta non era quello di chiedere contributi pubblici ma trasmettere il senso dell’urgenza di un’attività comunicativa che rimedi agli errori del passato: infatti non avendo mai differenziato opportunamente l’olio d’alta quota se ne stava condannando all’estinzione l’olivicoltura.
In risposta alla lettera aperta sono giunte tante attestazioni di solidarietà anche se, come Lei ben sa, in questi successivi anni, l’onore e l’onere di questa attività comunicativa è, purtroppo, ricaduta unicamente sulle povere spalle di pochissimi: tra essi, ovviamente, Lei e certamente noi del movimento culturale TreeDream.
Uno degli scopi di TreeDream è invitare a “guardare gli olivi d’alta quota con occhi nuovi” come nella felice espressione da lei usata al Congresso Nazionale di Olio Officina del gennaio 2013 Interventi e video QUI .
Quel giorno, caro Direttore, Lei ha utilizzato parole solenni: “i terrazzamenti d’alta quota sono un inno a Dio” e, ricordando un famoso brano di Giovanni Boine, pubblicato oltre un secolo fa, li definiva una “cattedrale dello spirito”.
Riprendo qualche frase di Giovanni Boine:
Non ci han lasciati palazzi i nostri padri, non han pensato alle chiese, non ci han lasciata la gloria delle architetture composte: hanno tenacemente, hanno faticosamente, hanno religiosamente costruito dei muri, dei muri a secco come templi ciclopici, dei muri ferrigni a migliaia, dal mare fin su alla montagna! (…) Come il popolo di una città medioevale, la cattedrale sua, così noi nei secoli. (…) La nostra cattedrale! Gli uliveti folti, boscosi, d’argento per tutto! avevamo fatto il nostro destino, il destino nostro era ora conchiuso; i padri finalmente avevano fissato il nostro destino. E noi fummo fra gli ulivi come un popolo antico nella sua cattedrale: ogni nostra speranza era lì, ogni nostra sicurezza era lì, negli ulivi.
5. Come un popolo nella cattedrale degli ulivi
Il giorno 13 luglio 2013 TreeDream ha voluto realmente attualizzare il pensiero di Boine, con una celebrazione religiosa chiamata appunto “Come un popolo nella cattedrale degli ulivi” (QUI), alla presenza del Vicario Generale della Diocesi di Albenga-Imperia.
Nel mio intervento iniziale dicevo:
In questi giorni ho avuto necessità di ristudiare la “Lumen Gentium”, che, anche se scritta cinquanta anni fa, è più che mai attuale. La più solenne enciclica del Concilio esorta i laici perché risanino le istituzioni e le condizioni del mondo. E’ compito di noi laici costruire le condizioni perché la Chiesa possa in ogni luogo divenire il “sale della terra”.
Questo, semplicemente questo, è ciò che sta facendo, in questo angolo della Terra,TreeDream.
Flavio Lenardon è un puro. Il compito che si è assunto è semplicemente “titanico”.
Da solo non può farcela. Ha bisogno di un sostegno sovrannaturale.
Noi confessiamo oggi la nostra fragilità, e per questo abbiamo chiesto a voi, Sacerdoti di Cristo, di benedire la nostra speranza, di benedire questo nuovo giorno.
Come vede, caro Direttore, il mio idealismo mi spinge ad utilizzare parole insolitamente “forti”. Anche nella “HOME” del sito Taggialto.it (Collegamento QUI) mi esprimo senza riserve:
“La fede di un uomo può salvare un mondo”: in questa nostra avventura – che ha ormai coinvolto tanti – l’uomo si chiama Flavio Lenardon e il mondo da salvare è quello dell’olivicoltura d’alta quota. Se il sottoscritto può vantare un merito è di aver creduto per primo, incondizionatamente, nella sincerità di questa vocazione e nella forza, quasi soprannaturale, con cui Flavio Lenardon ha perseverato nella sua missione: come ogni “vero” riformatore, egli non vuole distruggere, ma riedificare.
Durante la celebrazione tra gli oliveti è stato ripreso un rito antichissimo (l’unzione di una pietra come riportato dal libro della Genesi). Mons. Brancaleoni benedicendo la nostra iniziativa per la rinascita dell’olivicoltura di montagna italiana, l’ha definita profetica (“la Profezia credo si attui in modo particolare per quello che avete intrapreso e volete portare avanti”): dal rito religioso è pertanto scaturita una “coscienza di identità” soprasensibile che rende vani i tentativi di soffocarne la forza spirituale.
Perché abbiamo dovuto chiedere di riconsacrare questo nostro territorio?
Perché questo nostro territorio era stato profanato da una cultura estranea a quella dei contadini, una cultura che identifica la forza con la ragione (“forza e diritto non sono la stessa cosa? ” chiedeva malignamente Mefistofele nel Faust).
Dietro il piano degli avvenimenti esteriori e visibili vi è lotta spirituale: in questa lotta abbiamo voluto rassicurarci di essere dalla parte del Cristo: infatti la nostra unica arma è il diritto del Logos, cioè della Ragione.
A questo proposito, nella lettera aperta del 2012 Flavio Lenardon scriveva:
Il contadino non si è mai arreso ad una concezione ideologica e disumana che impone una visione mercantile dei rapporti umani, come non si è mai arreso ad una concezione delle pubbliche istituzioni quali detentrici di un potere che troppo spesso esibiscono abusandone, proprio come gli antichi padroni romani esibivano la sferza ai loro schiavi.
6. La pianta di olivo è la vera protagonista del messaggio
Siamo giunti al punto: novità del nostro modi di “fare impresa” è di avere dato finalmente la parola ai primi artefici del processo che partendo dagli elementi naturali arriva a quel distillato magico che è l’olio d’oliva.
Questi primi artefici sono i contadini olivicoltori, i veri alleati e collaboratori della natura.
Direttore, Le rivolgo una domanda diretta e la Sua risposta è autorevole, considerato che oltre all’infaticabile missione giornalistica comunicativa per la difesa della qualità dell’olio, Lei dirige da anni l’unico congresso nazionale unicamente dedicato al mondo dell’olio.
Quando è mai successo, prima della nostra iniziativa, che un’azienda operante nel mercato dell’olio (non nel mercato agricolo) abbia considerato “prioritario” che siano i contadini olivicoltori stessi a prendere la parola?
Questa nostra scelta è la conseguenza necessaria di una consapevolezza: l’odierna lealtà comunicativa, riguardo la qualità di un olio, riduce il messaggio all’essenziale: l’olio d’oliva deve ottenersi semplicemente spremendo le olive e quindi la qualità dell’oliva ne determina la virtù.
(Vedi, al proposito, il contenuto della nostra relazione al Congresso OOF 2016: Come ti comunico l’olio QUI).
La pianta d’ulivo diventa, finalmente, la vera protagonista del messaggio: come Lei scrive, Direttore, l’olio è semplicemente un “puro succo di oliva”( un-succo-di-oliva QUI) e, pertanto, si deve ottenere semplicemente spremendo le olive. Cultivar differenti danno necessariamente oli differenti.
Olive ottenute da piante in condizioni “estreme” di stress (in alcuni casi, al limite stesso della fruttificazione) danno oli con caratteristiche uniche, differenti dall’olio che si ottiene da piante della stessa cultivar cresciute a quota inferiore.
Ne deriva che nella nostra nuova comunicazione l’olio non è “prodotto”, ma “sindotto”.
E’ stato necessario creare un nuovo termine, “sinduzione”: produrre vuol dire, letteralmente, “portare avanti”; sindurre vuol dire invece “portare insieme con altri”.
Gli olivicoltori condividono, insieme con altri operatori, il vanto di un’azione collettiva che salvaguarda il risultato di una fatica secolare (e a volte millenaria): il progetto audace di terrazzare intere montagne può infatti rinnovarsi, con civica consapevolezza, nella coscienza ecologica attuale.
7. La parabola dei tre tagliapietre
Dopo la pubblicazione della lettera aperta del 2012, seguirono oltre duecento commenti, tutti di apprezzamento, come i lettori possono agevolmente constatare.
Tra i commenti vi fu chi (il dott. Giulio Pasi) ricordò l’aneddoto dei tre tagliapietre, riportato anche, in un libro del noto psichiatra Roberto Assaggioli:
Un visitatore entrò nel cantiere dove nel Medioevo si stava costruendo una cattedrale. Incontrò un tagliapietre e gli chiese: “Che cosa stai facendo?” L’altro rispose: “Non vedi, sto tagliando delle pietre”.
Il visitatore passò oltre e incontrò un secondo tagliapietre; anche a questo egli chiese cosa faceva. “Sto guadagnando di che vivere per me e per la mia famiglia”, rispose l’operaio.
L’altro proseguì ancora e, trovato un terzo tagliapietre, gli rivolse la stessa domanda. Questi rispose: “Sto costruendo una cattedrale”.
Roberto Assagioli, tratto da Per vivere meglio.
Gulio Pasi ha aggiunto: l’iniziativa di TreeDream mi sembra si collochi proprio al livello dell’uomo che ha la coscienza di partecipare alla costruzione di una cattedrale.
Nel commento di Giulio Pasi ho evidenziato un’espressione che propongo all’attenzione sufficientemente prolungata dei lettori: tre uomini si presentano nella stessa identica situazione materiale, con in mano gli stessi strumenti, ma solo uno dei tre ha coscienza di partecipare alla costruzione di una cattedrale (uno solo dei tre “va oltre il quotidiano”, come dice il mio Presidente).
Riporto ora un brevissimo brano, tratto da una testimonianza pubblica di Rino Pellegrino:
Vedete, con TreeDream è successa una cosa che mi ha meravigliato.
Noi altri contadini siamo individualisti.
E’ difficile riunire i contadini.
TreeDream è riuscito a riunirci.
Nazarino (Rino) Pellegrino
8. La restaurata “regalità dell’individuo”
Proviamo a rispondere alla domanda implicita nelle affermazioni di Rino Pellegrino: come è riuscito TreeDream a riunire i contadini? La risposta a questa domanda apparirà a molti lettori sorprendente, riteniamo tuttavia doveroso il nostro sforzo per chiarire questo punto vitale in quanto vediamo in esso la chiave di volta per un’azione risolutrice che potrebbe risollevare tutto il comparto dell’olivicoltura montana.
Gli stessi principi per i quali si è riunificata la volontà dei contadini con i risultati positivi che oggi cominciamo ad avvertire, potranno infatti servire per riunificare la volontà dei piccoli frantoiani.
Infatti, in un caso andava risvegliato il coraggio morale di mantenere vive piante di olivo in condizioni di coltivazione estreme, e, nel secondo caso, va risvegliato il coraggio morale per ristabilire la verità delle cose e combattere apertamente le politiche monopolistiche e di omogeneizzazione territoriale, prima causa del degrado dell’olivicoltura montana.
Flavio Lenardon ha consapevolmente esercitato una magistrale operazione maieutica col fine di ricostruire tra i contadini quella coscienza di identità che essi avevano quasi perduto.
Questa perdità di identità è documentata dalle loro stesse parole.
“Prima che Flavio Lenardon ci “ricordasse” che le olive d’alta quota sono differenti da quelle di pianura (tanto che i nostri vecchi dicevano che più l’oliva cresce in alto e lontano dal mare più è buona) noi ci eravamo dimenticati il motivo stesso per cui faticavamo a coltivare gli olivi in condizioni così difficili, in quanto nessuno frantoiano era disposto a pagare una differenza di prezzo. Lo facevamo solo per dovere perché cosi facevano i nostri padri e lasciare quelle terre abbandonate ci sembrava un tradimento.”
Ovviamente questa consapevolezza della differenza caratterizzante l’olio ottenuto da olive di alta quota ha avuto importanza determinante per creare quel nuovo mercato che sta salvando il territorio più vulnerabile in quanto più esposto al rischio dell’abbandono.
Tuttavia questa sola consapevolezza non era sufficiente per persuadere intimamente i nostri olivicoltori a perseverare nei sacrifici necessari al loro ministero.
Flavio Lenardon, nel suo sforzo rivoluzionario, non poteva cioè limitarsi a dire “mantenete la coltivazione di questi olivi al limite del bosco perché abbiamo l’obiettivo di creare un nuovo mercato che compensi il vostro sacrificio”.
Non comprende il lettore il rischio di sostituire alla motivazione nobile (anche se percepita quasi oscuramente) legata solamente al senso del dovere questa sola, diversa, motivazione?
Perché, in altre parole, Flavio non poteva limitarsi a questa esortazione che pure sembra così carica di buon senso economico?
Ritorna la stessa domanda che c’era stata posta anni fa in un incontro pubblico con un docente della Bocconi: che importa questo vostro idealismo con le nude realtà economiche e finanziarie che reggono il mercato?
Ricordo che allora avevamo risposto citando la nota affermazione di Benedetto Croce: l’economia non conosce oggetti fisici ma azioni.
Caro Direttore, come lei sa, io sono un ingegnere e quindi opero con oggetti fisici dei quali oggettivamente misuro volumi e calcolo pesi ma mai, ripeto, mai ho potuto constatare che un concetto come il “valore” possa essere parimenti correlato agli oggetti della mia riflessione professionale.
In altre parole il volume di una costruzione non dipende dal desiderio e dalla volontà di chi la considera mentre il prezzo della stessa costruzione ne è fondamentalmente condizionato.
Prova ne è, ad esempio, che la sistemazione o la demolizione di quella costruzione richiede necessariamente un certo tempo, mentre il suo valore può essere raddoppiato o annullato in un solo istante.
Il solo errore filosofico per cui non distinguiamo questi differenti livelli porta alla confusione dei concetti, all’inefficacia delle azioni e alle sofferenze umane che ne conseguono.
Ecco perché Flavio Lenardon ribaltando tutti i luoghi comuni consolidati riguardo l’agire economico si è posto come primo obiettivo quello di “curare l’anima”, nostra e quella degli olivicoltori, offesa perché contaminata da una cultura estranea ai nostri valori.
Da Platone abbiamo infatti appreso che lo Stato è un immagine ingrandita dell’anima dei cittadini, tanto è vero che uno dei suoi capolavori è allo stesso tempo uno studio dell’anima dell’uomo e delle forme dello Stato (ovvero della civile convivenza).
In uno dei nostri documentari Flavio dice “non abbiamo avuto cura di queste piante perché non abbiamo avuto cura di noi stessi” (Muro a secco QUI)
Pertanto Flavio ha come prima cosa “restaurato” la nostra comune dignità, ristabilendo il valore dell’oralità: in TreeDream l’accordo verbale vale più del contratto scritto.
Questa ritrovata “regalità dell’individuo” (uno degli otto principi di TreeDream) ha dato i suoi primi frutti positivi.
9. Sette (ri)costruttori di una cattedrale
Il contadino è un uomo libero, con un altissimo senso dell’onore.
L’onore, come scriveva Simone Weil, è la coscienza di partecipare ad una tradizione cui si riconosce un valore.
I contadini di TreeDream, contro l’invadente logica di diffidenza instillata dalla cultura contemporanea, hanno avvertito che Flavio Lenardon operava avendo a cuore il bene della comunità che intorno a lui si stava ricreando.
E’ esperienza condivisa: quando Flavio parla qualcosa cambia in tutti noi che lo ascoltiamo. Sentiamo che ritorna la voglia di lavorare (come persone libere) perché in ognuno di noi si risveglia il senso del dovere di ritornare responsabili del proprio destino.
Ed è infatti un progetto “condiviso” che riunifica la volontà di tanti.
Caro Direttore, Le chiedo la cortesia di pubblicare con grande evidenza le fotografie finali di questa lettera: sono quelle di sette olivicoltori, appartenenti al nucleo storico di TreeDream, degni rappresentanti di quei contadini che, come loro, “non hanno tradito”.
Per la difficoltà della coltivazione degli olivi ad alta quota, pochi di essi riescono a vivere grazie al solo lavoro agricolo: tanto più è ammirevole la loro costanza nel mantenere questi oliveti in posizioni “estreme”. In diversi video TreeDream ha documentato la loro incredibile fatica.
Invitiamo i lettori a rilevare la fierezza e la gioia ritrovata che risplende apertamente nel loro sguardo: anche essi, come il terzo tagliapietra della parabola, dicono con orgoglio: “stiamo (ri)costruendo una cattedrale”.
Scriva con lettere grandi, caro Direttore, i loro nomi. Usi, per piacere, caratteri cubitali.
Li additi come luminoso esempio di virtù civica.
Stiamo parlando di persone che si alzano ancor prima dell’alba perché hanno imparato l’arte di comandare a sé stessi.
Sono i veri protettori (volontari) dell’ambiente e del territorio. Ad esempio, nella regimentazione delle acque, ognuno si sente responsabile per tutti. Ho visto che Rino Pellegrino fa ancora oggi quello che faceva mio nonno e i contadini della famiglia di mia moglie: quando piove a dirotto non sta in casa riparato.
Al contrario, si mette un impermeabile e gira per gli oliveti, con la zappa per guidare gli scoli delle acque, intervenendo “in diretta” ove il rischio di smottamenti è maggiore.
Se le note tragedie cui ci stiamo purtroppo abituando non hanno avuto un maggior numero di vittime, il merito è di questi uomini superiori!
Sono essi che hanno continuato a portare avanti – con sacrificio, forza e determinazione – questo lumicino che è l’olivicoltura d’alta quota: TreeDream è il tramite di un messaggio di speranza, affinché non si spenga per sempre.
Scriveva Giovanni Boine:
noi fummo dunque, per fatica dei padri, uomini in cospetto del mondo …
Questa lettera, caro Direttore, Le offre una nuova preziosa occasione di “testimoniare”.
Mi permetto questa esortazione perché ho presente una Sua toccante confessione biografica, resa pubblicamente proprio il giorno della riconsacrazione dei territori olivicoli montani.
Io sono figlio di olivicoltori. Così, a un certo punto della mia vita mi sono detto: perché mio padre si alza alle quattro e mezzo del mattino? Purtroppo non sempre c’è la giusta renumerazione per il proprio, duro, lavoro: si lavora tanto, e il prezzo dell’olio non giustifica l’impegno e il grande sacrificio.
Ero ragazzino, e questo mio pensiero lo vivevo come un senso di grande ingiustizia.
Ed è qui che è subentrato il grande scrittore Giuseppe Pontiggia, quando mi ha detto: “Bene, allora tu hai questo compito: testimoniare”.
Con molta gratitudine e molta stima.
Giuseppe Stagnitto
Segretario di TreeDream
Movimento culturale per la rinascita dell’olivicoltura d’alta quota italiana
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