Saperi

L’uomo ha integrato la tecnica dentro di sé. Per ritrovarci occorre una nuova antropologia

Oggi noi siamo nel pieno di una rivoluzione tecnologica immensamente più coinvolgente di quelle che l'hanno preceduta. Con una dislocazione del potere economico che ha messo dovunque in difficoltà gli strumenti della politica e della democrazia e ha provocato improvvisi vortici di disuguaglianze e di esclusioni che non si sa come fronteggiare. Su questi temi si interroga Aldo Schiavone, con il libro intitolato Progresso, edito da il Mulino

Alfonso Pascale

L’uomo ha integrato la tecnica dentro di sé. Per ritrovarci occorre una nuova antropologia

Questi sono giorni da dedicare alla lettura, allentando la presa dalla quotidianità. Sto finendo di leggere il bel libricino di Aldo Schiavone intitolato Progresso, una parola che ci siamo abituati ad evitare perché evocherebbe lontane ingenuità intellettuali. In realtà, questa idea resta essenziale: senza di essa difficilmente potremmo progettare il futuro e, soprattutto, comprendere cosa siamo.

Lo studioso scrive: “Il progresso tecnico definisce la forma generale di ‘tutta’ la storia dell’umano, nell’infinita varietà dei suoi aspetti particolari. Ciò non vuol dire che la spinta in avanti assicurata da questo avanzamento si trasferisca meccanicamente da un piano all’altro, e che tutto proceda insieme allo stesso tempo. Ma significa che l’intera storia riflette e rielabora in ogni sua parte il progresso della tecnica, e ne costituisce per così dire un’interpretazione, che può condurre in direzioni differenti: verso l’abisso o verso una realizzazione sempre più compiuta dell’umano. La scelta dipende dal rapporto, che ogni volta si realizza, fra controllo e potenza, fra ragione e dominio. E si tratta di una relazione che, sui tempi lunghi, ha teso finora sempre più a riequilibrarsi dalla parte della ragione”.

Sappiamo che la storia dell’umano, nell’insieme della storia della vita, è una storia solitaria e preziosa. Uso questi aggettivi senza alcuna connotazione trascendente, ma solo per dire che questa storia è il risultato di un percorso evolutivo e culturale irripetibile, che dalla nascita dell’universo, e poi dall’inizio della vita negli oceani di questo pianeta, è arrivata sino a ciascuno di noi.

Oggi noi siamo nel pieno di una rivoluzione tecnologica immensamente più coinvolgente di quelle che l’hanno preceduta. Con una dislocazione del potere economico che ha messo dovunque in difficoltà gli strumenti della politica e della democrazia e ha provocato improvvisi vortici di disuguaglianze e di esclusioni che non si sa come fronteggiare. In tale cambiamento e nei conflitti che esso produce, non riusciamo (almeno in Occidente) a vedere più il significato progressivo del nesso fra tecnica e liberazione. Sovrasta tale nesso il peso di macerie sociali e culturali, lo sbriciolarsi di intere classi e della loro impalcatura istituzionale e ideale. Si è conclusa l’età dell’oro del lavoro moderno. provocando uno shock, innanzitutto culturale, dal quale non sappiamo uscire.

Concordo pienamente con Aldo Schiavone quando afferma che dalle difficoltà non usciamo pensando di comprimere la forza della tecnica. Lo slancio tecnologico è inarrestabile. E da esso dipende – e dipenderà sempre più – l’intera economia del pianeta. “L’unica via praticabile – egli scrive – è quella di un adeguamento di tutta la nostra civiltà, tale da renderci capaci di sostenere l’impatto del cambiamento e di guidarlo; di riequilibrare ancora una volta, e nel suo punto più alto, il rapporto fra controllo e potenza, fra tecnica e liberazione”.

Per uscire dalle difficoltà, ci vuole un pensiero sull’uomo (e non solo di tecnica e di sapere scientifico). E ci vuole anche una riforma della democrazia. Questi due elementi – costruzione di un pensiero sull’uomo e riforma della democrazia (da implementare oltre lo Stato) – devono andare di pari passo, sostenersi e completarsi reciprocamente. Se pensiero e politica democratica non vengono realizzati insieme, mancheranno entrambi il loro scopo. Solo così la tecnica potrà esprimere tutta la sua funzione liberatrice nei confronti dell’umano.

L’uomo ha integrato la tecnica dentro di sé; e questa novità abbisogna ora della fondazione di una nuova antropologia culturale, politica e morale in grado di accompagnare e orientare la rivoluzione che stiamo vivendo e che è appena ai suoi inizi.

L’autore del libro afferma con nettezza, sviluppando un ragionamento convincente, che sia il paradigma dell’individuale (la sovranità del personale), sia quello collettivo (il “noi” al posto dell'”io”) non sono più in grado – o almeno non lo sono più da soli – di coincidere con l’interezza dell’umano. Man mano che prendiamo coscienza di essere una specie che sta per andare oltre i confini biologici che le ha imposto la sua storia evolutiva, se non superiamo l’esclusivismo individualista della nostra rappresentazione, rischiamo di diventare autentici nemici del pianeta.

Questo naturalmente non significa abbandonare il dispositivo persona-individuo, elaborato con tanto successo dalla modernità. Ma bisogna fare un passo ulteriore. C’è una soggettività globale della specie, che non dice “Io”, ma parla solo in terza persona: la lingua dell’impersonale, che è in grado di esprime un valore infinito, quello della vita autocosciente, unica (per quanto oggi ne sappiamo) nell’infinità dell’universo.

L’economia globale esige, per potersi riequilibrare, di essere messa a confronto con una soggettività altrettanto globale: che non può essere costituita se non dall’impersonalità dell’umano nel suo complesso (che si aggiunge per inclusione alla soggettività finora realizzata dalla nostra storia evolutiva). Ci attende, dunque, un impegno pieno di speranza per costruire un mondo con lo sguardo rivolto al futuro.

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