Saperi

Un riccio cobalto

La periodica mattanza di ricci appartiene alla scena del mondo. La natura fa solo da comparsa, da prestatrice d’opera occasionale, richiesta in scena per una fulminea resa dei conti, per un sacrificio casuale quanto implacabile. È noto che i ricci stanno alla strada come il bersaglio all’arco

Nicola Dal Falco

Un riccio cobalto

Ospitare un riccio è più che una buona azione è un auto da fè: il tentativo di caricarsi sulle spalle – solitaria assunzione di colpa – un misfatto senza confini di luogo e di tempo.
La periodica mattanza di ricci appartiene alla scena del mondo.
Preciso mondo, perché la natura fa solo da comparsa, da prestatrice d’opera occasionale, richiesta in scena per una fulminea resa dei conti, per un sacrificio casuale quanto implacabile.
È noto, infatti, che i ricci stanno alla strada come il bersaglio all’arco e il sale all’acqua.

Un fato che solo con gaudio manicheo, potremmo ribaltare, affermando che il fato dei ricci equivalga nella sua discutibile passività, al fato dell’asfalto, il quale sopporta diligentemente la diuturna ostensione.Dice il Fisiologo che il riccio si rotoli, lussurioso, sotto i meli per fare incetta dei frutti caduti, usando i suoi aculei come spiedi.

Quando il copertone li centra e passa oltre, di questa sagace ingordigia non resta che una buccia di carne e corazza, una matassina stirata su cui la cornacchia mette becco e pazienza.
La nostra storia, però, non si svolge sulla strada né sotto i meli, ma in uno studio, tra i colori.
Anzi, ad essere precisi, a Venezia, in uno studio con giardino. Lì razzolava come Adamo il riccio del poeta, prima di Eva e del colore cobalto.

Si narra che quell’eden d’arte e mondanità, fosse anche frequentato da due levrieri, forse nella parte di cerberi di un immanente e relativa opulenza. Figure d’oltretomba che si adattavano come delfini barocchi alla bella vita lagunare.
Ma di loro non ci occuperemo, mentre ci interessa di più sapere del cobalto, il cui nome tradisce un atteggiamento imprevedibile, riottoso o addirittura maligno.

L’etimo risale al basso latino gobelinus dal quale figlierà il tedesco kobold, coboldo ovvero spirito beffardo, folletto.
Qualcuno e qualcosa di irriducibile, d’ingovernabile come agli antichi metallurghi del Quattrocento appariva il comportamento del minerale, difficile da fondere e capace di sprigionare, durante i tentativi, vapori arsenicali.
Così l’aspettativa di trovarvi del rame era delusa fino alla ripicca, fino all’idea di affibbiargli col nome anche la fama d’antipatico.

Molto, molto tempo prima, egiziani e persiani lo avevano usato per tingere vetri e ceramiche, cercando il colore della notte sul mare, prima del buio e dell’alba, quella gradazione fredda di blu, pura e severa malinconia, che stagna in fondo all’anima.

Un giorno, del vecchio epiteto di guastafeste e dell’antico colore s’impregnò fino alla morte il nostro riccio, assaggiando cosa custodiva il tubetto d’alluminio.
Il poeta era pittore e il pittore un po’ distratto.
Il decesso del riccio non dissipò la natura del cobalto-coboldo, anzi la rimise in circolo con effetti imprevedibili, chiamando a sé la solerte volontà di martirio che alloggia nel cuore di molti artisti tra cui il poeta pittore della storia.
Fu la decisione di un attimo e come tutte le decisioni di questo tipo, meditata a lungo senza sforzo, da tempo digerita.
Prese, dunque, il riccio, e se lo cucinò.
Nessuno, però, pensò di fare altrettanto con lui, innescando una catena di sensi di colpa e avvelenamenti.
Non tutti nascono artisti o ricci.

In apertura illustrazione di Paolo Dolzan.

Paolo Dolzan nasce a Mezzolombardo (Trento, Italia) nel maggio 1974. Intraprende gli studi artistici frequentando l’Istituto Statale d’Arte “A. Vittoria” di Trento. Nel 1998 si diploma in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, allievo di Carlo Di Raco. Nel marzo 2004 fonda l’associazione Spazio27 a Trento, nell’ottica di promuovere il confronto e l’interscambio culturale tra gli artisti. Nel corso di questa esperienza, ha modo di intrecciare numerosi rapporti di collaborazione con intellettuali e artisti, a livello internazionale. Dal 1993 ad oggi, ha preso parte ad oltre 150 esposizioni collettive e circa 40 mostre personali, in Italia e all’estero. Dolzan è insegnante di Storia dell’Arte e Disegno dal 2001. Dal 2005 vive e lavora in un mulino a Stenico (Val Giudicarie, TN).

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