Saperi

Vicissitudini e disavventure per amore della bella lingua

Chi scrive vanta un rapporto di intima amicizia con Antonio Saltini, studioso delle scienze della natura, scoperte e applicazioni cui ha dedicato l’opera più impegnativa della biblioteca composta nella vita, e appassionato amante della lingua italiana, della quale ha sperimentato l’impiego nelle espressioni molteplici in cui i devoti dell’italica favella si sono, nei secoli, cimentati, dall’argomentazione filosofica all’indagine storica

Esse

Vicissitudini e disavventure per amore della bella lingua

Chi scrive vanta un rapporto di intima amicizia con Antonio Saltini, studioso delle scienze della natura, scoperte e applicazioni cui ha dedicato l’opera più impegnativa della biblioteca composta nella vita, e appassionato amante della lingua italiana, della quale ha sperimentato l’impiego nelle espressioni molteplici in cui i devoti dell’italica favella si sono, nei secoli, cimentati, dall’argomentazione filosofica all’indagine storica, dalla relazione sperimentale all’enunciazione delle leggi delle natura, dalla prosa politica, con la correlata scherma satirica, alla composizione poetica.

In adempimento dell’imperativo per cui chi cada in amore, dell’amore dovrà scontare le pene, la passione per la favella di Dante ha costretto l’innamorato a cento e un tormento: lessico e sintassi italiani sono multiformi e mutevoli come torrente alpino al disgelo: percepirne, e compararne, le infinite sonorità non è impegno banale, impone accortezza e pazienza, imperativi cui pochi accettano di sottostare, con l’evidente conseguenza che la maggioranza degli spettatori vede l’insieme, ma non comprende i dettagli, nei quali si cela l’incanto, inconoscibile a chi si proponga di illustrare il tutto amputato, più semplicemente, volgarizzo.

È palese che chi non si sia impegnato, mai e poi mai, ad affrontare, in un testo qualsiasi, la comprensione di una locuzione che gli fosse sconosciuta, la rifiuti: se abbia compiti redazionali la “correggerà”, in qualunque testo altrui, facendo scempio dei propositi dell’autore. Il quale, innamorato della lingua, se abbia immaginato, tra cento prudenze, di ricalcare una combinazione di etimi e sonorità di Ugo Foscolo, o di Carlo Emilio Gadda, ritroverà, nel testo stampato, la sua opera deturpata dal redattore di gazzette assunto per appagare le ansie del proto (anticamente il responsabile della pagina in piombo). Ritrovare la propria lingua, che è donna, violentata, costituisce, per chi la ami, affronto tale da comprometterne la sinderesi.

Ma tra le disavventure che possono investire l’innamorato del bello scrivere altre, seppure meno calamitose, non per questo, meno infauste, se ne debbono menzionare. Una, tra le numerose alquanto comune, e stupidissima, l’intrusione di un estraneo in una conversazione già scoppiettante.

Mentre l’amica narra, appassionata, del salvataggio del gatto, costretto da una volpe a rifugiarsi tra i rami di un frassino, lungamente invitato, cacciata la belva, a discendere, ma renitente, un intruso, adocchiata la scenetta, identifica, tra dieci panchine deserte, lo spazio disponibile in quella sulla quale si accalora la narratrice, lo occupa, si immerge, interessatissimo, nell’ascolto. Che è quanto accade, da qualche tempo, all’amico Saltini, quando accede all’indice del blog cui affida le creature della propria fantasia.

Un tale Andrea Camillieri si inserisce, accattone petulante, tra i suoi titoli. Impossibile si tratti di errore telematico: Antonio Saltini e Andrea Camilieri non sono nomi e cognomi che possano essere interscambiati, non v’è, tra i due, alcuna assonanza che possa ingannare il computer. Il ripetersi dell’intrusione ha, peraltro, convinto Saltini che Camiglieri costituisca accorto pseudonimo: il cognome deve essere, verosimilmente, Cammellieri. In Egitto, tra le piramidi di Giza, proclamando l’inverosimile numero di bambini che il cammello, e lui medesimo, dovevano mantenere, un vetturale di camelidi indusse Saltini a un tragitto sui propri animali. L’erede di Champollion fu trasportato dall’animale tra i sepolcri di Cheope, Chefren e Micerino. Apprezzò la passeggiata, non cavalcata ma cammellata, verificando che il sentore del cammelliere che lo accompagnava, sul secondo animale, era, comprensibilmente, il medesimo dell’animale su cui montava egli stesso.

Il medesimo, non gradevolissimo sentore Saltini dichiara di percepire, ormai, dirigendosi all’elenco dei propri scritti, presentendo l’importuna presenza del Cammellieri, al quale mi incarica di suggerire di includere, nel telefonino, il capolavoro di Renato Carosone (cumme si bbell’a cavall’e stu cammelle) e di andarsene tanto lontano da non importunarlo, con sentori propri e animali, peraltro indistinguibili. Tenga il volume alto quanto gli paia: come, cammelli e cammellieri, non perdono l’olezzo peculiare, i versi di un gioiello canoro partenopeo non perderanno mai il proprio fascino. Immaginandosi a Posillipo, debbono superare la sonorità della risacca.

Sfida, peraltro, in petulanza, chi pare impegnato a importunare, più precisamente esasperare, persona protesa unicamente a tradurre i propri sogni in paginette per i dieci lettori (Alessandro Manzoni ne vantava venticinque, “si licet parva componere magnis” l’emulo presume di averne conquistati dieci) un’altra eroina dell’importunità, o, a scelta, dell’opportunismo, tale Nadia Saltini, che, pubblicando un pamphlet di poche paginette dedicato, a quanto pare arguirsi dal titolo, alle mattutine incombenze femminili (visita al bagno ed ai suoi comodi: lavabo, water e bidet, il terzo fondamentale) ha voluto precisare, in copertina, che sarebbe ricorsa, nella redazione, alla collaborazione dell’omonimo (per propria sventura, anche se solo per il cognome) Antonio Saltini.

Si onora del cognome Saltini? È assolutamente legittimo lo vanti e lo celebri in ogni e qualunque circostanza: Antonio Saltini è orgoglioso che il proprio cognome risplenda anche nello specchio del bagno. Nell’espletamento delle urgenze da assolvere prima di togliere la camicia da notte, impegno dalle assonanze pariniane, lo sventurato omonimo la supplica, però, di ricordare che, recandosi nella stanza che offre lavabo e bidet, le signore, quelle, almeno, di sufficiente educazione, chiudono la porta.

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