Economia

Reati alimentari, la riforma Caselli

Le disposizioni relative alle nuove norme in materia di reati agroalimentari sono oggetto di un vivace dibattito, con posizioni avverse in relazione ai vari attori della filiera e alle loro ragioni e motivazioni. Si tratta di un lavoro molto complesso, che richiede una mediazione molto attenta. Riportiamo intanto lo schema di disegno di legge recante “Nuove norme in materia di reati agroalimentari”, e la relazione illustrativa

Olio Officina

Reati alimentari, la riforma Caselli

Potete trovare QUI lo Schema di disegno di legge recante “Nuove norme in materia di reati agroalimentari”, e, di seguito, la relazione illustrativa.

RELAZIONE ILLUSTRATIVA

Il presente disegno di legge recepisce l’elaborato formulato dalla “Commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare” – istituita presso l’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia con decreto del Ministro della Giustizia 20 aprile 2015.

L’ambito d’intervento risulta perimetrato intorno a due versanti:

– da un lato, la delimitazione della categoria dei reati di pericolo contro la salute, in modo da riformare la tutela di beni giuridici di riferimento, che richiedono l’anticipazione delle correlate incriminazioni già alla soglia del rischio;
– dall’altro lato, la rielaborazione del sistema sanzionatorio contro le frodi alimentari, con particolare riferimento alle organizzazioni complesse ed alla responsabilità delle persone giuridiche che sono divenute ormai, nella dimensione allargata degli scambi commerciali, il principale referente criminologico, così da aprire la strada a risposte concrete e differenziate in ragione dell’effettivo grado di offensività.

L’intervento innova il Codice penale, sia con riguardo alla tutela penale della salute pubblica (Titolo VI del Libro II, artt.439 e ss.), sia con riguardo alla tutela penale dell’economia (Titolo VIII del Libro II).

Lo schema di disegno di legge recante “Nuove norme in materia di reati agroalimentari” è così strutturato:

– Titolo I, avente ad oggetto le “Modifiche al codice penale”, è suddiviso in quattro Capi, denominati rispettivamente “Dei delitti contro la salute pubblica”, “Delle frodi in commercio di prodotti alimentari”, “Dei delitti contro la fede pubblica” e “Disposizioni di coordinamento”;

– Titolo II ha ad oggetto le “Modifiche al codice di procedura penale”;

– Titolo III contiene le “Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231“;

– Titolo IV concerne, infine, le “Modifiche a disposizioni previste da leggi complementari” ed è suddiviso in tre Capi, aventi ad oggetto rispettivamente le “Modifiche alla legge 30 aprile 1962, n. 283”, le “Modifiche ad altre leggi complementari” e le “Abrogazioni”.

In primo luogo, per ragioni di carattere sistematico, il disegno si propone di superare l’attuale partizione interna al Titolo VI tra “delitti di comune pericolo mediante violenza” (Capo I) e “delitti di comune pericolo mediante frode” (Capo II), sostituendola con la distinzione tra “delitti di comune pericolo contro l’incolumità pubblica” (Capo I) e “delitti di comune pericolo contro la salute pubblica e la sicurezza degli alimenti e dei medicinali” (Capo II).

Denominazioni queste ritenute più idonee a rispecchiare i contenuti e le finalità del progetto di riforma di questa classe di delitti.
Nel vigente sistema penale, in particolare, rimangono al di fuori della soglia di rilevanza tutti quei fatti di produzione e commercializzazione di alimenti che, tenuto conto della dimensione organizzata e all’ingrosso dell’attività illecita, non sono capaci di produrre un pericolo immediato e imminente, ma tendono a manifestare la propria pericolosità nel medio e lungo periodo ed in via del tutto eventuale. In questa maniera, le condotte menzionate, in quanto non connotate da una nocività particolarmente elevata o diffusa, risultano non solo escluse dall’ambito di applicazione delle norme codicistiche, quanto parimenti estranee a previsioni preventivo-repressive nel corpo delle leggi complementari.

Si sottolinea, inoltre, fra le più significative lacune dell’attuale legislazione penale, l’assenza di una fattispecie omissiva consistente nella penalizzazione dell’omesso ritiro di alimenti pericolosi per la salute e l’assenza di una disciplina, in materia alimentare, della responsabilità “da reato” per le persone giuridiche. Anche questi deficit vengono colmati dalla proposta di riforma.

Nella sistematica codicistica è da tempo avvertita l’esigenza di razionalizzare e unificare fattispecie come quelle degli artt. 440, 442 e 444 c.p. che, pur essendo applicate con frequenza moderata (almeno rispetto alle consustanziali ipotesi contravvenzionali), sembrano in apparenza molto sbilanciate verso la protezione della salute pubblica, come se fossero ipotesi di veri “disastri”, mentre la loro applicazione concreta è assai più arretrata, sanzionando forme di pericolo astratto-concreto, senza un vero coordinamento con la normativa complementare, tanto da far registrare un fenomeno di “contravvenzionalizzazione” di questi delitti.

L’applicazione degli artt. 440 ss. c.p. risulta dunque possibile solo ove il giudice abbia verificato la sussistenza di un effettivo pericolo per la salute, non circoscritto a singoli cittadini, bensì incombente su di una collettività indeterminata. Viceversa, la circostanza che la giurisprudenza abbia, di fatto, allargato questa tutela, attestandosi sul requisito del pericolo per una, due o più persone, è un segno dell’evidente esigenza di rendere più operative le incriminazioni, anche ove manchi la concretizzazione di macro-eventi di pericolo.

Questo dato di realtà punitiva va, peraltro, raccordato, da un lato, con le fattispecie “di rischio” dell’apparato contravvenzionale extra-codicistico (in particolare, i riformati artt. 5 e ss. della legge n. 283 del 1962) e, dall’altro lato, con la disciplina “moderna” di un vero delitto contro la salute pubblica consistente in un “disastro sanitario”, che rimane a tutt’oggi non definito nel codice, lasciandosi operare la giurisprudenza con strumenti indeterminati e superati come il vigente art. 434 c.p. nella parte riguardante il disastro innominato.

L’intervento normativo mira anche a riordinare i rapporti tra codice penale e leggi complementari a partire dalla principale norma anticipatoria della tutela: quella dell’illecito di rischio o di prevenzione (v. infra art. 5), che non può ricalcare modelli stranieri (come quello tedesco) o italiani (come quello dell’art. 89 del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), che contengono un rinvio “in bianco” a un corpo dettagliato di regole e, cioè, a una sorta di codice della sicurezza (alimentare o del lavoro in quegli esempi), laddove un dettagliato codice alimentare della sicurezza non esiste nel nostro ordinamento e la sua costruzione non appare necessaria dal punto di vista strettamente penalistico.

Si è inteso, perciò, introdurre una norma generale e astratta comprensiva di tutte le tipologie di condotte più significative, ma per caratteri generali. Con i tratti, dunque, di un illecito penale nominato e tipico, non di una serie indefinita di inosservanze tipizzate per effetto di una tecnica di rinvio a numeri, lettere e commi numerosi e sparsi, ma senza l’identità di un fatto ben preciso e unitario, sia pur per tipologie riassuntive di condotte.

Le principali opzioni politico-criminali sono, in sostanza, condotte su due binari, il Codice penale e la legge n. 283 del 1962, operando su molteplici livelli: nei delitti contro la salute pubblica (artt. 439 ss. c.p.), nei delitti anticipati di rischio (art. 5, co. 1 e 2 della legge n. 283 e ss.) e nelle contravvenzioni (art. 5, co. 3-4 della legge n. 283 cit.) previsti nella legge complementare, in altre contravvenzioni esistenti, in presenti e in parte nuovi illeciti amministrativi e nella responsabilità degli enti, nonché nel delitto colposo di disastro sanitario operante sia rispetto al delitto alimentare dell’art. 5 della legge n. 283 cit., sia rispetto ai delitti di pericolo contro la salute pubblica.

Si è, inoltre, previsto che la scalarità tra reati extra codicem e delitti codicistici operi sostanzialmente sul seguente livello ascendente di offensività:

– le condotte al dettaglio colpose sono previste come illeciti amministrativi;

– le condotte dolose al dettaglio sono contravvenzionali;

– le condotte all’ingrosso colpose sono, a loro volta, contravvenzionali;

– mentre, se commesse con dolo, assurgono a figura delittuosa.

Tuttavia, per le ipotesi di reato costruite a livello di prevenzione o di rischio (extra codicem) sono previste forme di oblazione o, comunque, di ravvedimento, rilevanti a fini estintivi: si propone, infatti, l’introduzione nel settore alimentare della legge n. 283 del 1962 di un meccanismo estintivo analogo a quello del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni alla disciplina
sanzionatoria in materia di lavoro), da ultimo estesa anche ai reati ambientali con la legge 22 maggio 2015 n. 86 (Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente).

In ultima analisi, quando s’intende operare nel senso di un’anticipazione forte della tutela delittuosa in caso di condotte di rischio ma all’ingrosso e, dunque, spesso – ma non necessariamente – in ambito di criminalità alimentare organizzata, si prevedono, comunque, meccanismi riparatori estensibili ai soggetti che operino in un contesto imprenditoriale lecito anche per condotte dolose all’ingrosso, ma (in caso di dolo) solo occasionalmente e modestamente rilevanti, e che non abbiano dato luogo a conseguenze lesive e siano neutralizzabili nel processo di commercializzazione.

Al fine di una maggiore tassatività in concreto e di uniformità applicativa, sono presi in considerazione anche i casi in cui le violazioni previste dall’art. 5 della legge n. 283 del 1962 abbiano ad oggetto disposizioni legislative o regolamentari volte ad attuare il principio di precauzione, ossia la disciplina preventiva riguardante gli alimenti vietati in quanto non sicuri, ma non ancora scientificamente verificati come nocivi per la salute. La violazione della sicurezza per la salute attraverso la commercializzazione di alimenti in contrasto con il principio di precauzione assume rilevanza extra-penale: siamo di fronte, in questo caso, ad un illecito amministrativo sottoposto a sanzione pecuniaria.

Il percorso di organica produzione normativa passa attraverso:

a) La tutela della salute pubblica.

L’art. 5 della legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), che costituisce, ancora oggi, il testo-base della prevenzione e repressione penale specifica nel settore alimentare, non era stato aggiornato neppure dopo l’entrata in vigore del regolamento (CE) 28 gennaio 2002, n. 178 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare).
Ciò comporta l’emergere di numerose lacune nell’intervento punitivo oltre al formarsi di una serie di interpretazioni, linguaggi e precedenti che mescolano nozioni disomogenee, in modo particolarmente confuso anche nei rapporti tra codice e leggi complementari.

b) Il contrasto delle frodi in commercio di prodotti alimentari.

In primo luogo, al fine di evidenziare il peso e la pregnanza di valore assunti dalla prevenzione delle frodi alimentari, il Titolo VIII del Libro II viene così denominato: «Dei delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio ed il patrimonio agroalimentare» (sulsignificato del riferimento al patrimonio agroalimentare, v. infra).
Al fine di rendere evidente il mutato bene giuridico di riferimento, all’interno di tale Titolo viene poi previsto un inedito Capo II-bis, denominato, in modo eloquente: «Delle frodi in commercio di prodotti alimentari», che racchiude la riforma delle fattispecie incriminatrici delle frodi in subiecta materia.

La rinnovata oggettività giuridica mira, tra l’altro, a dare visibilità alle lacune della preesistente normativa, concepita per diversi e più ridotti fenomeni frodatori, già rivelatasi inadeguata a fronteggiare gli attuali contegni criminosi, talora lesivi di interessi diffusi anche in danno del mercato, della concorrenza e del pubblico dei consumatori. Invero, le condotte incriminate dai vigenti artt. 515, 516, e 517 c.p. si incentrano su vicende “minime” quanto ad offensività e a dimensione degli scambi: di qui la necessità di estendere la risposta punitiva a frodi “massive” di obiettiva e rilevante gravità, messe a punto in contesti organizzati, che fanno leva sulla lunghezza e complessità delle filiere e sulla disintermediazione delle fasi di produzione allestite in aree geografiche anche molto distanti.

In linea generale, il disegno di riforma mira a introdurre disposizioni intese ad affrontare, in modo adeguato, i diversi fenomeni criminali che rientrano nell’ampia area delle frodi in commercio di alimenti, sia sotto il profilo sanzionatorio (con la possibilità di utilizzare più incisivi strumenti di indagine e di fare ricorso a misure cautelari personali o reali in caso di rischio immediato di prosecuzione delle attività criminali), sia sotto il profilo dell’estensione della sfera repressiva, a fronte di attività illecite che, oggi, o non risultano punibili o lo sono solo grazie ad interventi giurisprudenziali che hanno esteso al massimo l’ambito del tentativo punibile per i reati di cui agli artt. 515 e 516 c.p.

In realtà, l’articolato incide in modo ancor più profondo sul quadro degli interessi tutelati e non secondo una valutazione propria della Commissione, ma in base alla presa d’atto del mutato quadro dei valori in gioco, rispecchiato dall’intitolazione del nuovo Capo II bis («Delle frodi in commercio di prodotti alimentari») nonché del riscritto Titolo VIII.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il bene tutelato dagli attuali artt. 515 e 516 c.p. – principali «argini» contro le frodi – è principalmente la «lealtà commerciale», tanto da ritenersi sanzionabile la consegna di aliud pro alio anche in ipotesi di consapevolezza (e sostanziale accettazione) da parte dell’acquirente di avere ricevuto merce diversa da quella pattuita.

La prospettiva dalla quale muove la riforma mira ad incidere in modo diverso sul settore degli alimenti, posto che il tema delle frodi riguarda le caratteristiche intrinseche o l’origine geografica dell’alimento, di per sé o per come garantite dalla denominazione protetta o dal marchio del produttore ovvero dall’attestazione di conformità a specifiche modalità di produzione (è il caso della produzione «biologica», ad oggi “orfano” di previsioni penalistiche).

Il fenomeno criminale che riguarda tutti gli altri tipi di prodotti contraffatti s’incentra, essenzialmente e sempre di più, sulla tutela del marchio o del modello: ne è prova quanto si può desumere dalla casistica della banca dati della Corte di Cassazione.
In sostanza, la ragione della centralità politico-criminale, nell’ambito delle frodi, dei reati aventi ad oggetto alimenti, sta nel fatto che la «frode» tocca caratteristiche di qualità dell’alimento o comunque essenziali per la scelta di acquisto (per tutte: la provenienza geografica); lo stesso marchio registrato, nel settore alimentare, continua a svolgere principalmente il tradizionale ruolo di garanzia della qualità dell’alimento; analoghe considerazioni valgono per la denominazione protetta.
Le condotte criminali non possono, quindi, prescindere dall’ingenerare confusione tra gli «alimenti» piuttosto che tra i (soli) segni esterni apposti sugli stessi.

Al contrario, nel caso dei prodotti non alimentari, i fenomeni criminali attengono – per quanto si è detto – alla contraffazione del marchio, che ha visto incrementare la sua funzione suggestiva, quale attestazione della provenienza da un dato imprenditore piuttosto che delle caratteristiche del prodotto.
Perciò la casistica giudiziaria relativa a tali prodotti, è sostanzialmente circoscritta all’ambito dei reati di contraffazione dei marchi e dei modelli (artt. 473 e ss. c.p.). Ciò fa comprendere la diversità delle frodi alimentari rispetto al fenomeno della contraffazione legata alla violazione di proprietà industriale ed intellettuale e, quindi, la necessità di separare e calibrare diversamente i rispettivi precetti e le correlative sanzioni penali.

Conseguentemente, la tutela degli alimenti, deve essere, innanzitutto, inquadrata nell’ambito di un più chiaro ambito di salvaguardia del consumatore (finale): ciò che deve essere sanzionata è la vera e propria frode nei confronti del destinatario ultimo dell’alimento (e non già la generica ed evanescente «lealtà commerciale»); la ratio tutelae deve tenere conto del valore prioritario progressivamente assunto dalla «identità» del cibo quale parte irrinunciabile ed insostituibile della cultura di territori, delle comunità locali e dei piccoli produttori locali, che definiscono, in sostanza, il «patrimonio alimentare». In questo senso, si fa riferimento ai contenuti inseriti nella recente Carta di Milano che individua chiaramente i “beni” che necessitano di protezione nel settore.
La repressione penale delle frodi in commercio di alimenti in danno dei consumatori si rivela un approdo importante, rispetto alla disciplina vigente, sotto diversi e ulteriori profili.

Innanzitutto, il ricorso a norme – quali quelle di cui alla legge 24 dicembre 2003, n. 350 [Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)] e la legge 20 novembre 2009, n. 166 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee) che hanno ampliato e specificato l’ambito della frode mediante falsità ed omissioni sulla provenienza geografica, in particolare quanto al «Made in Italy» – ha portato ad una disciplina tutt’altro che incentrata sull’effettiva capacità decettiva di determinate condotte menzognere. Sono state introdotte ipotesi di pericolo solo astratto che, non trovando necessaria corrispondenza in effettive condotte frodatorie, sono divenute oggetto di censura da parte dei competenti organismi europei, sul presupposto che le medesime rappresentino (pretese) misure equivalenti ad una restrizione del mercato in favore di determinati produttori (nazionali).

Questa è la ragione per la quale le condotte sanzionate nel presente disegno di riforma sono caratterizzate dall’effettiva capacità di indurre in errore il consumatore e dalla specifica finalità di frode.
In sede di formulazione delle disposizioni si è partiti dal dato, del tutto indipendente, delle discipline extrapenali che riguardano etichettatura, rintracciabilità, et similia e che non impongono nulla di nuovo, né prevedono nuovi controlli. L’intervento degli organi di controllo è previsto solo laddove, sia mediante alterazione di indicazioni obbligatorie, sia mediante la volontaria utilizzazione di indicazioni facoltative, ma false, si voglia indurre concretamente in errore il consumatore sull’origine, provenienza, identità o qualità dell’alimento, in base ai quali lo stesso effettua la scelta di acquisto.

A carico del produttore/commerciante che opera nell’osservanza delle norme di settore non viene posto alcun maggiore onere in conseguenza di una più energica azione di contrasto delle frodi, dato che nelle disposizioni contenute nel presente disegno rilevano esclusivamente le condotte con le quali il soggetto responsabile intende indurre concretamente in errore il consumatore, in modo tale da indurlo ad acquistare alimenti «camuffati».

In modo simile, si ritiene di avere risolto anche il problema – già segnalato – del rispetto delle disposizioni euro-unitarie (codice doganale europeo) che definiscono la provenienza del prodotto quanto, in particolare, al concetto di “ultima trasformazione”. Non vi è da paventare né una sorta di controllo surrettizio a fronte di semplici “errori” del singolo operatore alimentare, né un orientamento a favore dell’una o dell’altra produzione che possa indurre a qualificare le disposizioni in questione quali “equivalenti” ad una restrizione dell’ambito della libera circolazione delle merci.

In pratica, se un produttore dichiara volutamente e falsamente una data provenienza geografica di uno dei componenti del prodotto finale, con la specifica finalità di indurre in errore il consumatore perché effettui l’acquisto, il reato resta integrato perché la frode è consumata. Il profilo della definizione normativa della provenienza dell’alimento, in tale caso, è irrilevante.

In definitiva, la proposta di “autonomizzazione” disciplinare delle frodi nel settore alimentare, l’individuazione di chiari interessi tutelati in senso plurioffensivo e diversamente calibrati a seconda della dimensione organizzata o meno della condotta nonché, più in generale, il ruolo che assume lo stesso bene culturale «cibo», quale oggetto giuridico di riferimento, giustificano – in funzione della visibilità di una chiara e moderna opzione politico-criminale – la scelta di introdurre in seno al Titolo VIII del Libro II del codice penale un nuovo Capo II bis, destinato, sotto la denominazione “Delle frodi in commercio di prodotti alimentari”, a racchiudere le fattispecie delittuose in esame.

I criteri adottati sul piano sanzionatorio

La quantificazione delle pene edittali dei nuovi reati alimentari non costituisce solo il necessario completamento punitivo dei precetti penali, ma è in grado di condizionare la stessa efficacia general-preventiva ed applicativa della riforma, oltre a comportare (o meno) specifici effetti processuali (per esempio, in materia di misure cautelari o di intercettazioni).

Consapevole della difficoltà nel dosaggio delle comminatorie edittali, si è inteso sottrarsi al rischio di fughe intuizionistiche (in avanti: pene-manifesto; o indietro: arretramento di tutela) per selezionare criteri il più possibile oggettivi, che orientassero la definizione del trattamento sanzionatorio. In funzione del criterio di proporzione, sono stati adottati tre criteri interdipendenti:

a) la corrispondenza della pena con il tasso di offensività espresso dal reato;

b) l’equilibrio ponderale, ossia la ragionevolezza intrinseca della risposta punitiva;

c) la coerenza di sistema.

Un ulteriore criterio di riferimento è rappresentato dal panorama edittale delle fattispecie vigenti nel settore di tutela in esame e in quelli che presentano aspetti affini quanto a beni tutelati.

In tema di frodi commerciali, si è ritenuto necessario procedere a un generalizzato incremento delle pene, ora sostanzialmente bagatellari, specie con riguardo alle contraffazioni degli alimenti a denominazione protetta e fino al limite superiore dell’agropirateria (fattispecie di nuovo conio, modellata quoad poenam sull’art. 474-ter c.p.).

Sul piano “aritmetico”, è stata avvertita la necessità di orientarsi nel senso di mantenere una tendenziale proporzione, da uno a quattro, tra minimo e massimo edittale, in modo da consentire al giudice di adeguare la pena alla specificità del caso concreto ed, al tempo stesso, di non divaricare troppo il compasso edittale, in nome del principio (costituzionale) della determinatezza della pena.

Si fa inoltre leva su di un ampio apparato di pene accessorie, che impattano direttamente sull’attività d’impresa e sulle modalità di esercitarla, in coerenza col contesto in cui ci si muove, costituito da reati “d’impresa”, improntati a finalità locupletative. Nelle ipotesi di maggiore gravità ciò si traduce: sul piano soggettivo, nell’interdizione a ricoprire uffici direttivi delle imprese; sul piano oggettivo, in plurimi divieti di accesso ad autorizzazioni, contributi pubblici, contratti con la pubblica amministrazione, chiusura dei locali, oltre che nella più tradizionale pubblicità stigmatizzante della condanna inflitta.

Sempre in funzione stigmatizzante è stata, inoltre, privilegiata la misura di sicurezza (la cui natura sanzionatoria è oggi chiara in giurisprudenza) della confisca, anche per equivalente o – nei casi più gravi di recidiva – per sproporzione, nel solco di una moderna concezione patrimonialistica del contrasto alla criminalità particolarmente connotata da spinte economiche.

Responsabilità amministrativa degli enti collettivi

Il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300) ha allargato la responsabilità amministrativa di società, associazioni ed enti anche a reati contro l’industria ed il commercio come la frode in commercio, la vendita di alimenti non genuini come genuini e la contraffazione o alterazione delle indicazioni geografiche o delle denominazioni di origine.

Per tali reati è previsto a carico di società, associazioni ed enti l’irrogazione di sanzioni pecuniarie e, in taluni casi, anche di sanzioni interdittive, quali l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi. Sanzioni che possono essere evitate a condizione che l’ente non incorra nella colpa da organizzazione e, quindi, provveda ad adottare, attuare e aggiornare un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire i reati predetti.

Si tratta di un tipo di responsabilità che, affiancandosi a quella personale delle persone fisiche, appare potenzialmente idonea ad incentivare politiche aziendali della sicurezza alimentare e della lealtà commerciale. Nel vigente quadro applicativo, come risulta dai casi giudiziari più rilevanti, tre sono le esigenze più pressanti: estendere la responsabilità degli enti ai reati alimentari di maggiore gravità; incentivare l’applicazione concreta delle norme in tema di responsabilità degli enti, da parte dell’autorità di polizia giudiziaria e della stessa autorità giudiziaria; favorire l’adozione e l’efficace attuazione di più puntuali modelli di organizzazione e di gestione da parte delle imprese anche di minore dimensione.

A questo proposito, è apparso utile non limitarsi al semplice inserimento di una norma che estenda la responsabilità amministrativa a determinati reati alimentari, bensì costruire un’apposita e specifica disciplina dei modelli di organizzazione e di gestione con specifico riguardo agli operatori alimentari, in prospettiva esimente od attenuante della responsabilità, traendo spunto dalle modalità di applicazione della normativa in materia di sicurezza del lavoro.

Elenco delle disposizioni oggetto del disegno di riforma

Disposizioni previste dal Codice penale

Libro I – Dei reati in generale

Capo III – Delle pene accessorie, in particolare
Art. 32-quater – Casi nei quali alla condanna consegue l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

Libro II – Dei delitti in particolare

Titolo VI – Dei delitti contro l’incolumità e la salute pubblica

Capo II – Dei delitti di comune pericolo contro la salute pubblica e la sicurezza degli alimenti e dei medicinali.
Art. 439 – Avvelenamento di acque e di alimenti.
Art. 439 bis – Contaminazione o corruzione di acque o di alimenti.
Art. 440 – Produzione, importazione, esportazione, commercio, trasporto, vendita e distribuzione di alimenti pericolosi o contraffatti.
Art. 442 – Omesso ritiro di alimenti pericolosi.
Art. 444 – Informazioni commerciali ingannevoli pericolose.
Art. 445 bis – Disastro sanitario.
Art. 445 ter – Disposizioni comuni.
Art.448 – Pene accessorie.
Art. 452 – Delitti colposi contro la salute pubblica.

Titolo VII – Dei delitti contro la fede pubblica.

Capo III – Della falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione, certificazione o riconoscimento.
Art. 473 – Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero brevetti, modelli, disegni e merci usurpative Art. 474 – Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi o di merci usurpative.

Titolo VIII – Dei delitti contro l’economia pubblica, l’industria, il commercio ed il patrimonio agroalimentare.

Capo II-bis – Delle frodi in commercio di prodotti alimentari.
Art. 516 – Frode in commercio di prodotti alimentari.
Art. 517 – Vendita di alimenti con segni mendaci.
Art. 517-bis – Circostanze aggravanti.
Art. 517-ter – Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale.
Art. 517-quater – Contraffazione di alimenti a denominazione protetta.
Art. 517-quater.1 – Agropirateria.
Art. 517-quinquies – Circostanza attenuante.
Art. 518-bis – Ulteriori pene accessorie.
Art. 518-ter – Confisca obbligatoria e per equivalente.

Disposizioni previste dal Codice di procedura penale.
Art. 246 – Ispezioni di luoghi o di cose.
Art. 266 – Limiti di ammissibilità.
Art. 354 – Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro.
Art. 392 – Casi di incidente probatorio.

Norme di attuazione del codice di procedura penale.
Art. 85 – Restituzione con imposizione di prescrizioni.
Art. 132 bis – Formazione dei ruoli in udienza e trattazione del processo.
Art. 223 – Analisi di campioni e garanzie per l’interessato.

Disposizioni previste dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300).
Art. 6-bis – Modelli di organizzazione dell’ente qualificato come impresa alimentare.
Art. 17 – Riparazione delle conseguenze del reato.
Art. 25-bis.1 – Delitti contro l’industria e il commercio.
Art. 25-bis.2 – Delle frodi in commercio di prodotti alimentari.
Art. 25 bis.3 – Delitti contro la salute pubblica.

Disposizioni previste da leggi complementari.
Legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande).
Art. 1-bis – Delega di funzioni.
Art. 5 – Importazione, esportazione, preparazione, produzione, distribuzione o vendita di alimenti non sicuri, pregiudizievoli per la salute o inadatti al consumo umano.
Art. 5-bis – Sostanze alimentari non sicure, pregiudizievoli per la salute o inadatte al consumo umano.
Art. 5-ter – Violazioni in materia di utilizzo alimentare di sostanze che risultano in contrasto col principio di precauzione
Art. 5-quater – Sostanze alimentari non genuine.
Art. 6
Art. 12-ter – Estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza alimentare. Ambito di applicazione.
Art. 12-ter.1 – Prescrizioni.
Art. 12-ter.2 – Verifica dell’adempimento.
Art.12-ter.3 – Notizie di reato non pervenute dall’organo accertatore.
Art. 12-ter.4 – Sospensione del procedimento penale.
Art. 12 ter.5 – Estinzione del reato.
Art. 12 ter.6 – Definizione delle contravvenzioni punite con la sola pena dell’arresto.

Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale)
Art. 9 – Principio di specialità

Legge 7 agosto 1992, n. 356 (Conversione in legge con modificazioni, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa).
Art. 12-sexies – Ipotesi particolari di confisca.

Legge 24 dicembre 2003, n.350 [Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)].
Art. 4 – Finanziamento agli investimenti.

Legge 16 marzo 2006, n. 146 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001).
Art. 9 – Operazioni sotto copertura.

Decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 190 [Disciplina sanzionatoria per le violazioni del regolamento (CE) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel settore della sicurezza alimentare]
Art. 2 – Sanzioni in materia di violazione degli obblighi di tracciabilità derivanti dall’articolo 18 del regolamento (CE) n. 178/2002.

Legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia)
Art. 16 – Destinazione di beni sequestrati o confiscati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria per la repressione di reati di cui agli articoli 473, 474, 516, 517, 517 quater e 517 quater.1 del codice penale.

Legge 20 novembre 2009, n. 166 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee)
Art. 16 – Made in Italy e prodotti interamente italiani.

Legge 14 gennaio 2013, n. 9 (Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini)
Art. 6 – Ipotesi di reato connesse alla fallace indicazione nell’uso del marchio.
Art. 13 – Sanzioni accessorie alla condanna per il delitto di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti alimentari.
Art. 14 – Rafforzamento degli istituti processuali e investigativi Art. 15 – Sanzioni accessorie in caso di condanna per il delitto di adulterazione o contraffazione.

Illustrazione dei contenuti e delle finalità delle disposizioni di cui al disegno di legge

Titolo I
Modifiche al Codice penale

Capo I
Dei delitti contro la salute pubblica

Libro II, Titolo VI, Capo II.
(Dei delitti di comune pericolo contro la salute pubblica e la sicurezza degli alimenti e dei medicinali.)
In primo luogo, per ragioni di carattere sistematico, si propone di superare l’attuale partizione interna al Titolo VI tra “delitti di comune pericolo mediante violenza” (Capo I) e “delitti di comune pericolo mediante frode” (Capo II), sostituendola con la distinzione tra “delitti di comune pericolo contro l’incolumità pubblica” (Capo I) e “delitti di comune pericolo contro la salute pubblica e la sicurezza degli alimenti e dei medicinali” (Capo II).
Quest’ultima denominazione è ritenuta più idonea a rispecchiare i contenuti e le finalità del progetto di riforma di questa classe di delitti.
Art. 439 (Avvelenamento di acque o di alimenti).
Art. 439 bis (Contaminazione o corruzione di acque o di alimenti).

È stato ridefinito l’ambito di applicazione dell’art. 439 c.p. che punisce l’avvelenamento delle acque e delle sostanze alimentari destinate al consumo. Corrispondentemente viene introdotta la previsione complementare della contaminazione o corruzione, al fine di colmare un grave vuoto normativo costituito dall’assenza di una fattispecie adatta ai casi di contaminazione o corruzione non dovute all’attività del produttore alimentare (per il quale vale il novellato art. 440 c.p.).

Al di là della punizione dell’avvelenamento delle sostanze alimentari, le nuove previsioni tendono a punire le condotte di avvelenamento e adulterazione pericolose in ragione della loro destinazione al consumo anche di singole comunità; si pensi allo sversamento di sostanze pericolose in quantità tali da dare luogo ad effettivo pericolo di contaminazione di acque di falda, pozzi e acque irrigue.

Per quel che concerne il trattamento sanzionatorio dell’art. 439 c.p., si pone fine all’iniquo regime livellante provocato dalla sostituzione della pena di morte con la pena dell’ergastolo, riservando quest’ultima sanzione ai casi in cui dall’avvelenamento derivi la morte di alcuno; la causazione dell’avvelenamento è, invece, punita con la reclusione non inferiore ad anni quindici. In considerazione del livello relativamente minore di gravità, il nuovo delitto di cui all’art. 439 bis è, invece, punito con la reclusione da tre a dieci anni.

La legislazione vigente punisce l’adulterazione delle sostanze medicinali. Il riferimento, nel corpo dell’art.439 bis, ai medicinali si rende necessario dal momento che l’art.440 c.p. è stato interamente riscritto sulla base delle condotte afferenti la produzione e commercializzazione in senso lato degli alimenti.

Oltre all’ipotesi dolosa è prevista anche quella colposa, come per i delitti in materia di salute pubblica in generale (v. infra).
Art. 440 (Produzione, importazione, esportazione, commercio, trasporto, vendita o distribuzione di alimenti pericolosi o contraffatti)

La nuova previsione raggruppa e sostituisce i vigenti artt. 440, 442, 444 c.p. e rappresenta sia una forte semplificazione che un importante chiarimento rispetto agli attuali rapporti tra illeciti penali alimentari previsti nel codice e nelle leggi speciali.
Si è conservata all’interno del testo di cui all’art.440 c.p. la nozione di alimenti nocivi e comunque inadatti al consumo umano.

La nozione di alimenti non adatti al consumo umano è adeguatamente fondata sul contenuto dell’art.14 del regolamento CE 178/2002.
Si è invece espunto il riferimento contenuto nella proposta della Commissione agli alimenti non sicuri e pregiudizievoli per la salute privi di adeguata definizione normativa.
I relativi parametri ai fini del giudizio di pericolosità si rinvengono, proprio in ragione della finalità della sicurezza alimentare oggetto della tutela, nell’attuale legislazione in materia e nella destinazione finale a una platea indifferenziata di consumatori.

Il regolamento CE 178/2002 ha avuto limitata attuazione con il d.lgs. n. 190 del 5 aprile 2006 che prevede un sistema di sanzioni amministrative degli obblighi in materia di: rintracciabilità (art. 2); ritiro (art. 3); mancata informazione e collaborazione con le autorità (art. 3); mancata informazione del consumatore – richiamo (art. 3). Tutte le sanzioni sono previste in via sussidiaria, qualora il fatto non integri una fattispecie di reato punita dal codice penale.

L’art. 5 della legge 283 del 1962 faceva già riferimento alle sostanze “comunque nocive” (alla lett. d); secondo la giurisprudenza devono intendersi per tali quelle che possono arrecare concreto pericolo alla salute dei consumatori: “tale pericolosità, quindi, non è data dalla ipotetica ed astratta possibilità di nocumento della sostanza alimentare, ma dalla attitudine concreta di essa a provocare danno alla salute pubblica” (Cass. Sez. III, n. 4743, del 07/03/2000).

Alla regolamentazione in materia di sicurezza alimentare faceva del resto già riferimento il progetto di riforma redatto dalla commissione istituita dal Ministero delle politiche agricole e presieduta dal prof. Donini (si veda “Cassazione Penale”, 2010, p. 4457 e ss.).
Si evidenzia che la norma di cui all’art. 440 c.p., così come riformulata, punisce le condotte di produzione e commercializzazione delle sole sostanze alimentari, laddove già puniva le condotte di adulterazione e contraffazione delle medesime sostanze, prevedendo al terzo comma una circostanza aggravante laddove oggetto della contraffazione e adulterazione fossero le sostanze medicinali.
Viene disposta quindi l’abrogazione del comma 3 e per non lasciare vuoti di tutela si è intervenuto sul comma 2 del medesimo art. 440 c.p., onde punire le condotte già contemplate dall’attuale art. 440 c.p. con riferimento alle sostanze medicinali.
Al riguardo, si tratta di fattispecie sicuramente più grave di quelle che, munite di clausola di riserva apposita, puniscono condotte analoghe ai sensi del D.Lgs. 24/04/2006, n. 219, recante attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica), relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE.

Il nuovo comma 2 dell’art.440 c.p. indica oltre alle sostanze medicinali anche le acque, dove contraffatte o adulterate, al medesimo scopo di non lasciare vuoti di tutela derivanti dalla riscrittura dell’art.442 c.p., che nel testo in vigore punisce le condotte di commercializzazione aventi ad oggetto acque corrotte o adulterate.
Nel disegno di legge resta invariato l’art. 441 c.p., che prevede una pena diversa per la distribuzione dei prodotti adulterati e contraffatti pericolosi, diversi da quelli alimentari, che in ragione delle modalità di consumo meritano una tutela rafforzata.
L’art. 440 novellato corrisponde, per il resto, all’art. 5, della legge n. 283 del 1962, con un evento di pericolo concreto, costituito dal richiamo alla sicurezza di più persone.

Il riferimento al pericolo per più persone è ritenuto sufficiente a significare che l’oggetto della tutela è costituito dal pericolo per la salute anche soltanto di alcune persone indeterminate e prescinde dalla loro aggregazione sociale (reato di pericolo comune), come del resto avviene nella concreta applicazione dei vigenti artt. 440, 442, 444 c.p.
Sotto questo profilo, pertanto, la nuova disposizione ha un valore di chiarimento e di semplificazione normativa, ma non innova nella punibilità, se non per il fatto di esigere che, comunque, le condotte siano o già antigiuridiche, per violazione dell’art. 5 della legge n. 283 del 1962 – che rimane assorbito dal delitto del codice – o per la previa adulterazione e contraffazione degli alimenti, già attualmente previste.

C’è, peraltro, una previsione che traccia con chiarezza una differenza tra ipotesi contravvenzionali o speciali e ipotesi codicistiche e che oggi non è adeguatamente valorizzata nel codice, né nella sua costante applicazione.
Per differenziare il delitto dell’art. 440 dalla previsione dell’art. 5 della legge n. 283 del 1962 riformata, si esplicita che il pericolo come evento tipico del delitto del codice riguarda la possibilità concreta che più di una persona subisca una malattia, un disturbo alla salute.

È sempre un pericolo comune indifferenziato nell’identità delle vittime, ma concretizzato dal fatto che i danni anche cumulativi sono assai più concreti rispetto a quelli tipici ai sensi dell’art. 5, perché rilevano solo se derivano dal consumo degli alimenti effettivamente già commercializzati o distribuiti, mentre a contrario la nocività della contravvenzione (o del delitto di rischio di cui all’art. 5 commi 1 e 2 della legge n. 283 del 1962) ne prescinde ed è più cumulativa, salvo che la condotta concreta non sia (di fatto) quella preparatoria dell’art. 440 c.p.

Il nuovo art. 440, dunque, segna una innovazione chiara, anche rispetto a certe distorsioni della prassi applicativa, nei rapporti tra regole codicistiche legate al pericolo e regole speciali legate al rischio o a forme di tutela più anticipate e, tiene conto, altresì, della particolare connotazione criminologica di questi reati, come del resto ha sempre fatto anche il codice nella tipologia di fondo delle incriminazioni al riguardo: che anche se non sono reati propri (risultando commissibili da chiunque), risultano, di fatto, destinati (a differenza delle fattispecie dolose degli artt. 439 e 439 bis) agli stessi soggetti produttori od operatori nel settore alimentare, i quali non hanno certo interesse al prodursi di malattie o disturbi alla salute, ma veicolano tali rischi sin verso la soglia del pericolo concreto per ragioni puramente commerciali, sì che il dolo di pericolo non contiene di regola nessun dolo di danno.

Art. 442 (Omesso ritiro di alimenti pericolosi)
Si tratta di una fattispecie a condotta omissiva necessariamente dolosa, che può essere realizzata anche prima o a prescindere dall’ipotesi di produzione, distribuzione o vendita di cui all’art. 440 c.p., tanto che configura una sorta di soglia di prevenzione rispetto ad esso, potendo integrare, tra l’altro, anche l’ipotesi colposa. Ciò giustifica l’inserimento di un’apposita clausola di riserva – “fuori dei casi di concorso nel reato previsto dall’articolo 440”- volta a regolare i rapporti tra gli artt. 440 e 442 c.p.

L’omissione descritta dall’art. 442 c.p. deriva dalla violazione di un obbligo riferibile agli stessi soggetti attivi individuati dalla norma precedente – ossia produttori, distributori o venditori – i quali, avendo in buona fede acquisito la detenzione o proseguito nell’alienazione di alimenti destinati al consumo, siano – in un secondo momento – venuti a conoscenza della situazione di pericolosità connessa al consumo dell’alimento senza intervenire a neutralizzarla secondo le indicazioni fornite dalla norma medesima. Più specificamente, in quest’ipotesi occorre distinguere l’obbligo per gli operatori del settore alimentare di provvedere, ove possibile, al ritiro dal mercato o al richiamo presso gli acquirenti o gli attuali detentori dei suddetti alimenti ovvero di informare immediatamente l’autorità competente.
Anche sotto questo profilo, la norma costituisce il necessario adeguamento alle istruzioni contenute nel Reg. (CE) n. 178 del 2002 che impone obblighi di ritiro dal mercato e di richiamo presso gli acquirenti, oltre che precisi doveri di informazione nei confronti delle autorità competenti, in capo agli operatori nei settori alimentare (art. 19) e dei mangimi (art. 20).

L’elemento costitutivo del delitto in questione – che lo contraddistingue dalle ipotesi di condotte omissive affini, punite a titolo di contravvenzione negli articoli 3 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 190 [Disciplina sanzionatoria per le violazioni del regolamento (CE) n. 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel settore della sicurezza alimentare] in caso di violazione degli obblighi derivanti dagli artt. 19 e 20 del Regolamento (CE) n. 178 del 2002 e 112 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo), quest’ultimo inapplicabile al settore alimentare – si identifica proprio nel pericolo per la consumazione dell’alimento, quale presupposto imprescindibile di un obbligo di agire che attinga alla sanzione penale, per definizione massimamente invasiva. Il delitto in esame è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Art. 444 (Informazioni commerciali ingannevoli pericolose)
Con questa inedita fattispecie si è voluto allineare il codice penale alle più recenti riforme, soprattutto, all’indomani dell’entrata in vigore del Regolamento (CE) n. 178 del 2002.
La pubblicità incriminata dal nuovo art. 444 c.p. potrebbe essere sia radicalmente «falsa» – nei contenuti informativi che veicola – sia solamente «incompleta» ossia idonea a produrre un effetto decettivo alla luce delle forme e dei modi con cui trasmette agli utenti le informazioni sugli alimenti, seppur non necessariamente false. La costruzione di un’ipotesi delittuosa presuppone una condotta strutturalmente dolosa che può essere ascritta a soggetti titolari di un’attività di comunicazione pubblicitaria non per forza connessa all’attività di produzione di ciò che viene sponsorizzato.

Il dato che si è voluto in particolar modo sottolineare è la correlazione che deve sussistere fra questa forma di pubblicità tipizzata e il pregiudizio arrecato alla sicurezza della consumazione dell’alimento con pericolo per la salute di più persone, quale elemento costitutivo della fattispecie. In altri termini, l’art. 444 c.p. impone all’interprete di verificare, nel caso concreto, il pericolo che sia derivato per la sicurezza nel consumo dell’alimento sponsorizzato dalle eventuali omissioni, menzogne, falsità e tendenziosità riscontrabili nella relativa comunicazione pubblicitaria.
Così, si comprende come la sicurezza del consumo possa essere lesa o, comunque, esposta al pericolo, non soltanto per via delle caratteristiche strutturali e funzionali dell’alimento, ma anche alla luce delle distinte e autonome modalità del suo utilizzo, per come prospettate dai messaggi pubblicitari.

La conseguenza di questo preciso modo di intendere il disvalore di una pubblicità menzognera o decettiva, in stretta correlazione con il pericolo per la sicurezza nella fruizione dell’alimento sponsorizzato, impone anche per l’accertamento della fattispecie di cui all’art. 444 c.p. un’indagine circa gli effetti prodotti per accumulo, rispetto ad un consumo in quantità normali dell’alimento medesimo.
Si noti che non giova richiamare – come disciplina già esistente ed efficace sul piano sanzionatorio – le disposizioni sulle pratiche commerciali ingannevoli (artt. 21 e 22 del decreto legislativo n. 206 del 2005), in quanto nel progetto è selezionata la specificità del pericolo per la sicurezza della consumazione che rende penalmente rilevante la condotta e che manca nella previsione del codice del consumo, limitato a sanzioni amministrative sul piano della concorrenza sleale. D’altro canto, come già segnalato, le violazioni del codice del consumo che rilevino sul piano della sicurezza dell’alimento, sono sanzionate sì come contravvenzioni (dal decreto legislativo cit.), ma non si applicano agli alimenti (artt. 112 e 102, co. 6, del decreto legislativo n. 206 del 2005).
Tenuto conto del disvalore sotteso ai fatti incriminati, si prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni.

La norma è strutturata come reato comune. È verosimile tuttavia ritenere che i destinatari effettivi siano l’imprenditore del settore agricolo ed il pubblicitario. Con riguardo alle informazioni incomplete sono punite le sole condotte dolose; l’obiettivo della riforma è infatti quello di punire le condotte fraudolente e dunque assistite dal necessario dolo; si è quindi consapevolmente ritenuto di escludere dall’area del rilievo penale condotte di mera negligenza; laddove invece l’incompletezza dell’informazione deriva da una cosciente scelta commerciale idonea ad arrecare danno il fatto è punito penalmente.

Art. 445 bis (Disastro sanitario)
La inedita fattispecie di disastro sanitario costituisce il frutto di uno sforzo significativo nella direzione della sempre maggiore “precisazione legislativa” della nozione stessa di disastro, sia sotto il profilo della sua determinatezza testuale che sotto quello della sua verificabilità empirica, nel progressivo superamento di discipline carenti di tassatività.
L’inedita figura che si propone muove infatti da una descrizione assai più tassativa-precisa di quella del disastro ambientale di recente introdotta (art. 452 quater c.p.) e, al tempo stesso, si staglia come ipotesi aggravata e autonoma dai singoli “mini-disastri” che la precedono, allo scopo di rafforzare la tutela in questi settori rispetto ai casi di difficile prova della causalità individuale.
Proprio i reati contro la salute pubblica presentano, a tale riguardo, un’esigenza di tipizzazione differente dai reati contro l’incolumità che sono costituiti, almeno di regola, da eventi assai rilevanti di danno (incendio, frana, valanga, etc.) qualificato da un ulteriore pericolo a vittima indeterminata. Nel caso della salute pubblica, a parte i casi di avvelenamento o epidemia, l’evento primario lesivo, a cui agganciare il pericolo comune, necessita di maggiore cura definitoria da parte del legislatore: ciò che si intende compiere con la riforma dell’art. 440 c.p.

La tipizzazione di un autonomo e generale delitto di disastro sanitario, peraltro, tiene conto del macro-evento del disastro che non riguarda forme di condotte dolose di tipo stragista (come l’avvelenamento doloso, per es., che è fattispecie parificata alla strage già nel codice), per il resto già sanzionate dagli artt. 422 ss. e 439 ss. c.p., ma costituisce una ipotesi aggravata di delitti orientati al profitto e alla frode alla salute, prima che al danno immediato a quest’ultima.

Dunque, la inedita fattispecie aggravata di disastro sanitario si configura come un evento aggravatore unitario (delitto doloso di base aggravato colposamente dall’evento), realizzabile quando dai fatti di cui agli artt. 439 bis, 440, 441, 442, 443, 444 e 445 c.p., siano derivate per colpa:

– la lesione grave, gravissima o la morte di tre o più persone.

– il pericolo grave e diffuso di analoghi eventi ai danni di altre persone, facendo scattare una sanzione particolarmente afflittiva, come sempre accade per i reati aggravati dall’evento.

La specificazione nel testo della norma di un numero di persone lese o decedute è essenziale per la determinatezza di una fattispecie di “danno qualificato dal pericolo” in questo specifico campo di materia (salute pubblica): qui non c’è un evento concreto: una valanga, un incendio o un crollo; occorre pertanto, uscendo dalle fattispecie di mero pericolo, quali i vigenti 440, 442, 444 c.p. – ora accorpati nel nuovo 440 c.p. – indicare un evento tassativo.
Ma questo evento non esprime in sé, da solo, la gravità della fattispecie: questa fattispecie, di regola, interesserà casi dove ci sono stati moltissimi eventi lesivi, anche se difficile appare la dimostrazione della causalità individuale: tumori o patologie verificatesi a distanza di anni e decenni per effetto delle sostanze proibite assunte. In questi casi il numero di due o tre lesioni o persone decedute è solo il segno di una concretizzazione di un pericolo molto più vasto, che spesso potrà aver provocato più vasti. La ampiezza e diffusione del pericolo “comune” è quindi necessariamente tipizzata nella norma.

Art. 445 ter (Disposizioni comuni)
Con la disposizione in esame, si persegue un duplice obiettivo definitorio:

– da un lato, in funzione di chiarificazione della prospettiva di tutela, si stabilisce che, agli effetti della legge penale, l’evento di pericolo per la salute pubblica comprende anche quello derivante da consumi cumulativi in quantità normali delle acque o degli alimenti già distribuiti o venduti; con l’ulteriore precisazione che l’evento di pericolo per la salute pubblica deve essere accertato con riferimento al tempo della distribuzione, vendita o messa in circolazione per il consumo dei predetti alimenti;

– dall’altro, l’oggetto materiale dei reati in disamina è adeguato una volta per tutte alla definizione generale di “alimento” di cui all’art. 3 del Regolamento (CE) n. 178 del 2002. Difatti, con una norma definitoria di portata generale si chiarisce, a scanso di equivoci interpretativi, che agli effetti della legge penale la nozione (normativa) di “alimenti” comprende tanto i «prodotti quanto le sostanze alimentari» come pure quella di mangimi «destinati alla nutrizione per gli animali».

Con riferimento a quest’ultima specifica, viene “alleggerita” – a fini penali – la definizione di mangimi di cui all’art. 3, par. 1 n. 4 del cit. Reg. (CE) n. 178 del 2002 che si riferisce ai prodotti “destinati alla nutrizione per via orale degli animali”: in luogo del riferimento differenziato dei mangimi per animali destinati o al consumo o alla produzione ovvero ad essi somministrati, qui si chiarisce che soltanto se l’animale è destinato effettivamente al consumo umano, il mangime che ne abbia costituito materiale per l’alimentazione è da ricondurre alla disciplina penale.

Quanto, invece, alla più rilevante nozione penalistica di “alimenti”, si è inteso recepire – una volta per tutte (anche in relazione, quindi, ai reati di frode alimentare di cui al novello Capo II bis ovvero alla legislazione speciale alimentare) – una locuzione omnicomprensiva allineata alla finalizzazione contenutistica esplicitata dal legislatore europeo. Posto che, infatti, il prodotto “agro-alimentare” costituisce un sotto-insieme del prodotto alimentare, si è evitato un riferimento al primo termine che, benché fortemente evocativo, interpretativamente avrebbe potuto limitare l’ambito di rilevanza penale esclusivamente ai prodotti dell’agricoltura destinati all’alimentazione umana (con esclusione, ad esempio dei prodotti ittici o degli integratori alimentari). Di qui l’impiego di una più ampia nozione “alimento” idonea a riferirsi a qualsiasi manufatto alimentare, sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, comprensivo anche del prodotto agroalimentare.

Art. 448 (Pene accessorie).
La previsione dell’applicazione delle pene accessorie dell’interdizione temporanea dalla professione, arte, industria, commercio o mestiere, dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per lo stesso periodo e della pubblicazione della sentenza di condanna, viene estesa ai casi di condanna per i delitti di cui agli artt.439 bis e 445 bis c.p.
Art. 452 (Delitti colposi contro la salute pubblica).
Il vigente art. 452 c.p. fonda la responsabilità penale derivante dalla commissione per colpa dei delitti previsti nel Capo II del Titolo VI: al primo comma, sono disciplinati i delitti di epidemia e di avvelenamento colposi; al secondo comma, le forme di realizzazione colposa dei delitti previsti all’art. 440 e ss. c.p.

Il trattamento sanzionatorio è modulato “per relationem” rispetto a quello stabilito per le corrispondenti figure dolose. A tal proposito, occorre rilevare che, in tema di epidemia e avvelenamento colposi, si prevede che nei casi in cui le corrispondenti disposizioni dolose prevedano la pena di morte, sia comminata la pena della reclusione da tre a dodici anni. La soppressione della pena di morte fa sì che, attualmente, a tutti i fatti puniti con l’ergastolo – ab origine (art. 452, comma 1, n. 2, c.p.) oppure in sostituzione della pena capitale (art. 452, comma1, n.1, c.p.) – si ricolleghi attualmente la sanzione dell’ergastolo:
deve, dunque, ritenersi che, anche in ambito colposo, si produca il corrispondente (ed iniquo) effetto di livellamento e di compressione del trattamento punitivo di ipotesi caratterizzate da un grado di disvalore manifestamente diverso: un esito senz’altro irragionevole, ma, allo stato attuale, inevitabile.
Da un lato, sul versante degli artt. 438 e 452 c.p., sia che sia stata cagionata un’epidemia colposa, sia che sia stata cagionata un’epidemia colposa da cui derivi la morte di più persone, la pena comminata è sempre quella della reclusione da uno a cinque anni; dall’altro, sul versante degli artt. 439 e 452 c.p., l’avvelenamento colposo (che abbia provocato la morte di almeno una persona) risulta in ogni caso punito con la reclusione da uno a cinque anni, a prescindere dal fatto che, sia stata cagionata la morte di una o di più persone.

Al fine di correggere tali sperequazioni sanzionatorie, in sede di riformulazione dell’art. 452 c.p., si provvede, in primo luogo, a determinare il trattamento sanzionatorio dell’epidemia colposa: si punisce con la reclusione da tre a otto anni la realizzazione in forma colposa dei fatti previsti all’art.438 c.p.; in secondo luogo, la disciplina sanzionatoria viene adeguata al nuovo testo dell’art. 439 c.p., prevedendo che l’avvelenamento colposo sia punito con la reclusione da due a sei anni e, nel caso sia stata cagionata la morte di alcuno, con la reclusione da tre a otto anni (art. 452, comma 1, c.p). In tal modo, attraverso la scalarità dei livelli edittali, si pone rimedio all’iniquo “livellamento” che caratterizza attualmente la disciplina sanzionatoria di cui all’art. 452, comma 1, c.p.
Mantenuto fermo il criterio della determinazione per relationem dei livelli di pena, al terzo comma del riformato art. 452 c.p. si prevede, infine, la responsabilità penale derivante dalla commissione per colpa dei fatti puniti agli articoli 439 bis, 440, 441, 442, 443, 445 c.p., stabilendosi che si applichino le pene ivi rispettivamente stabilite, ridotte da un terzo a due terzi.

CAPO II
Delle frodi in commercio di prodotti alimentari.

Libro II, Titolo VIII, Capo II bis.
Delle frodi in commercio di prodotti alimentari

Al fine di far risaltare meglio l’innovatività dell’intervento riformatore nel settore di tutela in esame, si attribuisce al Titolo VIII del Libro II del codice penale una nuova denominazione – «Dei delitti contro l’economia pubblica, l’industria, il commercio ed il patrimonio agroalimentare» – in grado di rappresentare e rispecchiare i molteplici ed innovativi contenuti normativi del Titolo.
Per le stesse finalità, come già anticipato, si ritiene opportuno raccogliere la disciplina dei delitti di frode alimentare all’interno di un nuovo Capo II bis, la cui denominazione – «Delle frodi in commercio di prodotti alimentari» – rende epifania della rilevanza e, al contempo, della specialità “empirico-criminologica” e politico-criminale di questo settore di tutela.

Il fatto che nella denominazione del Titolo VIII (“patrimonio agroalimentare) si adotti una terminologia in parte diversa da quella ricavabile nell’intitolazione del nuovo Capo II bis (“prodotti alimentari”) e nella definizione dell’oggetto materiale dei reati in disamina (“alimenti”) discende in questo caso dalla necessità di valorizzare – anche a fini simbolico-ideali, nell’ambito della classe dei reati contro l’industria ed il commercio – quel particolare bene immateriale espresso dalla complessiva organizzazione della filiera alimentare che, partendo dal territorio, organizza le modalità di produzione, trasformazione e manifattura aldilà della consistenza merceologica dei singoli manufatti alimentari, sottolineandosi in tal modo un valore ideale di matrice europea e sovranazionale espresso proprio, ed evocativamente, dalla locuzione “patrimonio agroalimentare”.

Art. 516 (Frode in commercio di prodotti alimentari)
Non vi è dubbio che l’attuale formulazione dell’art. 515 c.p. (Frode nell’esercizio del commercio) presenti non poche criticità sotto il profilo politico-criminale.
Essendo il campo di applicazione della disposizione limitato spazialmente al luogo di «esercizio di attività commerciali» o allo «spaccio aperto al pubblico», rimane, in primo luogo, problematicamente «scoperta» la fascia di ipotesi espressiva della complessità e della lunghezza dell’odierna catena produttiva.

Secondo un’opinione diffusa – tratta anche dalla casistica giudiziaria – sarebbe, pertanto, necessario riformulare lo schema normativo, sostituendo il riferimento all’«esercizio di attività commerciali» o «allo spaccio aperto al pubblico» con il più ampio richiamo all’«esercizio di un’attività commerciale, agricola od industriale», in modo da allargarne il campo d’applicazione; secondo altri, l’attuale art. 515 c.p. dovrebbe essere, invece, mantenuto nel sistema, in quanto diretto a disciplinare le ipotesi del c.d. fenomeno frodatorio «corto» (contraffazioni episodiche o locali) che, altrimenti, sarebbero incongruamente confuse e assimilate sotto il profilo sanzionatorio, con pratiche ben più gravi e rilevanti, meritevoli di autonoma considerazione. Per quest’ultime ragioni si reputa opportuno lasciare immutato l’art. 515 c.p., intervenendo – tramite la riformulazione del successivo art. 516 c.p. – in riferimento agli alimenti.
Ulteriori criticità riguardano il «calibro» della tutela apprestata dal codice penale, circoscritta all’affidamento del consumatore determinato nell’origine, provenienza, qualità o quantità dei prodotti, ad uno stadio prossimo a quello finale dell’offesa, tanto da esigere, per così dire, «una vittima determinata», essendo la fattispecie basata sulla consegna di una cosa in luogo di un’altra (aliud pro alio).
L’art. 515 c.p. presuppone, infatti, una richiesta e una dazione, che ne esauriscono la portata punitiva, coincidente con la cessione al consumatore finale.

Per evitare che la protezione penale avverso le frodi alimentari sia attivata tardivamente, alla fine del ciclo produttivo e in modo occasionale, si reputa necessario anticipare, ampliare e rafforzare il fronte della tutela, al di là dei limiti sottesi alla generica azione di salvaguardia esercitata dall’art. 515 c.p. e del ricorso “compensativo” all’istituto dell’art. 56 c.p., sovente utilizzato in giurisprudenza per reprimere quelle condotte rispetto alle quali l’accertamento del reato coincida con il semplice «rinvenimento» di prodotti sì contraffatti, ma non ancora effettivamente venduti.

Per raggiungere tale obbiettivo, è opportuno addivenire alla riformulazione dell’art. 516 c.p., avente ad oggetto la vendita di alimenti non genuini come genuini (di scarsa applicazione pratica), elevandolo a nuova fattispecie “base” di frode in commercio di alimenti. Nella misura in cui mira a proteggere una pluralità indeterminata di consociati da forme di aggressione ad interessi economici, la predetta disposizione incrimina una frode commerciale incentrata su di un singolo episodio di slealtà del venditore/commerciante, che patisce un’evidente ineffettività sul piano applicativo, data anche l’assenza di una definizione normativa di «genuinità».

L’opzione politico-criminale mira, dunque, da un lato a riversare all’interno del nuovo art.5 quater della legge n. 283 del 1962 (v. infra) le specifiche esigenze di tutela sottese al vigente art. 516 c.p., quanto alla genuinità degli alimenti dall’altro, ad individuare in questa stessa sedes materiae la prima fattispecie – scalarmente meno offensiva, residuale ma di portata generale per il comparto di riferimento – incriminante le frodi commerciali nel settore alimentare.

Nell’odierno disegno, il riscritto art. 516 c.p. diviene, così, un’ipotesi speciale rispetto alla comune ed invariata frode in commercio di cui all’art. 515 c.p., in quanto caratterizzata sia dalla qualificazione dell’oggetto materiale, sia dall’ampliamento del campo di applicazione ad ogni attività commerciale, agricola, industriale ovvero anche di intermediazione. In particolare, rispetto all’immutato art. 515 c.p., il raggio punitivo del riscritto dell’art. 516 c.p. si estende a condotte prodromiche rispetto alla consegna vera e propria, che prescindono dalla fase di negoziazione, ponendo, in tal modo, rimedio alle lacune e ai già segnalati anacronismi dell’art. 515 c.p.
Si propone, infatti, di punire chi, nell’esercizio di un’attività agricola, commerciale, industriale o d’intermediazione, importa, esporta, trasporta, detiene per vendere, offre o pone in vendita, distribuisce, consegna o mette altrimenti in circolazione alimenti che per origine, provenienza, qualità o quantità sono diversi da quelli, indicati, dichiarati o pattuiti.

Il riferimento all’alterità degli alimenti rispetto a quanto dichiarato o pattuito sotto il profilo dell’origine, provenienza, qualità o quantità, denota, per l’appunto, l’intento di estendere la tutela a pluralità indeterminate di consumatori, prima ancora che l’offesa possa, per così dire, individualizzarsi.
Nell’ambito delle previsioni delittuose di cui al nuovo Capo II bis, l’art. 516 c.p. assume, in definitiva, il ruolo di figura ‘generica’ e sussidiaria, destinata a cedere il passo alle disposizioni successive, ogni qual volta, in virtù del principio di specialità, le particolari modalità della condotta (art. 517) o la tipologia di oggetto materiale particolarmente protetto (art. 517 quater) impongano l’applicazione di una fattispecie più gravemente sanzionata.

Al fine della risoluzione del concorso apparente con la disposizione successiva, avente ad oggetto la vendita di alimenti con segni mendaci, si è ritenuto opportuno inserire una clausola di riserva, con la quale si chiarisce che l’art. 516 c.p. può essere applicato solo al di fuori dei casi contemplati dall’art.517 c.p.
La commissione del delitto in esame è punita con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa fino a 10.000 euro.

Art. 517 (Vendita di alimenti con segni mendaci)
Il riscritto art. 517 c.p. incrimina una particolare ipotesi consistente nella «vendita di alimenti con segni mendaci» che ricalca la attuale previsione della «vendita di prodotti industriali con segni mendaci» ovvero la ipotesi in cui la frode viene attuata inducendo, con «segni» diversi dai marchi registrati, l’acquirente – da qualificarsi, in termini più moderni, come “consumatore” – a ritenere una diversa qualità del bene acquistato.

Nel settore alimentare, l’introduzione di una simile fattispecie acquisisce un significato ben diverso, a partire dal bene tutelato che non è più l’«economia pubblica», bensì la fiducia del «consumatore».

La lettura della casistica oggetto delle decisioni della giurisprudenza di legittimità in tema di attuale ipotesi di «vendita di prodotti industriali con segni mendaci» (e spesso si tratta di prodotti dell’«industria» alimentare), dimostra come tale reato abbia rappresentato fondamentalmente una forma di protezione del produttore rispetto a condotte di concorrenza sleale, laddove non ricorrano le condizioni per la tutela ai sensi degli artt. 473 e 474 c.p..

La disposizione che si propone, invece – a parte la limitazione, nell’oggetto materiale, agli alimenti con conseguente espunzione dei prodotti industriali – è formulata in termini di necessaria capacità e finalità ingannatoria della condotta di utilizzazione di false o mendaci indicazioni e anticipa il fronte della tutela, estendendo il raggio dell’incriminazione anche a condotte prodromiche, simmetricamente al coevo intervento sull’art. 516 c.p.
In tale modo, si consente un più facile intervento degli organi di controllo in qualsiasi fase della commercializzazione anche temporalmente e spazialmente distante dalla vendita finale.
D’altra parte, la disposizione proposta, nell’individuare i beni da tutelare, tiene conto di principi già fissati nella normativa europea a fondamento delle disposizioni in materia di etichettatura e della protezione che con la stessa si intende offrire al consumatore.
Si è, di conseguenza, previsto un reato a dolo specifico, risultando quest’ultimo necessario per connotare la condotta in grado di ingannare concretamente il consumatore e consentire l’anticipazione del momento di perfezionamento del reato, a seguito di qualsiasi attività di immissione in commercio (per i beni importati, già con la spedizione in transito o l’introduzione in custodia temporanea o in deposito doganale, secondo uno schema già presente nell’ordinamento).
Le condotte punite consistono nell’utilizzazione di segni distintivi o indicazioni false o ingannevoli, anche figurative e, quindi, realizzate con un dato confezionamento.

L’ampia previsione della modalità di frode è bilanciata dalla necessità di dimostrare il dolo specifico in capo all’agente e, cioè, la concreta capacità ingannatoria della condotta di mendacio verso il consumatore. Ciò consente di rimettere al giudice, in concreto, ogni valutazione senza prevedere norme definitorie che, se troppo analitiche, potrebbero lasciare fuori altre ipotesi che, pur accomunabili, quanto a ratio punitiva, non vi rientrano in quanto a descrizione di modalità ingannatorie.
La condotta può anche consistere nell’omissione delle indicazioni obbligatorie che, per legge, devono essere inserite sulla confezione dell’alimento.
Anche in questo caso, dovendosi individuare una condotta diretta a realizzare l’effetto “frode”, è da escludere che la mera violazione in tema di indicazioni obbligatorie possa fondare, di per sé sola, una notizia di reato e consentire le attività conseguenti. La condotta sanzionata è la “frode”, mentre la violazione in tema di etichettatura è il metodo. Vi è notizia di reato ed ogni conseguente attività di polizia giudiziaria solo quando vi sia segno della prima.
Si deve, invece, rimarcare come la nuova disposizione consenta di sanzionare in modo adeguato i casi in cui anche con la violazione di obblighi sulla rintracciabilità, si voglia ottenere l’effetto di attribuire all’alimento un’apparente provenienza.

Le condotte relative ai prodotti industriali diversi dagli alimenti ove caratterizzate da frode restano punite dagli artt.473 e 474 c.p. pure oggetto di modifica da parte del presente disegno di legge. L’art.517 c.p. ha carattere residuale. Il novellato art.473 c.p. punisce in ogni caso l’uso industriale di beni e oggetti realizzati usurpando un titolo di proprietà industriali o in violazione dello stesso. Le condotte più gravi di abuso di beni e dunque di prodotti industriali realizzati in violazione delle norme sui segni distintivi continua ad essere punito. Proprio il riferimento alla natura industriale dell’uso induce a ritenere scongiurato il pericolo di un vuoto di tutela. Le condotte infatti meramente ingannevoli, sul piano della provenienza e che prescindono dalla vera e propria contraffazione, oggi punite dall’art.517 c.p., trovano la loro sanzione naturale nel vasto apparato di illeciti amministrativi, predisposto con riguardo a singoli marchi. Si pensi proprio all’art.4 comma 49bis della legge 24 dicembre 2003 n.350 come introdotto dall’art.16 del d.l. n.135/2009. Norme analoghe che sanzionano sul piano amministrativo la violazione dei marchi di provenienza sono stabilite da altre disposizioni (per es. in tema di marchio CE). Scopo della riforma è quello della maggiore tutela anche penale della provenienza degli alimenti la cui contraffazione e ogni condotta ingannevole deve essere punita più severamente, per il maggiore e più immediato grado di lesività collegato a pratiche commerciali distorte. Esigenza questa meno avvertita con riguardo a condotte relative a prodotti industriali di origine diverse, quando il loro commercio non assuma la forma di un uso industriale di detti beni, ipotesi questa sanzionata dall’art.473 e 474 c.p.

La norma fa propria la nozione di “ingrediente” con cui s’intende qualsiasi sostanza, compresi gli additivi e gli enzimi, utilizzata nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma modificata (art.6 direttiva CE 2000/13 sull’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari). Circa la natura potenzialmente ingannatoria delle etichettature si rileva come la Corte di giustizia (causa C-195/14) ha stabilito che la direttiva CE 2000/13, deve essere interpretata nel senso che osta “a che l’etichettatura di un prodotto alimentare e le relative modalità di realizzazione possano suggerire, tramite l’aspetto, la descrizione o la rappresentazione grafica di un determinato ingrediente, la presenza di quest’ultimo in tale prodotto, quando invece, in effetti, detto ingrediente è assente, e tale assenza emerge unicamente dall’elenco degli ingredienti riportato sulla confezione di detto prodotto”.

L’art.2 della medesima direttiva stabilisce che l’etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono: a) essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e, in particolare, «la sua natura, l’identità, le qualità, la composizione, la quantità, la conservazione, l’origine o la provenienza, il modo di fabbricazione o di ottenimento».
Si ritiene, inoltre, opportuno intervenire, sulla precisazione di «origine o provenienza geografica», sia per tener conto della giurisprudenza che, sinora, nell’interpretare i termini «origine» e «provenienza», ha spesso limitato il significato di entrambi tali termini a «origine imprenditoriale» e «provenienza imprenditoriale», sia per la opportunità di porre l’accento su una tipica ragione essenziale dell’acquisto di un alimento da parte del consumatore che è, proprio per questo, la più probabile sul piano casistico delle informazioni false o fallaci finalizzate alla frode.

Sul piano del trattamento sanzionatorio il presente delitto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro: la cornice edittale tiene conto della natura di fattispecie-base rispetto al sussidiario reato dell’art. 516 c.p. ma, al tempo stesso, della natura residuale dell’art. 517 c.p. rispetto alla più grave fattispecie di cui al successivo reato di agropirateria, incriminato dal novello art. 517 quater.1 c.p., nel caso di vera e propria attività imprenditoriale finalizzata alle frodi, al di fuori del fenomeno della criminalità organizzata (v. infra).

Art. 517 bis (Circostanze aggravanti)
Allo scopo di assicurare una più intensa risposta punitiva e di adeguare lo statuto penale ai fenomeni criminali più frequenti registratisi nella casistica giudiziaria in materia di frodi alimentari, si propone la riscrittura dell’art. 517 bis c.p. prevedendo nuove fattispecie aggravanti che, da un lato, eliminino ogni duplicazione e/o stratificazione normativa rispetto al vigente art. 517 quater c.p. e, dall’altro, tengano conto delle nuove esigenze politico-criminali.
Tre sono le ipotesi individuate quali circostanze aggravanti ad effetto comune applicabili ai reati di cui agli artt. 516, 517 e 517 quater c.p.

La prima riguarda le modalità di realizzazione delle frodi, che sono spesso commesse mediante condotte falsificatorie di «copertura» cartolare e, cioè, mediante la redazione (od utilizzo) di falsi documenti di trasporto da esibire in caso di eventuale controllo agli organi di polizia ovvero di false dichiarazioni all’organismo di vigilanza (quali, ad esempio, le dichiarazioni destinate a confluire nel sistema Sian). In tal modo si sanzionano condotte di falso materiale o ideologico che, altrimenti, non avrebbero rilievo penale, senza però intervenire direttamente sulle disposizioni di settore e, quindi, senza introdurre alcun aggravio burocratico o variazione delle modalità dei controlli per chi opera regolarmente. La ratio della aggravante è rappresentata dalla maggiore insidiosità della condotta così realizzata che, evidentemente, denota una particolare scaltrezza criminale in termini falsificatori.

Con la seconda ipotesi aggravatrice, si prevede un inasprimento sanzionatorio nel caso di frodi realizzate simulando la produzione «biologica» senza il rispetto delle disposizioni specifiche di settore. Si tiene, infatti, conto dell’esistenza di specifici obblighi, metodologie e controlli da rispettare per poter presentare l’alimento come “biologico” e della importanza assunta sul mercato da tale tipo di produzioni, non a caso interessate da recenti e frequenti condotte delinquenziali.
La norma è cioè volta a inasprire le frodi che simulano una produzione biologica, oggetto dei regolamenti CE 834/2007 e 889/2007, senza il rispetto delle disposizioni specifiche di settore, il cui controllo è affidato a organismi privati di certificazione accreditati presso il Ministero delle politiche agricole. In relazione all’art.517 c.p. che contempla la vendita con segni mendaci, l’art. 25 del regolamento CE 834/2007 disciplina i loghi di produzione biologica: “Il logo comunitario di produzione biologica può essere utilizzato nella etichettatura, presentazione e pubblicità di prodotti che soddisfano i requisiti di cui al presente regolamento”. “Loghi nazionali e privati possono essere utilizzati nella etichettatura, presentazione e pubblicità di prodotti che soddisfano i requisiti di cui al presente regolamento. Da ultimo il regolamento UE 271/2010 ha definito il nuovo logo biologico europeo”.

La terza ed ultima fattispecie aggravante ha ad oggetto le ipotesi in cui i predetti delitti siano commessi per le finalità del commercio all’ingrosso ovvero per la distribuzione ad ampi settori di mercato, vale a dire in quantitativi tali da far ritenere evidente la maggiore offensività, espressa dalla finalizzazione della più ampia diffusività dei beni da mettere in circolazione.
La nozione di commercio all’ingrosso si fonda sulla definizione contenuta nell’art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Si è ritenuto di estrapolare l’originaria, contestata, proposta della commissione, che faceva riferimento oltre che alle finalità, a “condotte commesse nell’ambito e nelle forme del commercio all’ingrosso e della grande distribuzione”.
Si deve infatti rilevare che manca ogni definizione normativa di grande distribuzione. Le stesse norme sul commercio distinguono le attività sulla base della superfice di vendita.

La grande distribuzione organizzata (GDO) è concetto economico e di marketing e attiene alla natura dei contratti di acquisto e ai rapporti con i fornitori dei gruppi di distribuzione, di solito gestiti da “centrali di acquisto” mediante accordi quadro direttamente con i produttori e trasformatori dei prodotti alimentari.
Sembra quindi preferibile indicare la destinazione finale dei prodotti alimentari piuttosto che riferirsi all’ambito e alle forme della grande distribuzione in modo generico. Per l’Autorità della concorrenza i mercati rilevanti nell’ambito della GDO sono definiti sulla base delle dimensioni dei punti vendita e si distinguono a secondo della superficie in: supermercato, minimercato, ipermercato, secondo i periodici rilievi statistici del Ministero dello sviluppo economico.
Il criterio dimensionale in sé non è indicativo di una maggiore esposizione al pericolo.
Si pensi alla distribuzione capillare in tanti piccoli negozi al dettaglio che sarebbe altrettanto pericolosa sul piano della diffusività di prodotti ingannevoli o falsificati, in senso lato, distribuiti in quantità magari minime all’interno di grosse superfici di vendita come disciplinate dalla legge sul commercio.
Si è dunque inteso dare più grave risposta sanzionatoria a quelle condotte che siano sostenute dalla finalità specifica della distribuzione all’ingrosso, che presuppone in sé la vendita di quantitativi rilevanti di merci, ovvero per la soddisfazione di settori di mercato comunque ampi, non altrimenti definibili, ma sufficientemente indicativi per l’interprete, una volta chiarito che non si intende reprimere le forme della distribuzione in sé, ma gli scopi che sostengono l’attività del produttore o del commerciante in senso ampio dei prodotti mendaci e ingannevoli.

Art. 517 quater (Contraffazione di alimenti a denominazione protetta)
L’esistenza di un sistema assimilabile alla protezione delle privative di cui agli artt. 473 e 474 c.p., consente di sanzionare la contraffazione in sé, indipendentemente dalla necessità di provare il dolo specifico e la reale attitudine all’inganno del consumatore.
Va, anzi, tenuto conto che, in questo caso, vi sono anche ragioni che inducono a ritenere il reato di maggiore gravità, proprio in considerazione degli interessi protetti.
Innanzitutto, gli alimenti a denominazione protetta vanno paragonati al «modello» ed alla sua più incisiva tutela rispetto al marchio.
Anche in questo caso, difatti, la protezione è relativa al prodotto in sé e non al solo segno distintivo. D’altra parte, al di là del comune interesse protetto, rispetto agli artt. 473 e 474 c.p., va considerato il fatto che la denominazione protetta tutela anche, a seconda dei casi, la comunità dei produttori locali, trattandosi di alimenti che costituiscono espressione della cultura tradizionale dei luoghi di provenienza (v. infra per le ragioni di valorizzazione di tale aspetto culturale).

Nella proposta riscrittura dell’art. 517 quater c.p. si individuano le condotte di contraffazione ed alterazione (definita dalla giurisprudenza in tema di marchi come la ipotesi in cui «… la riproduzione è parziale, ma tale da potersi confondere col marchio originario o col segno distintivo»), quali connotati dell’alimento. Questi sono i casi in cui l’attività illecita consiste nella creazione di un’apparenza del prodotto, tale da poter confondere il consumatore. Inoltre, come nelle altre fattispecie sopra descritte, è anticipato e ampliato il fronte della tutela, estendendo il raggio dell’incriminazione a condotte prodromiche rispetto alla consegna.
Si lasciano, invece, volutamente al di fuori del novero delle condotte incriminate le ipotesi di mera «evocazione» e di «usurpazione», pure presenti in altri progetti di legge (v. A.S. 1328, approvato da un ramo del Parlamento) e talora accostati alla contraffazione, ma in realtà tacciabili di indeterminatezza. A tal proposito, si ritiene che la «evocazione» non sia una condotta che possa essere definita con certezza, senza ulteriori specificazioni, e neppure una condotta il cui risultato sia quello di creare un alimento che, nell’intenzione del produttore/commerciante, debba essere effettivamente confuso con quello regolare.

Si tratta di un’espressione che compare (insieme a quella di «usurpazione») più volte nella normativa extra-penale sulla tutela della provenienza di cui al Regolamento (UE) del 21 novembre 2012, n. 1151 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari 1151/2012 del 21 novembre 2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari). In ottemperanza a queste previsioni, il decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297 [Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari)] distingue, imponendo sanzioni amministrative di diversa entità, tra il caso in cui la denominazione protetta sia “usurpata, imitata od evocata” ed il caso di false indicazioni sulla denominazione protetta dell’alimento (per questa ultima ipotesi la sanzione amministrativa è più grave).

Nella medesima prospettiva appare sufficiente il richiamo alla contraffazione in sé del prodotto alimentare/modello, con espunzione dell’espressione “caratteristiche” generica ed equivoca.
L’usurpazione (condotta che va intesa quale produzione di bene conforme ma in difetto di autorizzazione), è, invece, una condotta rilevante per la tutela dei marchi, per il carattere privato dell’interesse del titolare, ma non nel caso della denominazione protetta, in cui la «esclusiva» non è a favore del privato; inoltre, tutelando la denominazione protetta anche direttamente il consumatore, l’usurpazione in sé non è tale da provocare inganno, né danno.
Si ritiene, quindi, che le condotte di alterazione e contraffazione, come inserite nelle originali previsioni degli articoli – tra gli altri – 473 c.p. e 517 c.p., attengano alla effettiva confusione tra il prodotto/marchio «vero» e quello «falso», mentre le altre condotte (imitative-evocative) riguardano una forma di concorrenza parassitaria, ovvero una condotta radicalmente diversa da quella consistente nel creare una situazione di confusione tra prodotti e determinare così l’errore del consumatore. Per tale ragione, essa è esclusa dall’ambito del nuovo art. 517 quater c.p..
Al secondo comma della disposizione in esame si continua a prevedere (così come stabilito dal vigente art. 517 quater, ultimo capoverso) la precondizione necessaria per la punibilità del fatto e, cioè, che siano state osservate le discipline legislative, europee e pattizie aventi ad oggetto gli alimenti a denominazione protetta.
Tenuto conto dello specifico e assai rilevante profilo di disvalore, il delitto in esame è sottoposto alla pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da 10.000 a 50.000 euro.

Art. 517 quater.1 (Agropirateria)
La norma è funzionale a incriminare le condotte stabili e metodiche di frode in contesti imprenditoriali organizzati nel campo alimentare.
Com’è noto, un’analoga esigenza è alla base di alcuni significativi «precedenti» legislativi. Tra i più significativi, si ricordano gli antecedenti rappresentati dall’art. 53 bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), per quel che concerne le condotte illecite di gestione e smaltimento di rifiuti, poste in essere con plurime operazioni, nel contesto di strutture organizzate, dall’art. 14 della legge 14 gennaio 2013, n. 9 (Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini), per quel che concerne il rafforzamento degli istituti processuali ed investigativi nel quadro della tutela della qualità e trasparenza delle filiere degli oli di oliva e, sopra tutto, dall’art. 474 ter c.p., in tema di tutela dei marchi e della proprietà industriale.
Come è noto, con l’art. 15, co. 1, lett. c), della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), il legislatore ha introdotto nel codice – con riferimento ai delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p. – la fattispecie circostanziale di cui all’art. 474 ter c.p.

Quest’ultima disposizione, modulata su due commi, prevede un sensibile inasprimento del trattamento sanzionatorio, avuto riguardo alle ipotesi in cui, al di fuori dei casi di cui all’articolo 416 c.p., i due delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p. siano «commessi in modo sistematico ovvero attraverso l’allestimento di mezzi e attività organizzate». In tal modo, si è ritenuto di soddisfare l’esigenza politico-criminale di fronteggiare le ipotesi in cui i traffici di alimenti contraffatti o alterati siano posti in essere da soggetti che, pur agendo in modo organizzato o sistematico, non siano riconducibili ad un’associazione per delinquere.
Si è quindi introdotto un reato abituale, così come qualificato in giurisprudenza il delitto di cui all’art. 260 sopra ricordato, per il quale la punibilità di più persone, ove non organizzate in vera e propria associazione criminale, è collegata alla condivisione del dolo del delitto abituale, ricorrendo altrimenti i comuni strumenti penali di cui agli artt. 81 e 110 c.p. con riguardo alle fattispecie monosoggettive indicate nel corpo della norma.

L’introduzione della fattispecie si giustifica in ragione della ricorrenza del fenomeno che presuppone accordi -anche occasionali- tra produttori e distributori e la ripetizione delle condotte. Nella misura in cui il disvalore qualificante la contraffazione di alimenti è di natura abituale, in quanto derivante dalla somma dei molteplici e singoli fatti di contraffazione, si pone la necessità di prevedere forme di contrasto mirate e adeguate alle caratteristiche empiriche di manifestazione di tali illeciti.
L’obiettivo, sotteso all’inserimento di questa innovativa fattispecie delittuosa – corredata dalla previsione di una circostanza aggravante nel caso in cui ricorra taluna delle fattispecie accessorie di cui all’art. 517 bis c.p. – è quello di approntare un più efficace strumento di prevenzione e di repressione nei confronti di frodi di carattere seriale e organizzato, destinate, come tali, a rivelarsi tra le più allarmanti sul piano sociale e dannose sul piano empirico-criminologico.
In questi termini, si predispone un’efficace risposta punitiva rispetto a quella sottesa al vigente art. 515 c.p., del tutto inadeguato allo scopo prefisso.

Proprio perché la nuova ipotesi di reato è destinata a coprire i casi in cui non ricorrono gli estremi per contestare l’associazione per delinquere (e di stampo mafioso) finalizzata alla commissione dei reati di frode in commercio di prodotti alimentari, al fine di regolare il concorso apparente tra norme si è inserita, ab initio, una clausola di riserva («fuori dei casi di cui all’art. 416 e 416 bis»), sì da evitare i rischi di bis in idem sostanziale e chiarire il vuoto di tutela che l’inedita incriminazione mira a colmare.
Alla luce di tale clausola, la sistematicità della commissione di delitti di frode in commercio di prodotti alimentari e l’allestimento di mezzi e attività organizzate dovrebbero essere interpretate nel senso di postulare un accordo tra i partecipi circa la commissione di più delitti ed un’organizzazione dell’attività al di sotto di quella soglia, che dottrina e giurisprudenza ritengono rilevante per determinare il passaggio dal mero concorso di persone nel reato ad una associazione per delinquere di per sé punita all’art. 416 c.p. (o all’art. 416 bis c.p., laddove ricorra l’ipotesi di assoggettamento omertoso).

È richiesta quindi sul piano oggettivo la pluralità di fatti organizzati e sul piano soggettivo il dolo specifico di profitto, nel senso fatto proprio dalla giurisprudenza, anche come vantaggio diverso da quello strettamente patrimoniale.
Sul piano sanzionatorio, si prevedono limiti edittali diversi, a seconda che ad essere commessi in modo sistematico e organizzato siano i fatti di cui agli articoli 516 e 517 c.p. oppure quelli, più gravi, di cui all’art. 517 quater c.p.: nel primo caso si prevede la reclusione da due a sei anni e la multa da 15.000 a 75.000 euro; nel secondo, la reclusione da tre a sette anni e la multa da 20.000 a 100.000 euro.
Nell’insieme, i livelli edittali riflettono l’elevato grado di disvalore sotteso alle forme seriali di frode alimentare e consentono, quoad poenam, l’attività captativa, alla luce dei consueti parametri di cui all’art. 266, lett. a), c.p.p.
Trattandosi di fattispecie autonoma, al comma secondo è previsto un apposito regime circostanziale ad effetto speciale nel caso della ricorrenza delle ipotesi aggravanti di cui ai nn. 1 e 2 del riscritto art. 517 bis c.p., in quanto espressive di una più evidente insidiosità criminale.

Sul piano delle pene accessorie, ritenute di particolare importanza sul piano preventivo, la condanna per il presente delitto comporta l’applicazione dell’interdizione temporanea dagli uffici delle persone giuridiche e delle imprese, ai sensi dell’art. 32 bis c.p. nonché il divieto di porre in essere qualsiasi condotta, comunicazione commerciale e attività pubblicitaria, anche per interposta persona, fisica o giuridica, finalizzata alla promozione degli alimenti compravenduti.
Si propone, inoltre, una circostanza attenuante speciale ad effetto speciale (diminuzione dalla metà a due terzi), il cui contenuto – ispirato all’esigenza collaborativa – ricalca quello del vigente art. 517 quinquies c.p. (circostanza attenuante), oggetto di contestuale abrogazione: anche (e solo) in questo caso, si prevede, infatti, una congrua diminuzione della pena nel caso in cui il colpevole si sia
adoperato per aiutare concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nell’azione di contrasto, nonché nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti.

È prevista infine la confisca per sproporzione, già introdotta – per le sole frodi nel settore oleario – dall’art. 14, comma 2, legge n. 3 del 2013 (contestualmente abrogato).
Si stabilisce, in particolare, che, con la sentenza di condanna (o di applicazione pena emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p.), nell’ipotesi di recidiva specifica nei reati di particolare gravità indicati al nuovo art. 518 bis, comma 1, c.p. (e, cioè, agropirateria e associazione per delinquere o di stampo mafioso diretta alla commissione di più delitti previsti dal Capo II bis), il giudice disponga obbligatoriamente la confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza o di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato rispetto al proprio reddito dichiarato od alla propria attività economica.

Capo III
Disposizioni comuni

Art. 518 bis (Ulteriori pene accessorie).
Il Capo III del Titolo VIII del codice penale (Disposizioni comuni) si compone attualmente di una sola disposizione – l’art.518 (Pene accessorie) – la quale prevede che la condanna per uno dei delitti di cui agli artt. 501, 514, 515, 516 e 517 c.p. comporti la pubblicazione della sentenza.
In considerazione dell’esigenza di rafforzamento del complessivo apparato sanzionatorio, la norma prevede ulteriori pene accessorie: si tratta di sanzioni interdittive o sospensive, finalizzate a far sì che gli autori di tali reati siano impossibilitati a proseguire le predette attività illecite.
In particolare sono stabilite le sanzioni di cui agli artt. 30 (Interdizione da una professione o da un’arte) e 36 (Pubblicazione della sentenza penale di condanna) c.p., ma anche pene accessorie incentrate sul divieto di ottenere provvedimenti di carattere autorizzatorio, concessorio o abilitativo o di accedere a contributi o finanziamenti di fonte pubblica, per lo svolgimento di attività imprenditoriali.

Valorizzando la previsione delle omologhe sanzioni accessorie previste dalla cit. legge n. 9 del 2013 in funzione di contrasto delle frodi nel settore degli oli di oliva vergini, si cerca, in questo modo, di contrastare attività illecite celate sotto l’apparenza di un’impresa legale: fenomeno diffuso, soprattutto, nell’ambito del fenomeno (ora disciplinato) della c.d. agropirateria.
Le predette pene accessorie sono applicabili in caso (appunto) di condanna per il delitto di agropirateria e per i delitti di associazione per delinquere o di stampo mafioso diretta alla commissione di più delitti previsti dal Capo II bis, nonché, infine, nel caso condanna per il delitto di contraffazione di alimenti a denominazione protetta (art. 517 quater c.p.), purché ricorra, in concreto, una delle circostanze aggravanti di cui all’art. 517 bis c.p.

In secondo luogo, traendo spunto dall’art. 13, comma 1, della legge n. 9 del 2013 e dal vigente art. 517 bis, comma 2, c.p., si prevede che, negli stessi casi (eccettuata però l’ipotesi di condanna per il delitto di cui all’art. 517 quater c.p.), il giudice, se il fatto è di particolare gravità o in caso di recidiva specifica, possa disporre la chiusura temporanea dello stabilimento o dell’esercizio in cui il fatto è stato commesso ovvero la revoca della licenza, dell’autorizzazione o dell’analogo provvedimento amministrativo che consenta lo svolgimento dell’attività commerciale nello stabilimento o nell’esercizio stesso.

L’omessa presa in considerazione – nella sfera di applicazione della disciplina in esame – delle ulteriori figure di frode in commercio di alimenti (artt. 516, 517 e 517 quater c.p.) si spiega nell’ottica di proporzionalità dell’intervento punitivo accessorio e di progressività sanzionatoria rispetto alle suddette fattispecie-base.

Art. 518 ter (Confisca obbligatoria e per equivalente).
La necessità politico-criminale di valorizzare il ricorso a misure finalizzate all’ablazione dei proventi illeciti derivanti dalle frodi in commercio di alimenti, induce a prevedere l’introduzione nel Capo III (Disposizioni comuni) di un’ulteriore disposizione – l’art. 518 ter c.p. – concernente la confisca obbligatoria e per equivalente.
Sotto il primo profilo, il nuovo articolo stabilisce che – nei casi di cui agli artt. 516, 517, 517 bis, 517 quater e 517 quater.1, c.p. – sia sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto. In via sostitutiva, quando non sia possibile eseguire il provvedimento ablatorio, il giudice ordina la confisca di beni di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo o al profitto, secondo quanto previsto dall’art. 322 ter c.p. (c.d. confisca per equivalente).
Al fine di assicurare l’effettività delle misure ablatorie, si stabilisce, infine, che le disposizioni in esame trovino applicazione anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’art. 444 c.p.p.

CAPO III
Dei delitti contro la fede pubblica

Libro II, Titolo VII, Capo III
Della falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione, certificazione o riconoscimento.

Il Capo III del Titolo I del disegno è dettato dall’esigenza di coordinare in chiave sistematica le modifiche apportate agli artt. 515 e ss. c.p. in tema di frodi alimentari con i contenuti della disposizione di cui all’art. 517 ter c.p. (oggetto, come già anticipato, di abrogazione e “ricollocazione” nell’ambito della tutela della pubblica fede).
Art. 473 (Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero brevetti, modelli, disegni e merci usurpative) Art. 474 (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi o di merci usurpative)
L’abrogazione dell’art. 517 ter c.p. rende necessario “ricollocare” i contenuti normativi di tale disposizione. Le previsioni originarie di cui all’art. 517 ter c.p. sono state trasfuse in seno agli artt. 473 e 474 c.p., nell’ambito della tutela penale delle privative, procedendo ad un’opera di integrazione e di adattamento della formulazione legislativa.

Per quel che concerne l’art. 473 c.p., s’interviene sia sulla rubrica, sostituendo le parole «e disegni» con «disegni e merci usurpative», sia sul secondo comma, prevedendo che, dopo le parole «nazionali o esteri» siano aggiunto il riferimento a chi fabbrica o adopera industrialmente beni e oggetti realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso. Analogamente, con riguardo all’art. 474 c.p., l’intervento adattativo si concretizza sia nella modificazione della rubrica (inserimento dopo le parole «con segni falsi» delle parole «o di merci usurpative»), sia nell’inserimento, al secondo comma, del riferimento a beni e oggetti realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso. Vedi sopra pag.19.

CAPO IV
Disposizioni di coordinamento

Il Capo IV del Titolo I della proposta di articolato ha ad oggetto disposizioni di coordinamento dettate da esigenze preventive e di coerenza sistematica, aventi ad oggetto una disposizione del Libro I (l’art. 32 quater c.p.) e due disposizioni del Libro II, del codice penale.

Art. 32 quater (Casi nei quali alla condanna consegue l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione). Si estende la previsione della pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32 quater c.p.) ai casi di condanna per i reati di cui agli artt. 439, 439 bis, 440 e 445 bis.

Art.517 ter (Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale).
L’inserimento nel Titolo VIII di un nuovo Capo II bis, avente ad oggetto i delitti di frode in commercio di alimenti, rende necessaria, per ragioni di coerenza sistematica, l’abrogazione (e la contestuale ricollocazione nella giusta sedes materiae) di disposizioni o di segmenti normativi che, altrimenti, in considerazione della diversità di materia regolata, assumerebbero la natura di “corpi estranei”. È il caso dell’art.517 ter c.p. nella parte in cui fa riferimento alla vendita di opere dell’ingegno o di prodotti industriali. Attraverso i dovuti adattamenti, quest’ultimo viene ricollocato all’interno degli artt. 473 e 474 c.p., nell’ambito della tutela predisposta avverso le falsità in strumenti o segni di autenticazione, certificazione o riconoscimento (v. supra).

Art. 517 quinquies (Circostanza attenuante)
Ritenuto opportuno “far transitare” la previsione della fattispecie attenuante attualmente prevista all’art. 517 quinquies c.p. (Circostanza attenuante) in seno alla disposizione di nuovo conio in materia di agropirateria (art. 517 quater.1 c.p.) – l’unica per la quale, come si è visto, si ravvisa un’autentica esigenza collaborativa – si dispone, conseguentemente, l’abrogazione dell’art. 517 quinquies c.p.
L’abrogazione e ridistribuzione dell’art. 517 ter c.p. tra le disposizioni a tutela della pubblica fede di cui agli artt. 473 e 474 c.p., non richiede, peraltro, il “trascinamento” della fattispecie attenuante di cui all’art. 517 quinquies c.p., essendo già prevista (e risultando, pertanto, applicabile), l’analoga circostanza attenuante di cui all’art. 474 quater c.p.

TITOLO II
Modifiche al codice di procedura penale

Rispetto allo schema predisposto dalla Commissione non si è ritenuto di incidere sull’art. 246 c.p.p., osservandosi che la norma non contempla alcuna disciplina del prelievo e campionamento di cose. La sede della materia è l’art. 223 disp. att. c.p.p., la cui modifica non appare necessaria nei termini prospettati; si è ritenuto di lasciare la proposta di modifica di cui all’art. 354 c.p.p. che in sede di accertamento urgente sullo stato dei luoghi e delle cose consentirebbe esplicitamente ciò che già di fatto è pacificamente ammesso in giurisprudenza.
Analogamente, non si è inteso incidere sull’art. 266 c.p.p., che in ogni caso. con riguardo ai fatti più gravi oggetto della riforma, consente comunque l’accesso al penetrante strumento investigativo in ragione dei limiti edittali di pena.

Art. 392
(Casi di incidente probatorio)
Traendo spunto dalla prassi operativa in subiecta materia, spesso caratterizzata da onerosi sequestri di alimenti oggetto di accertamento giudiziale, – anche fini acceleratori si è prevista una nuova ipotesi di anticipazione della prova peritale, destinata a svolgersi nel rispetto delle garanzie del contraddittorio, già in fase di indagine, in tutti i casi di giudiziale sequestro (probatorio o preventivo) di alimenti, ancorché non deperibili, disposto in fase di indagini preliminari.
Nella originaria proposta era prevista, senza il consenso dell’indagato la destinazione delle merci sequestrate evidentemente di natura non deperibile a enti benefici previa regolarizzazione a cura e spese dello stesso indagato. Sembra più opportuno anche sul piano della costituzionalità della norma prevedere tale destinazione all’esito del giudizio, previa confisca dei medesimi beni. In questo senso si è proceduto a modificare l’art. 86 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che consentirebbe la destinazione a scopo benefico all’esito del giudizio di prodotti anche diversi da quelli alimentari (si pensi ai prodotti di abbigliamento contraffatti, previa regolarizzazione e espunzione dei marchi).
Al fine di assicurare il rispetto del vincolo di destinazione sociale impresso alla merce dissequestrata, si prevede la sanzionabilità, ai sensi dell’art. 316 bis c.p. della destinazione dell’alimento per finalità diverse da quelle assistenziali.

Art. 132 bis
(Formazione dei ruoli in udienza e trattazione del processo).
In considerazione del livello di disvalore e di allarme sociale sotteso a talune forme di aggressione alla salute collettiva e della conseguente esigenza di tempestività di accertamento, si interviene sul primo comma, lett. b) della disposizione in esame, estendendo la priorità assoluta nella formazione dei ruoli in udienza e nella trattazione ai processi relativi ai delitti contro l’incolumità e la salute pubblica e di agropirateria.

TITOLO III
Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231
Qualunque prospettiva di riforma della disciplina penale degli illeciti alimentari non può prescindere dalla valorizzazione politico-criminale della funzionalità preventiva della disciplina della responsabilità amministrativa degli enti collettivi: questo è, per l’appunto, l’oggetto del Titolo III del progetto di riforma.

Art. 6 bis. (Modello di organizzazione dell’ente qualificato come impresa alimentare)
La necessità di inquadrare anche gli organismi pluripersonali quali centri di imputazione diretta di sanzioni è l’occasione per inserire una nuova disposizione – art. 6 bis – speciale rispetto all’art. 6 del decreto legislativo n. 231 del 2001. Con tale articolo si intende rivolgere una nuova attenzione a quelle situazioni di deficit organizzativo suscettibili di evolversi in comportamenti illeciti, sicché all’ente possa risultare garantita l’impunità una volta che sia accertata l’assenza di colpa riconducibile all’aver adottato o aggiornato un modello organizzativo ritagliato sulle specifiche caratteristiche dell’impresa alimentare costituita in forma societaria [ai sensi dell’art. 3 del Regolamento (CE) n.178/2002], da un lato, e dimensionato anche sulle ridotte dimensioni dell’organismo produttivo, dall’altro.
Sotto il primo profilo, si provvede a riempire di contenuto e a concretizzare la figura generale e astratta di compliance program sul quale si impernia il criterio “soggettivo” di imputazione della responsabilità amministrativa: si stabilisce, infatti, che, nell’ipotesi di cui all’art.6 del decreto 231 del 2001, il modello di gestione e di organizzazione – idoneo ad assumere valenza esimente o attenuante della responsabilità amministrativa delle predette imprese alimentari – debba essere adottato e attuato nell’ambito di un sistema aziendale in grado di assicurare l’adempimento di obblighi giuridici nazionali e sovra-nazionali inerenti ad una serie di attività analiticamente indicate nella disposizione in esame: ad assumere rilievo sono gli obblighi relativi, ad es., alle attività di verifica sui contenuti pubblicitari, di vigilanza sulla rintracciabilità, di controllo di qualità, sicurezza e integrità degli alimenti, di procedure di ritiro, di valutazione del rischio, ecc.
Si prevede, inoltre, che il predetto modello di organizzazione e di gestione speciale debba necessariamente prevedere ulteriori adempimenti, da calibrare in rapporto ai profili dimensionali e tipologici dell’impresa alimentare e consistenti, in primo luogo, nella predisposizione di idonei sistemi di registrazione delle attività prescritte, di un’articolazione interna di funzioni idonea al processo di valutazione e gestione del rischio e di un congruo apparato disciplinare in chiave preventiva e punitiva. Funzionale a porre i presupposti per l’efficiente realizzazione del modello è, in secondo luogo, la creazione di una posizione di garanzia “collettiva”, tramite un idoneo sistema di vigilanza e di controllo interno all’ente, in grado di operare i necessari controlli e formalizzare le proposte dirette alla gestione delle attività.

Al fine di agevolare e semplificare gli adempimenti di prevenzione, si prevede, inoltre, che, nelle piccole e medie imprese (come individuate ai sensi dell’art. 5 della legge 11 novembre 2011, n. 180), il compito di vigilanza sul funzionamento dei modelli in materia di reati alimentari possa essere affidato anche ad un solo soggetto (anche esterno), esperto anche nel settore alimentare e titolare di autonomi poteri di iniziativa e controllo. Si stabilisce che tale soggetto sia individuato nell’ambito di apposito elenco nazionale istituito presso le Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura, con provvedimento del Ministero della Sviluppo Economico.
Nell’ottica della razionalizzazione e semplificazione dell’adempimento del dovere di prevenzione degli illeciti alimentari, si prevede che il titolare di imprese alimentari aventi meno di dieci dipendenti addetti e un volume d’affari annuo inferiore a due milioni di euro possa svolgere direttamente i compiti di prevenzione e tutela della sicurezza degli alimenti o mangimi e della lealtà commerciale, a condizione che abbia frequentato corsi di formazione adeguati alla natura dei rischi correlati alla propria attività produttiva. In tal caso, viene meno l’obbligo di designare l’operatore del settore degli alimenti o dei mangimi, il responsabile della produzione e il responsabile della qualità.

Art. 25 bis.1 (Delitti contro l’industria e il commercio)
Art. 25 bis.2 (Delitti di frode contro il commercio di prodotti alimentari)
Art. 25 bis.3 (Delitti contro la salute pubblica)
Le disposizioni in esame incidono in varia guisa sulla c.d. “parte speciale” del decreto legislativo 231 del 2001: ora in chiave di adeguamento – contenutistico e sanzionatorio – alle innovazioni apportate dalla proposta di schema di disegno di legge alla disciplina delle frodi in commercio di alimenti, ora attraverso l’inclusione nel catalogo dei c.d. reati presupposto degli illeciti contro la salute pubblica.

Dal primo punto di vista, viene introdotta nel decreto n. 231 del 2001 una nuova disposizione – l’art.25 bis. 2 – avente ad oggetto i reati presupposto inerenti alle frodi in commercio di alimenti (art. 515 e ss. c.p.), variamente modulati sotto il profilo del quantum di sanzione pecuniaria (in dipendenza del livello di gravità della violazione) e con la previsione delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9 comma 2 del decreto in esame, con riferimento al più grave reato-presupposto di cui all’art. 517 quater.1.

Dal secondo punto di vista, viene introdotta nel decreto n. 231 del 2001 un’ulteriore disposizione – l’art.25 bis.3 – avente ad oggetto i reati-presupposto inerenti ai delitti contro la salute collettiva (art. 439 e ss. c.p.), variamente modulati sotto il profilo del quantum di sanzione pecuniaria (in dipendenza del livello di gravità della violazione) e la costante previsione della sanzione interdittiva dall’esercizio dell’attività (la cui durata viene rapportata al disvalore del singolo reato-presupposto).
In entrambi i casi, si prevede che se l’ente, o una sua unità organizzativa, vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati in esame si applichi la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma terzo, del decreto legislativo n. 231 del 2001.
In funzione di coordinamento, si incide, infine, sull’art. 25 bis.1 del decreto legislativo in esame, eliminando il riferimento ai reati-presupposto in materia di frodi alimentari, ormai considerati all’interno del nuovo art. 25 bis.2.

TITOLO IV
Modifiche di disposizioni previste da leggi complementari

Capo I
Modifiche alla legge 30 aprile 1962, n. 283
Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande.
Il Capo I del Titolo IV dell’articolato concerne le modifiche e le integrazioni da apportare alla legge 283 del 1962, testo normativo di rilevanza fondamentale nell’ambito della disciplina degli illeciti alimentare.

Art. 1 bis
(Delega di funzioni)
Sul fronte della responsabilità penale delle persone fisiche, l’analisi della giurisprudenza mette in luce controproducenti disorientamenti nell’individuazione di tali soggetti. Nel settore in esame, in assenza di criteri legislativi codificati, la giurisprudenza palesa, in effetti, orientamenti talora contrastanti e inclini a identificare la responsabilità ai livelli più bassi dell’organigramma aziendale: emblematico è il caso di reati non già occasionali o meramente operativi, ma strutturali e, perciò, addebitabili a scelte di carattere generale delle imprese.
Altre esperienze giudiziarie hanno, invece, messo in luce la necessità di utilizzare metodologie di indagine più penetranti ed affinate rispetto a quelle finora messe a punto: metodologie capaci di non limitare la propria attenzione alla responsabilità di questo o quell’operatore, sopra tutto se individuato ai livelli più bassi dell’organigramma aziendale, ma che, ove del caso, siano in grado di individuare la responsabilità in capo ai consigli di amministrazione che sono la sede dove si esercitano gli effettivi poteri decisionali e di spesa, si stabilisce la politica produttiva e commerciale dell’impresa, si effettuano le scelte strategiche di fondo rispetto alle quali nessuna capacità d’intervento possa realisticamente attribuirsi a soggetti dotati di diversa mansione.
Al fine di razionalizzare il riparto di responsabilità e di agevolare l’individuazione dei soggetti destinatari di obblighi in materia di alimenti, viene introdotta una disposizione avente ad oggetto la disciplina della delega di funzioni nel settore alimentare, volta a soddisfare esigenze di certezza e di uniformità in sede applicativa e a presidiare la garanzia della personalità della responsabilità penale.

Art. 5
(Importazione, esportazione, preparazione, produzione, distribuzione o vendita di alimenti inadatti al consumo umano)
L’introduzione del già citato delitto contenuto nell’art. 5 della legge in esame risponde all’esigenza politico-criminale di una tutela rafforzata rispetto a situazioni oggi prive di adeguato controllo penale e di regola soggette a pesanti influenze di gruppi organizzati che operano in contesti illeciti dall’origine. Tale previsione riguarda, infatti, il commercio all’ingrosso ed è essenzialmente dolosa, salva la configurazione dell’ipotesi colposa contravvenzionale.
In altre parole, l’ipotesi di commercio all’ingrosso integra un illecito a forte connotazione criminologica che trova la propria ragione d’inserimento nel corpo della legge n. 283 del 1962 proprio in queste nuove emergenze che si affacciano sulla scena del crimine alimentare «organizzato» e tutte collocabili a monte della catena alimentare di distribuzione.

La costruzione del delitto risponde, peraltro, al principio di offensività, essendo strutturalmente diversa la realizzazione di condotte di rischio alimentare per la salute, se commesse nelle forme del commercio al dettaglio o della somministrazione oppure per le finalità della grande distribuzione o del commercio all’ingrosso e, dunque, la previsione opera anche in contesto di imprese lecite che realizzino cicli produttivi-commerciali all’ingrosso relativi ad alimenti a rischio della salute.
Per la distinzione tra commercio al dettaglio e commercio all’ingrosso si è espressamente richiamato – come già si è rilevato – l’art. 4, lett. a), del decreto legislativo n. 114 del 1998.

La condotta tipica è incentrata su una descrizione sintetica delle principali fasi di realizzazione delle violazioni in materia alimentare. Come già chiarito sopra i riferimenti originari nel testo predisposto dalla commissione agli alimenti non sicuri e pregiudizievoli per la salute sono stai espunti, e accorpati nella nozione di alimenti nocivi. Il riferimento agli alimenti trattati in difformità dalla legislazione vigente in materia di sicurezza alimentare consente al contempo di delimitare il campo della risposta penale.
Il delitto è costruito come reato di pericolo astratto (ma il carattere all’ingrosso della produzione-distribuzione ne qualifica l’offensività di un vero delitto, unitamente alla definizione della condotta non solo in termini di inosservanza di regole cautelari), e di rischio, in quanto la nocività degli alimenti dipende di regola da un uso cumulativo degli stessi, riguardando solo ipotesi concrete in cui un singolo utilizzo dell’alimento possa risultare concretamente produttivo di disturbi o malattie, costituendo, in tal caso, l’atto preparatorio del più grave delitto contro la salute pubblica del reato di cui all’art. 440 c.p.

Data l’ipotesi già richiamata di informazioni commerciali false o incomplete di cui all’art. 444 c.p., vale la regola che un alimento nocivo, se non ancora vietato, ma conosciuto dal produttore o da chi lo commercializza (e conosciuto non è se la sua potenziale rischiosità dipende solo dal principio di precauzione rispetto a cui deve intervenire una disciplina legale) o deve essere eliminato dalla produzione, ovvero può essere utilizzato purché resa noto e non celato. Questa regola deve essere, peraltro, coordinata con il sistema delle informazioni commerciali richieste nei diversi settori, compresi quelli dove l’etichettatura non è prescritta.
L’impiego, viceversa, di alimenti sicuramente nocivi per la salute e conosciuti, ma non ancora vietati – e, tuttavia, occultati – costituisce reato.
In breve: l’illiceità delle condotte di frode alimentare quali forme anticipate di aggressione alla salute non è circoscritta a mere inosservanze di regole cautelari, spesso solo «ipercautelative» – ma riguarda, altresì, ipotesi in cui la nocività sia sicuramente esistente e, altresì, conosciuta al produttore-commerciante.

Il richiamo a un’autonoma rilevanza di condotte che si riferiscono a alimenti «pregiudizievoli per la salute» è, quindi, del tutto alternativo a quelle non sicure, ma anche alla terza tipologia di condotte vietate, quelle relative a ad alimenti inadatti al consumo, restando circoscritto ai casi nei quali la nocività dell’alimento non è connessa alla violazione di regolamenti o normative vigenti, ma è nota al produttore o a chi la commercializza e si riferisce alle sostanze, ai mangimi o agli ingredienti. Qualora la situazione riguardi, invece, il trattamento degli alimenti in vista della loro conservazione, come per es., nel caso dei fitofarmaci o degli additivi, la rilevanza della mancata informazione dipende dalla disciplina di settore e, comunque, attiene alle condizioni di conservazione o all’ipotesi di alimenti inadatti al consumo umano.

Con un limite di carattere generale, però, che riguarda queste, come tutte le altre ipotesi, costituito dal principio di precauzione, quale situazione normativa di rilevanza amministrativa in linea generale. A tal fine, si prevede l’introduzione di un’apposita disposizione avente ad oggetto la prevenzione e repressione in forma amministrativa delle inosservanze della disciplina riguardante alimenti vietati in base al principio di precauzione; disposizione comprensiva della definizione di «violazioni in materia di sicurezza alimentare che contrastano con il principio di precauzione».

L’opzione a favore della rilevanza amministrativa di determinate condotte non significa, peraltro, un indebolimento della tutela. Nel settore alimentare, come in altri ambiti, tale opzione può contare su un apparato di polizia giudiziaria e di sicurezza di notevole capacità di intervento, sì che la sanzione pecuniaria amministrativa, unita a quella contemporanea per l’ente, risulti efficace e deterrente.
D’altra parte, si costruisce una chiara scansione di crescente offensività tra il presente art. 5 e il nuovo art. 440 c.p., senza possibilità di confusioni (v. infra). Le condotte che risultano oggi vietate per mancata dimostrazione della «non nocività» di singoli additivi-componenti da parte dell’impresa produttrice, sono tutte punite come illeciti amministrativi, essendo vietate in funzione del principio di precauzione. Analoghe considerazioni valgono per il superamento di limiti-soglia, quando tali limiti non risultino consolidati in base ad acquisizioni scientifiche acclarate.
Si registra qui la previsione di un diritto penale del rischio, ma con chiara selezione penalistica in termini di colpevolezza e di offensività: infatti, mentre l’art. 5 contempla sia condotte concretamente orientate al pericolo dell’art. 440 c.p. riformulato (v. supra), ma in una fase più preparatoria, sia condotte che non possono arrivare a integrare il delitto dell’art. 440 c.p., in quanto solo la cumulatività di diverse e successive vendite e consumazioni potrebbe produrre un pericolo di tal genere, esse sono, comunque, punite come delitto se commesse con dolo in forma di commercio all’ingrosso o in forma contravvenzionale se commesse per colpa. Nell’art. 5 c’è dunque sia il rischio e sia un pericolo più anticipato nell’iter criminis.
Però, si tratta, di regola, di una fattispecie di rischio, riguardante offese cumulative di pericolo astratto-presunto, compatibile col principio di offensività in ragione o del carattere all’ingrosso della condotta, oppure della destinazione principale, comunque, a soggetti che operano in imprese che sono, in modo programmato, invitate alla regolarizzazione del processo produttivo, con prescrizioni e messa in mora rappresentate dalla nuova oblazione speciale estesa alla materia, salva l’operatività della tenuità del fatto.

La stessa lievità del fatto – non identica alla tenuità dell’art. 131 bis c.p., che può operare autonomamente, se ricorre come ipotesi di non punibilità – considerata la severità della sanzione delle ipotesi di cui all’art. 5, commi 1 e 2, per il commercio all’ingrosso (reclusione da uno a quattro anni), dà luogo a un’attenuante di rilievo, di carattere riparatorio, proprio rispetto al delitto doloso, con applicazione della disciplina della prescrizione e messa in mora altrimenti prevista per le ipotesi contravvenzionali: essa opera qui quale fonte di degradazione sanzionatoria, non di estinzione del reato.
Se si verifica addirittura un disastro sanitario, si applica anche in tal caso il delitto aggravato proposto nella nuova versione dell’art. 445 bis c.p.

Si tratta di una norma di grande valenza preventiva, dato che anche morti a distanza di anni per effetto di accertamenti epidemiologici possono rientrare in questa fattispecie: si pensi ai tumori, o ad altri effetti patologici, da alimenti nocivi e celati fraudolentemente nella loro pericolosità a effetti cumulativi. Si sottolinea, peraltro, la necessaria prova della causalità rispetto a patologie gravi afferenti a un numero tassativo di possibili vittime reali, anche se non necessariamente identificate (pericolo comune), oltre che di analoghi pericoli per altri soggetti.

In caso di commercio al dettaglio doloso si prevede solo una contravvenzione (dolosa quindi), sottoposta alla pena dell’arresto fino ad un anno o dell’ammenda fa 3.000 a 30.000 euro.
In caso di colpa e commercio all’ingrosso è annessa una contravvenzione (punita con l’arresto da sei mesi a due anni); mentre rispetto al commercio al dettaglio si prefigura un illecito amministrativo (punito con sanzione pecuniaria da 2.000 a 20.000 euro).
La distinzione tra illecito amministrativo e delitto in base all’elemento soggettivo è già presente nel sistema – artt. 171 e ss. della legge 22 aprile 1941 n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) – e trova qui una scansione ordinaria, quasi la previsione di un modello, anche attraverso criteri di offensività (precauzione, commercio all’ingrosso o al dettaglio), oltre che di colpevolezza (dolo o colpa).
Si prevede, infine che, nel caso di condanna per i reati previsti dai comma 1 e 2 della disposizione in esame, trovi applicazione la pena accessoria della pubblicazione della sentenza nelle forme dell’art. 36 c.p.

Il nuovo articolo 5 della legge 283/1962 punisce anche le condotte già contemplate dalla lett.h) che abbia cioè ad oggetto la produzione e commercializzazione di alimenti trattati in dispregio di leggi e regolamenti anche comunitari che disciplinano la sicurezza alimentare, ivi compresi quelli sui residui da fitofarmaci, che proprio perché non utilizzabili nella preparazione degli alimenti continuano ad essere puniti sul piano contravvenzionale, con riguardo alla loro produzione e commercializzazione in quantitativi minori e come delitto ove siano destinati a ampi settori di mercato, secondo la generale suddivisione del citato art.5.
Si è invece modificato, all’art.38, il testo dell’art.6 onde garantire continuità nella regolamentazione della vendita e produzione delle sostanze usate in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l’uomo – fitofarmaci e presidi delle derrate alimentari immagazzinate e della corrispettiva contravvenzione.

Art. 5 bis
(Alimenti inadatti al consumo umano)
Chiude l’articolo definitorio l’esclusione dalla rilevanza penale – salve previsioni legislative specifiche ad hoc (come nel caso degli organismi geneticamente modificati) – di mere inosservanze del principio di precauzione, per le quali vengono previste specifiche violazioni di tipo amministrativo.

Art. 5 ter
(Violazioni in materia di utilizzo alimentare di alimenti che risultano in contrasto col principio di precauzione).
L’incertezza scientifica è oggi un dato normale di esperienza in campo epistemologico. Essa non coincide con il principio di precauzione. Molti accertamenti diventano più sicuri o più incerti con lo stato di avanzamento delle conoscenze. Può quindi accadere che il divieto di impiego di un alimento, o il mancato inserimento di un alimento in un elenco, debba essere aggiornato.
Il fatto che la nocività di un ingrediente o additivo sia presunta dalla legge sulla base di conoscenze scientifiche non unanimi (sul quantum e il quomodo ancor più che sull’an della nocività) va accolto come un dato possibile e non patologico. Ma quella presunzione legale insita in una previsione di illiceità o nocività non significa che sia stato applicato il principio di precauzione, che richiede rigorose statuizioni temporanee formalizzate in decisioni ad hoc, né significa che si debba per questo ritenere di rilevanza meramente amministrativa l’inosservanza, ovvero che sia ammessa di regola la prova processuale contraria di non nocività.
Alla luce di tali premesse si sono introdotti due nuovi illeciti amministrativi – sanzionati con pene pecuniarie diversamente calibrate a seconda dei commi richiamati – laddove i fatti previsti dall’art. 5 della legge n. 283 del 1962 concernano previsioni legislative o regolamentari in materia di sicurezza alimentare attuative del principio di precauzione.
Il comma 2 dell’art. 5 bis intende escludere dall’ambito di applicazione del precedente art.5 che contempla un delitto quegli alimenti che non possono essere considerati inadatti al consumo umano come definito dal regolamento CE 178/2002 e che siano stati tuttavia individuati come potenzialmente pericolosi per la salute, senza adeguate certezze scientifiche. La norma fa infatti riferimento all’art.7 del citato regolamento, che si riporta: “1. Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.2. Le misure adottate sulla base del paragrafo 1 sono proporzionate e prevedono le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità, tenendo conto della realizzabilità tecnica ed economica e di altri aspetti, se pertinenti. Tali misure sono riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a seconda della natura del rischio per la vita o per la salute individuato e del tipo di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza scientifica e per realizzare una valutazione del rischio più esauriente”. La norma comunitaria cioè prevede in questi casi l’adozione di misure preventive adeguate nel corso dei necessari accertamenti scientifici in funzione di limitazione del rischio.
Conseguentemente all’art.5 ter si prevedono sanzioni amministrative delle medesime condotte di cui all’art.5 che abbiano ad oggetto alimenti non definibili come nocivi o inadatti al consumo umano e che però comportino violazione di quelle misure preventive disposte per legge o regolamento in attuazione del citato principio di precauzione.

Art. 5 quater
(Alimenti non genuini).
Le ipotesi di frode (non genuinità) o violazioni in materia di mera igiene, non riguardando le fattispecie sulla salute umana, sono disciplinate a parte rispetto alle vigenti previsioni dell’art. 5 della legge 283 del 1962, pur mantenendo la scansione tra illeciti più gravi e meno gravi, a seconda che si tratti di fatti commessi per le finalità della vendita all’ingrosso o al dettaglio.
Con l’introduzione delle nuove previsioni di cui sopra, l’attuale disciplina della «vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine», che nel sistema originario del codice era considerata come una particolare ipotesi di frode in commercio (art. 516 c.p.), viene a perdere il suo significato di «frode». Ciò comporta lo spostamento di una tale ipotesi nella legge n. 283 del 1962, come norma sussidiaria (in tal senso depone la clausola di riserva iniziale: “salvo che il fatto costituisca reato”), di rilevanza-extra penale, in cui l’oggetto di tutela è, in via specifica, l’interesse alla genuinità degli alimenti e non, invece, l’interesse al leale esercizio del commercio che contraddistingue la norma attuale.
Quanto al concetto di «genuinità» – non chiarito nell’attuale formulazione dell’art. 516 c.p. – si intende specificare il significato in modo sostanzialmente conforme alla interpretazione della giurisprudenza di legittimità: la genuinità è, quindi, indicata sia secondo il concetto «naturale», ma anche in base a quello giuridico-formale fissato dal legislatore con l’indicazione delle caratteristiche e dei requisiti essenziali per qualificare un determinato tipo di alimento. Sul piano sanzionatorio si distingue a seconda che il fatto sia commesso per le finalità della distribuzione a ampi settori di mercato o del commercio all’ingrosso (come tale punito con la sanzione amministrativa da 15.000 a 75.000 euro) oppure nelle forme del commercio al dettaglio (come tale punito con la sanzione amministrativa da 1.500 a 15.000 euro).

Art. 12 ter
(Estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza alimentare. Ambito di applicazione)
Art. 12 ter.1
(Prescrizioni)
Art. 12 ter.2
(Verifica dell’adempimento)
Art. 12 ter.3
(Notizia di reato non pervenuta dall’organo accertatore)
Art. 12 ter.4
(Sospensione del procedimento giudiziale)
Art. 12 ter.5
(Estinzione del reato)

Art. 12 ter.6
(Definizione delle contravvenzioni punite con la sola pena dell’arresto).
Prestando attenzione alle caratteristiche e al funzionamento di un’ipotesi di speciale causa di non punibilità per le contravvenzioni in materia sulla falsariga degli artt. 29-25 del Capo II del decreto legislativo n. 758 del 1994, si prevede un procedimento a struttura complessa, in cui l’estinzione del reato risulti subordinata all’adempimento da parte del reo di due condizioni:

– da un lato, il rispetto puntuale delle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza (nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’art. 55 c.p.p.) o dalla polizia giudiziaria procedente, al fine di consentirgli di eliminare la contravvenzione accertata e di ripristinare una situazione in tutto e per tutto conforme alle pretese normative;

– dall’altro lato, il pagamento in via amministrativa di una somma da definire.

Ovviamente, nel caso in cui il contravventore non assolva in modo soddisfacente e tempestivo anche solo uno di tali obblighi, il processo penale farà regolarmente il suo corso, salvo che non ricorra un’ipotesi particolare di adempimento tardivo ma congruo, nel qual caso il contravventore potrà chiedere di essere ammesso all’oblazione discrezionale di cui all’art. 162 bis c.p., beneficiando della riduzione dell’importo da pagare.

Risulta di particolare interesse – e viene qui riproposta, con i dovuti adattamenti, nel settore della sicurezza alimentare – la clausola prevista nella legge 22 maggio 2015, n. 68 (Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente) che introduce l’art. 318 bis del decreto legislativo n. 152 del 2006: essa circoscrive l’ambito di applicazione delle disposizioni e del meccanismo estintivo alle ipotesi contravvenzionali che non abbiano “cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno” (al bene o ai beni così come individuati).
Orbene, il meccanismo in questione resta sicuramente applicabile ai fatti commessi dal commerciante al dettaglio, puniti con l’arresto o l’ammenda. Ciò non di meno, va detto che la previsione nel caso di importazione, esportazione, preparazione, produzione, distribuzione o vendita di alimenti nocivi o inadatti al consumo umano, realizzate colposamente dal commerciante all’ingrosso, della sola pena dell’arresto non rappresenta una scelta diretta ad escludere l’applicabilità del meccanismo di estinzione. Anzi, si prevede un meccanismo di sostituzione della pena dell’arresto con quella dell’ammenda – in ragione di quanto previsto all’art. 302 del decreto legislativo n. 81 del 2008 – proprio al fine di rendere praticabile l’operatività del meccanismo estintivo in parola.

Capo II
Modifiche ad altre leggi complementari

Il Capo II del Titolo IV del disegno di riforma concerne le modifiche che, per esigenze di coordinamento e di coerenza sistematica, si reputa necessario apportare alla disciplina sostanziale e processuale prevista nell’ambito della legislazione complementare, in funzione di contrasto degli illeciti in materia alimentare.

Legge 24 novembre 1981, n. 689. Modifiche al sistema penale.

Art. 9 (Principio di specialità).
Anche alla luce dei recenti sviluppi della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (v., in particolare, la sentenza del 4.3.2014 – ricorso n. 18640/10 – Grande Stevens e altri c. Italia), la Commissione ritiene opportuno incidere sulla disciplina prevista dall’art. 9, comma 3, della legge 689 del 1981.

In deroga alla regola (prevista al comma 1 del predetto articolo) secondo cui in caso di convergenza sullo stesso fatto di una disposizione penale e di una disposizione amministrativa debba trovare applicazione la sola disposizione speciale, il comma 3 dell’art. 9 della legge citata prevede che (anche) ai fatti puniti dagli 5, 6 e 12 della legge 283 del 1962 si applichino soltanto le disposizioni penali, anche quando i fatti stessi siano puniti con sanzioni amministrative previste da disposizioni speciali in materia di produzione, commercio e igiene degli alimenti e delle bevande.

Alla luce del nuovo assetto disciplinare oggetto dello schema di disegno di legge in esame e del significativo grado di effettività palesato – nella prassi – dalle sanzioni amministrative previste in materia di frodi alimentari, la Commissione ha ritenuto che la deroga al criterio di specialità si giustifichi e si renda necessaria esclusivamente con riferimento alle tipologie delittuose di frode in commercio qualificate dal più elevato grado di offensività.

In questa direzione, il comma 3 dell’art. 9 della legge 689 del 1981 viene riformulato nel senso che ai fatti puniti dagli artt. 517 quater.1 e 517 quater c.p., nonché dall’art. 517 se aggravato dall’art. 517 bis c.p., si applichino soltanto le disposizioni penali, anche quando i fatti stessi sono puniti con sanzioni amministrative previste da disposizioni speciali in materia di alimenti ed igiene degli alimenti e delle bevande.

Legge 7 agosto 1992, n. 356. Conversione in legge con modificazioni, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa.

Art. 12 sexies
(Ipotesi particolari di confisca)
Tenuto conto dell’esigenza di rafforzare gli strumenti patrimoniali di contrasto delle forme più gravi ed allarmanti di frodi alimentari, la Commissione ritiene opportuno prevedere l’estensione dell’applicazione della c.d. confisca per sproporzione anche ai casi di condanna (o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’art. 444 c.p.p.) per il delitto di associazione criminosa finalizzata al compimento di reati di cui agli artt. 516, 517 e 517 quater c.p. Non si prevede, invece, l’inserimento del nuovo reato di agropirateria – quale fattispecie autonoma, presupposto della misura reale – poiché l’inedito art. 517 quater.1 c.p. prevede già l’ipotesi di confisca dei beni di cui il condannato non possa giustificare la provenienza anche per interposta persona.

Legge 16 marzo 2006, n. 146. Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001.

Art. 9
(Operazioni sotto copertura)
Al fine di beneficiare, anche nel settore del contrasto delle frodi alimentari, dei notevoli vantaggi correlati allo svolgimento di operazioni sotto-copertura (specialmente con riferimento alla possibilità di procedere ad acquisti simulati di prodotti contraffatti venduti on line), si ritiene opportuno prevedere l’estensione del campo di applicazione di tali strumenti investigativi anche ai delitti di cui agli artt. 517, 517 quater e 517 quater.1 c.p.

Il mancato inserimento della frode in commercio in questo elenco si giustifica in ragione del principio di proporzionalità e della natura sussidiaria del reato di cui all’art. 516 c.p., destinato (come già detto) a “cedere” il passo ai più gravi reati oggetto di riformulazione.

Decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 190. Disciplina sanzionatoria per le violazioni del regolamento (CE) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel settore della sicurezza alimentare.

Art. 2
[Violazione degli obblighi derivanti dall’articolo 18 del regolamento (CE) n. 178 del 2002 in materia di tracciabilità]
La violazione del sistema di tracciabilità obbligatoria degli alimenti di cui all’art. 18 del Regolamento (CE) n. 178 del 2002 è, ad oggi, sanzionato ai sensi dell’art. 2 decreto legislativo n.190 del 2006 con la mera sanzione amministrativa pecuniaria da 750 a 4.500 euro, la cui competenza, peraltro, è rimessa ai Comuni, con notevole incertezza applicativa e, sostanziale, ineffettività delle procedure sanzionatorie.
Poiché trattasi di una “violazione-spia”, spesso sintomatica di frodi più gravi operate sull’origine degli alimenti mediante falsificazione della filiera, si propone di trasformare in reato e, segnatamente, in contravvenzione, la condotta impeditiva realizzata dagli operatori del settore alimentare nei confronti degli organi di controllo chiamati a ricostruire il sistema di tracciabilità obbligatoria.
In tal modo, facendo salva la sussistenza di più gravi reati (quali quelli di nuova introduzione in seno al Capo II bis del Titolo VIII del c.p.), si rafforza la risposta sanzionatoria in senso special-preventivo, coniando un’ipotesi di reato-ostativo in funzione dei compiti di vigilanza e di repressione delle autorità di controllo senza, tuttavia, intervenire penalmente, quindi, su violazioni meramente formali.
Inoltre, con la coeva introduzione del meccanismo estintivo mutuato ai reati alimentari dal decreto legislativo n. 758 del 1994 e dalla legge n. 68 del 2015, (anche) la contravvenzione di nuovo conio è suscettibile di oblazione, a seguito di adempiute prescrizioni verificate dalla polizia giudiziaria operante. Così facendo, si fornisce una risposta alla denunciata tenuità delle sanzioni amministrative attualmente previste in tema di tracciabilità ma, al tempo stesso, nei casi meno gravi si offre la possibilità all’indagato di adeguarsi immediatamente ai precetti normativi, senza incorrere in defatiganti procedimenti.

Legge 24 dicembre 2003, n.350. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004).

Art. 4
(Finanziamento agli investimenti)
La disciplina in esame, pur a fronte di notevoli diversità, sostituisce le previsioni di tutela dell’origine o provenienza di cui all’art. 4 della legge n. 350 del 2003. La modifica di quest’ultima disposizione (che si sostanzia nell’addizione o abrogazione di alcuni segmenti normativi) è funzionale all’esclusione dell’applicabilità della disciplina ivi prevista (ai commi 49 e 49 bis), agli alimenti, in ossequio ad esigenze di coerenza sistematica.

Legge 23 luglio 2009, n. 99. Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia.

Art. 16
(Destinazione di beni sequestrati o confiscati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria per la repressione di reati di cui agli articoli 473, 474, 516, 517, 517 quater e 517 quater.1 del codice penale).
S’incide sull’art. 16 della legge n. 99 del 2009, stabilendo che la disciplina ivi prevista in ordine alla destinazione di beni sequestrati o confiscati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria trovi applicazione anche in riferimento ai delitti di cui agli artt. 516 e 517 quater.1 c.p.

Capo III
Abrogazioni

Il Capo III del Titolo IV della proposta di schema di disegno di legge ha ad oggetto l’abrogazione di disposizioni che si rivelano superflue, superate o in contraddizione in rapporto al disegno di riforma.
Legge 30 aprile 1962, n. 283 Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande

Art. 6.
L’organica revisione della disciplina penale prevista dalla legge n. 283 del 1962, attuata con il presente progetto di riforma, rende necessario espungere la disposizione in esame dal quadro legislativo.
Legge 14 gennaio 2013, n. 9. Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini

Art. 6
(Ipotesi di reato connesse alla fallace indicazione nell’uso del marchio)

Art. 13, comma 1,
(Sanzioni accessorie alla condanna per il delitto di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti alimentari)

Art. 14, commi 1 e 2
(Rafforzamento degli istituti processuali e investigativi)

Art. 15
(Sanzioni accessorie in caso di condanna per il delitto di adulterazione o contraffazione)
Le disposizioni in esame vengono abrogate, tenuto conto dell’avvenuto recepimento degli istituti ivi regolati (in chiave settoriale) all’interno dell’intero comparto alimentare.

Legge 20 novembre 2009, n. 166. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee.

Art. 16
(Made in Italy e prodotti interamente italiani)
La disciplina di cui al presente disegno di legge sostituisce, sia pur con significative differenze, le previsioni di tutela dell’origine o provenienza di prodotti alimentari, di cui all’art. 16 della legge n. 166 del 2009. Per ragioni di coerenza, si provvede, pertanto, all’abrogazione di tale disposizione.

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