Codice Oleario

C’è Test e test

Ormai tutti posso pontificare sull’olio, tranne i veri esperti. La recente indagine condotta dalla rivista “Test”, e ripresa dal quotidiano “la Repubblica”, ha scatenato l’ennesimo colpo basso al comparto, danneggiando la buona immagine di cui godono gli oli da olive. Il settore è ormai diventato facile bersaglio da parte di chi vuole autoeleggersi a paladino dei consumatori. Prevale, nell’approccio con l’analisi sensoriale, una visione meccanicistica, manca una piena conoscenza di una materia complessa

Luigi Caricato

C’è Test e test

Tutto è partito dal giornale “Test”, testata giornalistica un tempo conosciuta come “il Salvagente”. Evidentemente il restyling della rivista, diretta da Riccardo Quintili, ha riguardato anche il nome. Ne prendiamo atto. Ora, se penso al lavoro che hanno svolto (spero con ogni cura) nell’offrire una panoramica degli oli in commercio, ma soprattutto se penso alla grande enfasi che si è avuta all’indomani del rilancio della notizia avvenuta sulle pagine del quotidiano “la Repubblica”, la prima osservazione che mi viene spontanea di esprimere è che ormai siamo messi piuttosto male. Prevale – a mio parere ormai da tempo e in maniera per giunta sistematica – una visione meccanicistica, oltre che superficale e disattenta della complessa materia che regola l’analisi sensoriale degli oli extra vergini di oliva.

L’inchiesta ha fatto emergere un quadro poco edificante, visto che gli oli extra vergini di oliva in commercio in Italia non sono risultati tutti a norma di legge, seppure, a onor del vero, le caratteristiche chimico-fisiche di tutti i campioni esaminati siano comunque risultate conformi a quanto previsto dal legislatore al riguardo. Il problema dunque si pkne al momento dell’assaggio. E’, per intenderci, il solito problema della valutazione sensoriale. Un problema oltretutto non nuovo, poiché viene ripresentato puntualmente in più occasioni nel corso dell’anno. I dubbi sorti a carico degli oli degustati, riguardano nove bottiglie su venti tra quelle considerate. I dubbi però non sono tali, visto che la valutazione viene considerata un certezza, secondo chi ha effettuato tali assaggi, e pertanto valida, ma, paradossalmente, a prescindere dai criteri che pure sono stati fissati in maniera chiara e altrettanto precisa dallo stesso legislatore comunitario.

Insomma, il dubbio che tali inchieste vengano fatte più per per suscitare allarme anziché per fornire un servizio utile ai lettori/frutori/consumatori della notizia è un dubbio certo, anzi certissimo. Non che non possano esserci oli che all’assaggio non siano difettati, per carità, l’olio d aolive è un corpo vivo e tale rischio è possibile, ma ciò che sorprende è una certa spenbsieratezza nell’effettuare tali test. Perché spebsieratezza. Ma, secondo voi, se dopo una pur accurata valutazione degli oli, vi fossero alcuni tra questi da giudicare negativamente, non sarebbe stata forse una scelta più felice e plausibile pensare di affidare una controprova a un altro gruppo di assaggiatori?

Se il panel test viene effettuato in maniera rigorosa, anche i risultati sarebbero da ritenere altrettanto rigorosi – per quanto sia comunque sempre opinabile, a mio parere, il lavoro di un gruppo panel, dal momento che non esiste in Italia un vero e proprio coordinamento tra tutti i panel operativi a vario titolo. C’è da fidarsi della professionalità degli assaggiatori? Sono stati reclutati seguendo ogni possibile attenzione? Sono assaggiatori allenati? Hanno degusato molti oli e, soprattutto, di ogni provenienza? E altrettanti interrogativi si pongono prima di procedere a un’operazione così delicata, che inficia l’operato delle aziende. Vale il discorso del prelievo dei campioni, della loro conservazione prima della valutazione, del luogo e del contesto nel quale tali degustazioni avvengono, e altro ancora.

Nella valutazione condotta da “Test” è stata eseguita la metodologia ufficiale che prevede in casi di giudizio negativo un controesame da parte di due ulteriori panel che siano inbdividuati oltretutto tra quelli riconosciuti ufficialmente come tali?

In materia di oli da olive, purtroppo, anche a causa di una visione strettamente ideologica, sta purtroppo prevalendo un diffuso senso di superficialità – proprio così: superficialità – dovuto all’esigenza di bocciare oli che pur risultando extra vergini sotto il profilo chimico-fisico, si ritengono in ogni caso sospetti, forse anche in ragione dei prezzi popolari con cui si presentano sugli scaffali, e di conseguenza si è pure inclini a valutarli con grande severità. Il rigore è ben comprensibile, giacché un alimento devve avere le migliori caratteristiche sensoriali, ma l’eccesso di rigore non è certo la strada migliore da seguire. Anche perché a voler essere intranisgenti mancherebbero gli extra vergini sul mercato. La concezione che oggi si ha di un olio perfetto è mal riposta, poiché se si tratta di distinguere gli extra ergini tra perfetti (in senso assoluto) e non allora, si entra inevitabilmente in una logica perversa che porterebbe facilmente a bocciare gli oli (che siano dal prezzo popolare o anche di alta gamma) anche perché non si tratta di una materia prima soggetta a una vita precaria e poco stabile, anche in funzione di come questi vengono cnservati nello stesso punto vendita.

Paradossalmente, tutto questa atteggiamento di estremo rigore – al punto da indurre al dubbio se gli extra vergini siano davvero tali – avviene in un contesto storico in cui c’è una disponibilità di una qualità di gran lunga migliore rispetto agli ultimi due decenni.

Arrivare a declassare un extra vergine sulla base di un’unica valutazione, senza che vi siano controprove, è davvero un pessimo servizio che si rende al consumatore: anziché tutelarlo, lo si allontana da un prodotto che ormai una certa pubblicistica dell’ultimo periodo lo sta rendendo continuamente sospetto di possibili frodi e, peggio ancora, di sosfisticazioni. Non so a chi giovi assumere un simile atteggiamento, ma a me sembra solo che si applichi una visione così meccanicistica e, permettetemi di dirlo, anche parziale.

Non è una questione strettamente legata ai nove oli che non hanno superato, nel caso specifico, l’esame organolettico, ma è una questione di metodo, e di approccio, che inficia il valore di tali inziiative pur lodevoli se effettuate con la massima cura. Purtroppo, così facendo, tutto diventa precario. Un giudizio espresso in maniera discutibile, pone dubbi inutili e preoccupazioni, come d’altra parte dimostrano le molte interviste che ho rilasciato, all’indomani della pubblicazione della notizia su “la Repubblica”, per rassicurare i miei coleghi giornalisti non esperti della materia.

Francamente non so a chi giovi portare avanti questo atteggiamento distruttivo, certo è che sono seriamente preoccupato per come si banalizza una problematica seria qual è quella l’analisi sensoriale.

Tutto questo fiorire di assaggiatori, anziché portare bene al settore ne sta inquinando con elementi di soggettività le valutazioni. Prova ne è la scarsa attedibilità dei panel di assaggio, motivo perui pridentemente il legislatore prevede la ripetazioni delle campionature non risultate idonee.

E’ sufficiente d’altra parte provare, inviando i medesimi campioni di olio, di extra vergini ordinari, per appurare come vi sia la concreta possibilità di ottenere giudizi a volte contrastanti. Prova che io ho effettuato, facendo inviare da soggetti terzi i medesimi campioni e ottenendo giudizi totalmente diversi.

L’auspicio, in tutto ciò, è che presto si possa giungere a un metodo di valutazione meno aleatorio rispetto a un panel di assaggiatori, un metodo che sia per davvero ripetibile e riproducibile, così da poter finalmente affiancare le valutazioni delle componente volatili di un olio effettuate in laboratorio con quelle percepite dai nasi umani.

Non dimentichiamo, in tutto ciò, che la componente emotiva gioca brutti scherzi, soprattutto quando si tratta di voler ad ogni modo tutelare, come è giusto che sia, un prodotto nobile qual è l’olio da olive, arrivando così a percepire un difetto anche laddove il difetto oggettivamente non c’è.

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