Codice Oleario

Essere assaggiatori d’olio

Che tipo di strumento è il panel test degli oli da olive? Dopo 25 anni dalla sua istituzione è servito a qualcosa? E la formazione degli assaggiatori e dei capi panel, funziona per davvero, o vi è qualche carenza da evidenziare al riguardo? Di questo e altro ne abbiamo parlato con il presidente della Società italiana per lo studio delle sostanze grasse, il professor Lanfranco Conte. In attesa della due giorni sull’analisi sensoriale di Sanremo

Luigi Caricato

Essere assaggiatori d’olio

Per fine settembre è in programma un momento importante dedicato all’analisi sensoriale degli oli da olive. Anzi, più che un momento si tratta per la precisione di una due giorni di approfondimento, studio e confronto su un tema tra i più interessanti e su cui frequentemente si dibatte, e che ora, in ragione di un importante anniversario diventa ancora più attuale: “1991-2017: il panel test compie 25 anni. Stato dell’arte e possibili interazioni con altri campi di indagine scientifica”. Per chi vuol saperne di più, e partecipare, è sufficiente CLICCARE QUI.

Ecco, dinanzi a un tema di così grande interesse, abbiamo sentito il dovere di sentire il professor Lanfranco Conte, che dell’incontro di Sanremo, in qualità di presidente del Sissg, la Società italiana per lo studio delle sostanze grasse, ne è l’ideatore e organizzatore.

INTERVISTA AL PROFESSOR LANFRANCO CONTE

– Professor Conte, se volessimo in poche battute dire cosa abbiano apportato i 25 anni del Panel test per l’olio da olive, che giudizio possiamo trarre? È stato davvero uno strumento utile?

Credo sia stato uno strumento che nel complesso abbia contribuito a migliorare la qualità degli oli proposti al consumatore; il fatto che sia stato normato sin dal 1991 ha contribuito inoltre a contenere approcci “creativi” alla valutazione sensoriale dell’olio, mantenendola su basi scientifiche.

– In una nostra intervista di alcuni anni fa disse che un laboratorio di analisi può non garantire risultati esatti se l’operatore non è sufficientemente bravo nell’adoperare gli strumenti di cui dispone. Questo per ciò che concerne l’esame chimico-fisico dell’olio. A questo punto le chiedo, e allora, davanti a uno strumento che, pur con tutte le precauzioni del caso, resta incline alla soggettività del giudizio, cosa possiamo dire, che l’analisi sensoriale è un campo minato dove può verificarsi di tutto?

Purtroppo nessun metodo è infallibile, ma soprattutto nessun operatore lo è (anche se a volte ha quanto meno una elevatissima considerazione di sé), questo vale come si è detto per i metodi chimico-fisici ed anche, ovviamente per l’analisi sensoriale. Per tutti i metodi, il problema vero è di attenersi con grande disciplina a quanto è scritto, solo così si può avere la garanzia di operare correttamente.
Nel caso del panel test, credo che più che in altri casi, il problema vero non sia il metodo, ma la sua corretta applicazione.
Un ruolo fondamentale è quello del capo panel che, così come un chimico deve sempre controllare la taratura dei suoi strumenti, deve controllare la taratura del suo panel group.
In questo senso i “proficiency tests” del COI possono aiutare molto, ma un punto critico rimane senz’altro la difficoltà di reperire standard di riferimento affidabili, certificati ed in quantità sufficiente ad essere distribuiti a tutti i panel.

– Si sta parlando nell’ultimo periodo di mettere in campo dei marcatori chimici a supporto dell’analisi sensoriale, in modo che si garantisca una maggiore oggettività di giudizio e soprattutto una riproducibilità della valutazione sensoriale. È una strada praticabile, oppure è solo una buona idea ma destinata a non avere futuro?

Gli studi sulla corrispondenza tra la valutazione sensoriale e la composizione chimica della frazione volatile non sono certo una novità e già Mario Solinas li praticò se non ricordo male già dagli anni ’70.
In letteratura esiste una ampia messe di studi di questo tipo, il problema è che non sono mai stati resi organici, e di conseguenza, pur numerosissimi, sono rimasti isolati. Sicuramente è un approccio che a mio avviso avrà un futuro, proprio come supporto al panel test, è peraltro anche uno degli obbiettivi del progetto OLEUM di Horizon 2020.

– Lei sa già in anticipo quel che si dirà a Sanremo, nella due giorni, visto che ha ricevuto le relazioni in anticipo. Le chiedo solo se vi sono grandi novità o se si fa solo il punto sui 25 anni del panel test…

Come detto prima, le correlazioni tra analisi strumentale ed analisi sensoriale sono studiate da tantissimi anni da tanti ricercatori in differenti Paesi.
Il convegno di Sanremo sarà l’occasione non tanto per fare il punto sul panel test, quanto sullo stato dell’arte della valutazione strumentale correlata a quella sensoriale. Saranno relazioni ben legate alla realtà operativa: verranno descritte le applicazioni del panel a livello di organo di controllo fuori d’Italia, a livello di aziende, si confronteranno infine i differenti approcci sviluppati in differenti sedi.
Infine, verranno dati ragguagli sul succitato progetto OLEUM in relazione allo studio della frazione volatile e a come esso viene affrontato in maniera collaborativa da più gruppi panel e più gruppi di analisi chimica.

– La mia sensazione è che coloro che sono assaggiatori professionisti siano sicuramente bravi e allenati, ma corrisponde al vero la mia sensazione che tale bravura sia – come dire? – monca? Non le pare che ci siano grandi lacune tra gli assaggiatori professionali? Intendo riferirmi a coloro che valutano, non ai teorici dell’analisi sensoriale. ovvero, la mia sensazione è che non affrontino studi più complessi e multidisciplinari. Non lo so, per fare un esempio, non mi pare che gli assaggiatori facenti parte di un gruppo panel sappiano di neuroscienze o di semiotica, psicologia, sociologia. È una carenza grave, o c si può fidare di chi si limita solo a usare i sensi?

Francamente, non essendo io un assaggiatore, non mi sento in grado di rispondere compiutamente a questa domanda, da un punto di vista scientifico, risponderei che si dovrebbero confrontare le performances di assaggiatori con cognizioni di neuroscienze, semiotica ecc. con quelle di assaggiatori che queste competenze non anno.
Da profano, mi sentirei di rispondere che non credo siano competenze necessarie ed indispensabili.

– Infine, ultima domanda: il capo panel. Non le sembra che molto spesso possa condizionare il gruppo di assaggiatori. Non esercita un potere non dico esagerato, ma poco controllato. O è solo una mia sensazione? Può condizionare una seduta di assaggio un capo panel ideologicamente orientato?

Sicuramente il ruolo del capo panel è rilevante, perché è questa figura che addestra i membri del panel e quindi una loro “taratura” può essere, coscientemente o meno, in grado di influenzare il modo di lavorare e quindi anche il giudizio che il panel genera.
In realtà i “proficiency test” del COI controllando l’operato dei panel, di fatto controllano anche come sta operando il capo panel.
La possibilità che un capo panel possa orientare una seduta di assaggio può esistere, però sono i singoli assaggiatori che identificano e quantificano gli stimoli sensoriali, dal computo di queste misure il capo panel trae la valutazione.

– Mi conceda un’altra domanda: in Italia ci sono più capi panel o assaggiatori? C’è stato un momento in cui si svolgevano tanti, troppi corsi per capi panel, molto spesso corsi non riconosciuti. Ecco, ma la formazione degli assaggiatori e dei capi panel funziona o vi è qualche carenza da evidenziare?

In effetti c’è stato un periodo in cui sembrava che ci fossero più generali che truppa, ed è vero che la situazione dell’organizzazione dei corsi è stata piuttosto anarchica, anche se poi, almeno a rigore delle norme, chi ha seguito corsi non riconosciuti dal MIPAAF si è poi trovato con una qualifica che non vale nulla e se l’ha utilizzato per praticare le funzioni di capo panel, o di membro di panel o di organizzatore di ulteriori corsi non riconosciuti si è posto in una posizione illegale di millantato credito.

– Magari sono fortunato e riesco a ottenere il via libera per un’altra domanda: se oggi fosse tra noi Solinas, e se Gutierrez avesse voglia di dedicarsi ancora agli studi teorici lavorando in prima linea, che giudizio darebbero del loro operato a distanza di 25 anni? Rimodulerebbero il loro lavoro originario?

Mah? Domanda interessante!
Può darsi, chissà se condividerebbero le modifiche apportate che di fatto sembrano avere eliminato alcuni aspetti critici?
In realtà loro tracciarono una strada, l’applicazione pratica e soprattutto la trasposizione in norma e legge di quanto da loro sviluppato non credo abbiamo fatto in tempo a viverla.

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