Codice Oleario

L’Igp Marche elimina le macine

Addio molazze in pietra e presse? Nel pomeriggio di lunedi è programmata la pubblica audizione nell’ennesimo tentativo di dare alla regione l’attesa e mai conseguita attestazione di origine per i suoi oli. Peccato per il gravissimo errore alla voce “Metodo di ottenimento”. Si crea uno storico precedente, limitando la libera iniziativa delle imprese frantoiane, con l’imporre la sola estrazione in continuo dell’olio dalle olive

Luigi Caricato

L’Igp Marche elimina le macine

Non me lo sarei mai aspettato, eppure dovrebbe esserci quella giusta dose di professionalità, oltre che di buon senso, da parte di chi, nell’ambito della Regione Marche, avrebbe dovuto stilare una bozza di disciplinare perfetto, senza falle. Invece, leggendo l’articolo 5 del Disciplinare di produzione si resta senza parole. Si impedisce di fatto, ai frantoiani che volessero certificare il proprio olio da olive con il marchio dell’Indicazione geografica protetta “Marche”, di estrarre l’olio da impianti discontinui, ovvero dai tradizionali oleifici dodati di macine in pietra e presse. Si tratta – è evidente – di un grande e gravissimo errore di prospettiva, sia di ordine tecnico, sia di ordine morale: perché non si può impedire a un produttore che lo desideri, di ottenere oli eccellenti anche da un sistema di estrazione ormai in disuso, in ogni caso presente su tutto il territorio nazionale.

Che le macine e presse abbiano fatto la storia è indicutibile, e che siano ora passate numericamente in secondo piano è una verità altrettanto riconosciuta, visto peraltro che la tecnologia estrattiva vanta oggi sistemi sempre più innovativi ed efficienti – in termini di tempi di lavorazione e di qualità della materia prima estratta – ma resta il fatto che non si può imporre, attraverso un disciplinare, un sistema di estrazione, limitando le possibilità espressive di altri metodi che comunque se ben utilizzati assicurano un’alta qualità seppur con costi maggiori.

Il superamento di alcune tecnologie estrattive lo può decidere il mercato e appartiene comunque alla libera scelta degli operatori del settore, non certo all’estensore di un disciplinare che in maniera sommaria e superficiale esclude una parte determinante e decisiva di una lunga e consolidata storia frantoiana. Si tratta pertanto di un intervento a gamba tesa, a testimonianza, nel contempo, di una maniera grossolana nell’affrontare ciò che appartiene alla tradizione.

Cosa cambia se un olio è prodotto con un metodo di estrazione anziché un altro? Non sarebbe la qualità della materia prima estratta a essere al centro dell’attenzione al fine di valutare se un extra vergine merita di essere certificato o meno? Perché allora questa inutile esclusione? Se l’olio estratto con il sistema tradizionale delle macine e presse non risponde ai requisiti di qualità previsti dal disciplinare, allora lo si esclude, ma al momento della valutazione finale, non preventivamente. Pensare di eliminare un metodo solo perché lo si ritiene superato, oltre a essere un atto di pura stoltezza discriminatoria, è anche un gesto di arroganza e grossolanità senza precedenti.

Parte purtroppo male questa pubblica audizione, e si comprende bene anche il motivo di un fallimento ultradecennale delle Marche, nel non essere riusciti a conseguire finora una Dop o Igp regionale, nonostante si tratti di un territorio geograficamente così poco esteso e, di conseguenza, ben più facilitato, rispetto ad altre regioni, nel conseguimento di obiettivi così importanti ma non sicuramente impossibili.

Mi chiedo infine di chi sia l’idea di una decisione tanto assurda quanto grottesca. Dove sono finite le figure professionali di riferimento? E’ possibile che in una regione si affidi l’incarico di una stesura di disciplinare senza che vi sia qualcuno che lo legga e rilegga fino a trovare possibile errori? C’è una latitanza di buon senso che lascia a bocca aperta.

Come si fa a compiere oggi, anno 2015, scelte così grossolane e discriminatorie? E’ tutto così incongruente, così irragionevole. Nel mondo del vino, tanto per fare un esempio emblematico, c’è un fuoriclasse di nome Josko Gravner, che produce tra gli altri il Ribolla anfora: un mito. Il suo lavoro è frutto di scelte meditate, c’è dietro la tecnica ma anche la filosofia: un progetto. Gravner reinterpreta il modo antico di fare il vino, e lo fa egregiamente. Il mosto d’uva lo fa fermentare in anfore di terracotta poste sottoterra, dove rimane per tutto il periodo della macerazione delle bucce per circa sette mesi. Il risultato dei vini? Impareggiabile.

Nelle Marche, invece, c’è qualcuno, nel grande magma del mondo dell’olio, che pensa di essere nel futuro dimenticando tuttavia di guardarsi intorno e capire che la professionalità degli operatori viene prima delle macchine e della tecnologia. Che grave errore, che imperdonabile grossolanità.

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia