La nuova scheda di profilo
Tra stupore e scandalo, il discorso cade sulla percezione del difetto, o meglio sull'attribuzione o meno di un difetto organolettico. Cosa dicono in proposito gli esperti di analisi sensoriale applicata agli oli da olive?
Durante un pranzo in compagnia del capo panel, o “la” capo panel, Maria Luisa Ambrosino del laboratorio chimico-merceologico di Napoli, si stava discutendo della nuova scheda di profilo per l’analisi organolettica degli oli vergini di oliva, emanata recentemente dall’Unione Europea. La quale UE ha rielaborato e “personalizzato” la scheda, trasformando il famoso segmento di 10 centimetri in una casella… forse per disegnarci qualcosa dentro! Sembra però che il problema sia stato a Bruxelles, dove non hanno saputo interpretare a dovere il foglio del COI di Madrid.
Da un tema di passa all’altro, e sulla scia di un corso di primo livello organizzato presso il Dipartimento di Agraria di Portici (Napoli Federico II), il discorso cade sulla percezione del difetto, o meglio l’attribuzione o meno di un difetto organolettico ad un olio.
Sento le parole di Maria Luisa “se il difetto è percepito dal 50% piú uno degli assaggiatori”, e mi viene spontaneo aggiungere “nel caso il difetto sia posto in ‘altro’; invece se il difetto è uno dei ‘principali’ allora è necessario il 66%”. Questa frase suscita stupore, se non scandalo, e mi sento rispondere “ho seri dubbi su dove tu abbia studiato”.
Forse una confusione? Forse non ricordavo bene? Mi sono consultato con i miei colleghi con cui ho partecipato al recente corso “full immersion” a Jaén (Título de expertos de cata de aceites virgenes de oliva, supportato dal COI), e ho trovato conforto. Ciò che “gli spagnoli” ci hanno insegnato è quanto io avevo detto. Ovvero, quando un numero di assaggiatori pari o superiore al 66% ha percepito un determinato difetto, allora quel difetto si considera presente nell’olio analizzato. Solo nel caso dei difetti classificati come “altro”, la percentuale scende al 50%, e non “50% piú uno” per tutti i difetti, come affermato dall’assaggiatrice italiana.
Ora una domanda mi affligge: chi ha ragione?
Lo stesso, ma forse con piú spazio di questo, meriterebbe il discorso dell’analisi dei dati per la costruzione del coefficiente di variazione robusto, ovvero come considerare quei numeri? Numeri discreti, “reali”, cioé quelli forniti dai panelisti, oppure la media fra i due valori limite in modo da rendere quei valori continui? Altri grattacapi e lunghe discussioni avute con i responsabili del corso, molti dei quali conoscono bene il COI e hanno partecipato per anni ai lavori per la messa a punto del metodo dell’analisi organolettica dell’olio.
Dunque, chi ha ragione? Qualche esperto mi illumini.
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