Per una ricostruzione olivicola
E’ a partire dall'agrobiodiversità che è possibile aprire un varco verso la speranza di una rinascita per l'olivicoltura salentina. L'emergenza fitosanitaria scaturita dalla Xylella fastidiosa è paragonabile al flagello della fillossera per la viticoltura europea di fine Ottocento. La gravità dell'emergenza va commisurata al valore culturale, ecologico ed economico che, specialmente in questo territorio, assume l'olivo
Il Salento olivicolo vive in questi giorni trasformazioni di portata storica. Le infinite piantate di ulivi secolari, tema paesaggistico inconfondibile di questo estremo lembo pugliese, stanno cedendo alla violenza di un’emergenza fitosanitaria paragonabile solo al flagello della fillossera per la viticoltura europea di fine Ottocento.
Le attuali conoscenze scientifiche riconoscono in un particolare ceppo del batterio Xylella fastidiosa il principale responsabile del “complesso del disseccamento rapido dell’olivo”, sindrome che si risolve nella moria di massa degli ulivi. Lo scenario più comune mostra gli impianti tradizionali di “Cellina di Nardò” ed “Ogliarola salentina”, motivo dominante dell’oliveto salentino, pesantemente aggrediti da disseccamenti che, da localizzati nelle fasi precoci della malattia, arrivano rapidamente ad interessare l’intera chioma delle piante (Figg. 1-2).
Fig. 1 Olivi colpiti dalla sindrome del disseccamento rapido.
(Foto F. Lazzari)
Fig. 2 Oliveto nei pressi di Gallipoli, completamente distrutto dal complesso del disseccamento rapido dell’olivo.
(Foto F. Lazzari)
Giunto probabilmente dalla Costa Rica, questo microrganismo ha trovato nel Salento le condizioni ideali per sviluppare la sua capacità patogena: diffusa presenza di piante ospiti (tra cui purtroppo anche l’olivo), clima ottimale ed almeno un insetto vettore, la sputacchina (Philaenus spumarius), in grado di trasmetterlo efficacemente da una pianta infetta ad una sana.
Gli effetti di questa infelice combinazione sono stati e sono tuttora devastanti, stante la rapidità di diffusione dell’epidemia, rispetto alla quale appaiono come lentissime anche quelle conquiste della ricerca intervenute in tempi rapidissimi ed insperati, con riferimento soprattutto all’individuazione ed isolamento del nuovo ceppo patogeno.
La gravità dell’emergenza va commisurata al valore culturale, ecologico ed economico che, specialmente in questa terra, assume l’olivo. Per avere un quadro più chiaro basta un dato: il Salento meridionale (c.d. “Salento delle Serre”) vede appena il 10% della superficie territoriale occupata da spazi naturali e seminaturali, mentre quasi la metà (47%) è coltivata ad olivo (Fig. 3, Tabb. 1-2). Olivo, dunque, unico vero polmone vegetale, principale uso del suolo e coltura dominante (63% della superficie agricola, Tab. 2).
Fig. 3 Distribuzione degli oliveti nel Salento meridionale
(Fonte: ns. elaborazioni su dati SIT Regione Puglia – Carta dell’Uso del suolo)
Si può allora comprendere la grave preoccupazione per il rischio di una catastrofe paesaggistica e socioeconomica, anche in virtù del ritmo incredibile con cui la trasformazione sta maturando.
L’emergenza si inserisce in un momento storico delicato per il rilancio dell’olivicoltura salentina, soprattutto in termini di innovazione e competitività sui mercati. Tradizionalmente vocata alla produzione di oli lampanti, la produzione oleicola salentina vanta oggi numeri e risultati di assoluto rilievo sotto il profilo quali-quantitativo, assumendo un peso rilevante nel panorama nazionale. Essa, tuttavia, vive da diverso tempo la contraddizione tra gli eroici risultati di non poche esperienze di eccellenza e i diffusi fenomeni di abbandono e marginalizzazione produttiva. Tra i due estremi un filo conduttore, forse il più significativo: la rigidità strutturale delle piantate tradizionali, principale modello produttivo nel Salento, poco competitivo sotto il profilo tecnico-economico e fattore limitante per qualsiasi sforzo finalizzato ad un miglioramento della qualità dell’olio. Questa condizione, assecondata dalle politiche e normative di tutela, da un lato ha garantito la salvaguardia degli alberi secolari privilegiandone i valori culturali e paesaggistici, dall’altro ha impedito all’olivicoltore di adeguare gli impianti a modelli più moderni e compatibili con le esigenze di qualità e di una gestione aziendale economicamente sostenibile. In questo scenario, i riconoscimenti a livello internazionale ricevuti dalle aziende salentine d’avanguardia trovano spiegazione essenzialmente nella capacità e caparbietà degli imprenditori e soprattutto nell’amore per questa pianta e per questo prodotto.
Fig. 4 Raccolta delle olive con scuotitore in oliveti tradizionali.
(Foto Azienda Agricola Dott. Pantaleo Greco)
L’evoluzione culturale in atto nel Salento verso un’olivicoltura più “verde” si è allineata alla tensione delle società europee per una nuova “ruralità”, rivelatasi con più forza a partire dagli anni Ottanta, e che ha visto nella recente affermazione del concetto della multifunzionalità dell’agricoltura il suo elemento più qualificante. Questo nuovo sentire comune rispetto al ruolo e alle aspettative attribuite alla coltivazione dell’olivo, ha arricchito la gamma di prestazioni richieste dalla società, dalla semplice produzione di olive ed olio a funzioni e servizi extra-mercato a servizio dell’intera comunità, come la conservazione dell’ambiente e la custodia dell’identità culturale.
Olivicoltore, dunque, non più riduttivamente inteso come produttore di olive, ma anche e soprattutto come custode di cultura, ambiente, paesaggio. Parallelamente, il quadro politico e normativo, dal sistema degli aiuti Pac fino alla programmazione regionale, si è rivelato incapace di garantire un efficace meccanismo di incentivi per un’olivicoltura multifunzionale, finalizzato in sostanza alla remunerazione dei maggiori costi sostenuti dagli olivicoltori a fronte dell’erogazione di servizi a beneficio dell’intera collettività. È così maturata una contrapposizione tra le esigenze produttive e quelle di salvaguardia ambientale e culturale, che ha visto forse le prime penalizzate rispetto alle seconde, se oggi nel Salento è registrabile la diffusa presenza di oliveti tradizionali abbandonati, esposti all’incuria e al degrado.
Questa situazione, peraltro antitetica rispetto agli obiettivi delle stesse politiche di tutela che hanno contribuito a generarla, può aver rappresentato una condizione predisponente, anche se non esclusiva, per una più rapida diffusione dell’epidemia di Xylella fastidiosa, con particolare riferimento all’abbandono delle buone pratiche colturali in estese aree olivetate del Salento.
Per fortuna, lo spettro della scomparsa dell’olivo dalla gamma di colture praticabili nel territorio salentino sembra allontanarsi per effetto delle recenti importantissime conquiste della ricerca. Infatti, i primi dati sulle resistenze varietali al patogeno individuerebbero (il condizionale è ancora d’obbligo) come tolleranti alcune cultivar, tra cui “Leccino”, “Frantoio” e “Coratina” (Fig. 5). A tal proposito, è in atto una sperimentazione specifica, finalizzata alla restituzione di un elenco di varietà resistenti/tolleranti su cui impostare i nuovi impianti o programmi di miglioramento genetico per le varietà suscettibili, tra cui le indigene “Cellina” e “Ogliarola”.
Fig. 5 Filare di ulivi della cv “Leccino” in buone condizioni, tra piante della tradizionale “Cellina di Nardò” in fase molto avanzata della malattia. (Foto F. Lazzari)
Il germoplasma olivicolo associato alla grande agrobiodiversità che caratterizza gli oliveti salentini e pugliesi si configura, in questo contesto, come un patrimonio preziosissimo. Ci riferiamo a quelle varietà, cloni e biotipi, meno rappresentati nei sistemi olivicoli tradizionali rispetto alle più diffuse Cellina e Ogliarola oppure dimenticati dalla moderna impresa olivicola, che potrebbero rivelarsi potenziali portatori di caratteri utili per il superamento dell’emergenza.
Le varietà locali di antica coltivazione sono il risultato di un paziente lavoro di selezione, miglioramento e conservazione protrattosi attraverso generazioni di agricoltori, in un legame indissolubile con pratiche agricole tradizionali e consuetudini locali. Purtroppo queste varietà minori sono a rischio di scomparsa sotto la spinta omologante della specializzazione colturale, dell’utilizzo diffuso di varietà “standardizzate”, più produttive e rispondenti alle esigenze di competitività, e dell’adozione di pratiche colturali intensive. Esse sopravvivono frequentemente negli impianti più antichi di ristrette aree marginali.
L’impegno della Regione Puglia per porre rimedio a questa vera e propria “emergenza agro-biodiversità” non è mancato. Importanti sono stati i primi progetti regionali finanziati a tale scopo, ma è con la legge regionale n. 39/2013 «Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, forestale e zootecnico» e con le misure specifiche del PSR 2007/2013 che si configura una svolta significativa nelle strategie regionali per l’agrobiodiversità.
Proprio con fondi PSR è stato finanziato il “Progetto integrato per la biodiversità” Re.Ger.O.P., in via di conclusione, che ha coinvolto numerosi partner, con capofila Sinagri Spin Off dell’Università di Bari. Il progetto Re.Ger.O.P. “Recupero del germoplasma olivicolo pugliese” ha previsto numerose attività che hanno interessato a tutto tondo il tema della biodiversità olivicola, contribuendo in maniera rilevante al recupero, caratterizzazione, risanamento e conservazione del germoplasma olivicolo pugliese.
Fig. 6 Varietà di olivo coltivate in Puglia. Mostra pomologica del Progetto Re.Ger.O.P.
(Foto F. Lazzari)
Gli interessanti risultati raggiunti, con numerose accessioni autoctone recuperate, potrebbero assumere una nuova e particolare significatività alla luce dell’emergenza Xylella.
Alle motivazioni di natura ecologica, culturale ed economica, oltre che etica, che legittimano la necessità di salvaguardia della biodiversità olivicola salentina e pugliese, si aggiunge l’ulteriore speranza che questa possa contribuire al superamento della crisi fitosanitaria.
Non solo. Salvo importanti novità negli sviluppi della ricerca, in merito ad efficaci tecniche preventive o curative di lotta al patogeno, tornerà sicuramente d’attualità in Puglia il dibattito sulle strategie di ricostruzione olivicola, soprattutto quando sarà finalmente rimosso il divieto di reimpianto oggi cogente nelle aree infette. Lo scongiurabile, ma purtroppo possibile, severo ridimensionamento dell’oliveto salentino, e la necessità di ripristinarlo con varietà resistenti o tolleranti, presupporranno nuove e più accurate conoscenze sulle caratteristiche agronomiche e produttive di tali cultivar, nonché sui loro significati culturali e paesaggistici. In tal senso, gli approfondimenti sul germoplasma olivicolo autoctono in tutte le sue accezioni rappresenteranno certamente “oro colato” per il decisore, ma soprattutto il punto di partenza obbligato per qualsiasi strategia rispettosa dell’identità di un comparto e di un territorio.
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Le foto di apertura e interne al testi sono di Fabio Lazzari
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