Olivo Matto

Frisella con pomodoro, olio e sale. Elogio della semplicità

Luigi Caricato

Frisella con pomodoro, olio e sale. Elogio della semplicità

Quale migliore occasione per apprezzare un sano e sapido olio extra vergine di oliva! Con la friseddha, detta più semplicemente frisa, c’è da restare sazi e soddisfatti. Ne basta una, o al massimo due. Non di più, non serve. Consumata in tutta semplicità, rappresenta la più immediata e calzante espressione della tradizione salentina. Un vero punto di riferimento, anche per le nuove generazioni, che mai la rinnegano. Ottenuta ricorrendo alla farina di grano duro – o a quella d’orzo, oppure a una sapiente combinazione di entrambe le farine – non è altro che un minuscola forma di pane cotta al forno e successivamente tagliata a metà in senso orizzontale, in modo che dopo una breve pausa, viene nuovamente rimessa in forno per essere biscottata.

Prodotto da forno impareggiabile, ricordo il volto soddisfatto dello scrittore Alberto Bevilacqua, quando, ospite a Santa Caterina di Nardò, ne mangiò golosamente due, condite solo con pomodorini freschi salentini tagliati a metà, un po’ di sale e… l’olio, preferibilmente quello ricavato da olive autoctone del Salento, Ogliarola di Lecce e Cellina di Nardò.

Attenzione, però. Non cadete in errore. Nei supermercati vengono spacciate per tali alcune imitazioni che nulla hanno a che vedere con le vere friselle. Non dico che facciano schifo, ma sono lontanissime da quelle che meritano il nome di frisa.

Il condimento può prevedere anche origano, o cipolle tagliate a fette sottili, o anche rucola, ma la classica versione, la più semplice, è quella che prevede la triade pomodoro, olio e sale. Le varianti, anche le più bizzarre, non mancano. C’è chi vi mette l’aglio, strofinandolo sulla superficie rugosa, chi invece l’immancabile peperoncino.

Da autentico salentino quale ancora sono, nonostante sia cittadino milanese d’adozione, so bene come non sia facile prepararla alla perfezione. Certo, la frisella deve essere bagnata immergendola nell’acqua, ma occorre stare in allerta con i tempi. E’ preferibile non commettere l’imprudenza di lasciarle a bagno troppo a lungo. Sono sufficienti dieci secondi, non è necessario andare oltre, altrimenti si imbevono troppo di liquido e il gusto finale ci perde, oltre che l’estetica. Troppa acqua rigonfia le frise al punto da renderle perfino brutte da vedere. E ora, invece, un po’ di sano campanilismo non guasta. Le friselle si consumano anche nel Barese (ciallèdde) e nel Napoletano (freselle), ma non hanno nulla a che vedere con le autentiche friseddhe, sia ben chiaro.

SAGGIO ASSAGGIO

Ho evidenziato la necessità di ricorrere a un olio extra vergine di oliva salentino, per ottenere la frisella perfetta. Ovviamente si può ricorrere a un olio di qualsiasi provenienza, purché sia un extra vergine dal fruttato mediamente intenso, non troppo amaro né piccante. E’ preferibile un olio sapido ma armonico, dal gusto rotondo.

Ecco dunque, salvifico, un olio molto fine che ho degustato nel dicembre appena trascorso e che trovo adattissimo per la frisa – e non solo. E’ prodotto dalla Tenuta Francesca Stajano di Alezio, nelle campagne a sud della provincia di Lecce, nell’entroterra gallipolino.

Vista > Giallo oro dai riflessi verdi, limpido.

Olfatto > Fragranze erbacee e floreali.

Gusto > Buona fluidità e finezza, note amare e piccanti in ottimo equilibrio, gusto vegetale di carciofo.

Sensazione retro-olfattiva > Toni mandorlati, richiami di erbe di campo e lieve punta piccante.

Abbinamento > Oltre che per condire le frise, con insalate verdi e di mare, carni bianche e pesci alla griglia.

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