Olivo Matto

L’Italia di cui non sono affatto fiero

Luigi Caricato

Negli Stati Uniti gli agricoltori in media guadagnano 69.300 dollari l’anno. Qualcuno forse pensa, o comunque si illude, che sia lo stesso, o quasi, in Italia? Si tratta di due agricolture differenti, in realtà. Quella americana opera su grandi estensioni, e non c’è frammentazione. Quella italiana, non soltanto soffre di una eccessiva frammentazione dell’unità poderale, ma addirittura estende tale frammentazione anche in campo commerciale, esasperandone le dinamiche attraverso una moltiplicazione di marchi inutili, magari anche ottenendo prodotti di indubbia qualità, ma in ogni caso ininfluenti come marchi commerciali, per disorganizzazione e incapacità di stare sul mercato senza una precisa strategia.

Poi, certo, gli agricoltori americani ricevono sostegni economici dal proprio Paese (ma anche servizi, in verità), anche perché l’agricoltura non può fare mai a meno dei sostegni. Esiste tuttavia anche una politica agricola seria dietro, in Italia assente. E, soprattutto, non esistono nemmeno – come invece abbondano in Italia – realtà associative che vadano contro gli interessi degli agricoltori. In Italia è una corsa a chi finge di stare dalla parte degli agricoltori, ma nel frattempo tali soggetti (enti, person, di tutto, di più) curano molto bene il proprio autosostentamento. Sono troppe in Italia le strutture composte da chi attinge ai fondi destinati agli agricoltori, per lo più burocrati, o finti professionisti, che con la scusa di stare dalla parte degli agricoltori li depredano, attingendo alle risorse finanziarie destinate all’agricoltura.

C’è oltretutto da aggiungere che negli Stati Uniti, per loro grande fortuna, non esiste nulla di paragonabile alla Coldiretti. Lì le organizzazioni di categoria svolgono il proprio ruolo egregiamente, per davvero, non si perdono in dichiarazioni da rendere alla stampa e in proclami sul tempo e sul maltempo, nè tanto meno sciorinano ogni santo giorno i risultati di pseudo sondaggi. Sono concreti, in America: lavorano. E in più non hanno neppure cattivi maestri che si servono dell’agricoltura per curare i propri personali interessi; e infine, in merito alla ricerca, loro sì che la sostengono. Quanto occorre per investire in ricerca negli Usa viene destinato direttamente a chi fa la ricerca. In Italia, al contrario, a disporre del denaro sono le associazioni di categoria, le quali a loro volta, facendosi gestori di fondi pubblici, esercitano un ruolo di primo piano, dettando anche l’indirizzo da assegnare alle ricerche. Tale ruolo determina uno squilibrio dei poteri, con una grave perdita di autonomia che penalizza fortemente il mondo della ricerca, rendendola vulnerabile alle imposizioni di chi gestisce il potere su ogni decisione. E’ per mancata indipendenza che la ricerca in Italia è ferma. Non assegnare un ruolo economicamente autonomo toglie respiro a chi dovrebbe essere il polmone di un Paese. Questa, purtroppo, è l’Italia che già conosciamo, e di cui io – permettetemi di evidenziarlo ancora una volta – non sono affatto fiero.

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