Nella giornata di mercoledi 16 dicembre si riunirà la giuria del concorso di design e packaging Le Forme dell’Olio. E allora mi chiedo, proprio ora che il concorso è giunto alla sua ottava edizione, se l’investimento sul packaging e il design possa in qualche modo contribuire a far alzare il prezzo del prodotto olio extra vergine di oliva e nel contempo contribuire a far migliorare la percezione del valore intrinseco al prodotto agli occhi del consumatore.
Come ho opportunamente scritto la scorsa settimana, introducendo per esempio l’olio da regalare si può creare una nuova abitudine di consumo, che può comportare una svolta concreta al futuro commerciale degli oli di qualità.
So bene quanto ciò sia difficile, ma le sfide d’altra parte servono proprio per creare una nuova esigenza di mercato, proprio là dove questo bisogno non esiste, e neppure viene ritenuto necessario, anche se occorre comunque fare in modo che lo diventi.
C’è da osservare che il mondo dell’olio dimostra al riguardo poco coraggio, perché ha poca inventiva, quando invece dovrebbe spogliarsi del suo tessuto prettamente agricolo e affrontare i mercati con una visione nuova.
Ciò, evidentemente, non significa trascurare gli altri segmenti di mercato, sia ben chiaro. Io ho teorizzato il concetto di “olio democratico”, proprio per lasciar intendere che anche un olio da “primo prezzo” ha la sua dignità e valore, perché comunque è sempre una materia prima nobile, pur se espressione di una qualità ordinaria rientrante nei limiti minimi fissati dal legislatore, ma c’è tuttavia bisogno di rendere disponibile anche l’olio extra vergine di oliva alle famiglie con minori risorse economiche. Ed è proprio per questo motivo, quando dico “valorizzare”, intendo dire valorizzare “tutte” le categorie merceologiche, e, tra le singole categorie, è fondamentale differenziare anche i vari gradi di qualità, senza creare discriminazioni tra ciò che vi è di ordinario e ciò che vi è di eccellente.
In Italia vi sono due vini simbolici ed emblematici. Da una parte il “Tavernello”, prodotto da una società cooperativa, la Caviro, leader di mercato nella fascia di prezzo più accessibile, la quale, proprio con il Tavernello, ha saputo egregiamente offrire al consumatore un prodotto genuino e dalla costante qualità
Dall’altra parte vi è per contro un altro scenario, che invece rappresenta e interpreta alla perfezione il concetto di eccellenza, che possiamo individuare nel nome di un altro marchio storico, il “Tignanello”, proprietà della famiglia Antinori, che ha saputo realizzare un vino da sogno, altamente simbolico dell’alta qualità rinomata universalmente.
Ebbene, è giusto che sul mercato vi siano prezzi bassi e accessibili ma sempre dignitosi, e comunque remunerativi per il produttore che conferisce le uve in cantina?
Allo stesso modo, è giusto che vi siano vini con prezzi elevati e opportunamente adeguati per prodotti di alta gamma, dai prezzi alti, dunque, e, nel caso specifico, pienamente giustificati dalla qualità corrispondente e pertanto credibili e accettati, almeno da quanti possono realmente permettersi vini di così grande prestigio?
Lo stesso vale per un prodotto complesso e stratificato come è l’olio extra vergine di oliva, capace di presentare tutte le proprie distintive e peculiari caratteristiche a livello di sensorialità e di prodotto nutraceutico.
Cosa occorre fare? Meno chiacchiere e più mercato, con investimenti in marketing e in comunicazione. Può bastare e assicurare gli operatori del settore?
E infine, chiedo a tutti: il consumatore, oggi, può essere messo nelle condizioni di riuscire a comprendere le due anime distintive dell’olio? Da una parte quello democratico, dall’altra quello elitario?
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