Olivo Matto

Nel ricordo di Luigi Veronelli. Un omaggio alla memoria

Luigi Caricato

Nel ricordo di Luigi Veronelli. Un omaggio alla memoria

Ieri è stata per me una giornata di silenzio. Ho voluto ricordare in questo modo, nel sesto anniversario della morte, il compianto Luigi Veronelli. Ora, dopo il silenzio di ieri, riporto, quale forma di omaggio alla sua figura, una mia antica intervista pubblicata sul settimanale “Voce del Sud”. Correva l’anno 1997. Gli chiesi tra l’altro le ragioni della scarsa cultura dell’olio in Italia. Mi rispose a suo modo, lanciando alcune accuse. Ma non esitò a tranquillizzarmi: “Mi consola vedere che si va costituendo una èlite di persone appassionate. Auguriamoci – aggiunse – che l’esempio dei migliori patrons porti al costume generalizzato del carrello degli oli vergine nei ristoranti”.

Con tutta sincerità, ricordo con grande affetto Veronelli – per tutti gli amici, il “Gino” – anche se nell’ultimo periodo ho fortemente dissentito da certe sue posizioni in tema di olio extra vergine di oliva.

Per la sua casa editrice ho pubblicato nel 2000 il libro Gli oli di Veronelli, mentre per anni ho curato una rubrica di alfabettizzazione sull’olio per il bimestrale da lui diretto, “Ex Vinis”- che oggi ha cessato l’attività, come del resto la stessa casa editrice.

Veronelli è scomparso il 29 novembre 2004 all’età di settantotto anni, a Bergamo, dove è vissuto per molti anni. Era nato a Milano il 2 febbraio 1926, dove ha compiuto gli studi e frequentato tra gli altri il filosofo Giovanni Emanuele Bariè, il giornalista Gianni Brera e l’editore Giangiacomo Feltrinelli.

Per le sue idee si è battuto ed è stato condannato a a sei mesi di carcere per istigazione alla rivolta dei vignaioli piemontesi perché oppressi dalla burocrazia e dai grandi monopoli. Non solo, come editore ha subìto la censura per aver pubblicato un autore scomodo come De Sade. L’edizione di Storielle, racconti e raccontini, edita nel 1957, è stata infatti mandata al rogo, quale ultima manifestazione della censura in Italia. Altri tempi.


Le battaglie per Veronelli facevano parte della sua natura anarchica. Ha scritto tanto e curato l’uscita di molte riviste e libri, sempre camminando per ogni dove e sempre osservando il mondo con le sue complessità e contraddizioni. Oltre alle note guide ai vini e ai ristoranti, ha avviato idee e stimolato reazioni.

Del mio rapporto con Veronelli, e degli anni di campagne di sensibilizzazione sull’olio, ne scriverò in seguito. Per ora lo ricordo con l’intervista che mi ha rilasciato per “Voce del Sud”, pubblicata sul numero di sabato 13 dicembre 1997.

INTERVISTA DI LUIGI CARICATO A LUIGI VERONELLI

Luigi Veronelli è un riferimento fondamentale per quanti si occupano di alimentazione. E’ una figura anomala, atipica, che va oltre la miserevole quotidianità. Ecco, chi è per l’esattezza Luigi Veronelli? Ma soprattutto: che segno lascia nel tempo?

Una persona semplice che ama il proprio lavoro, che ha avuto la fortuna di accorgersi essere il vino il canto della terra verso il cielo.

“Luigi” è nome di origine germanica e significa guerriero illustre, glorioso in combattimento. Quante battaglie ha combattuto Luigi Veronelli? Sono state più le vittorie o le sconfitte? Ma la vita è proprio una dura battaglia?

Gli interessi detti globali – ma racchiusi nelle mani di pochi – rendono la vita una dura battaglia, in ogni luogo dell’orbe terracqueo. Ho avuto poche sconfitte, e solo sul piano economico. E’ tuttavia certo che ho vinto la guerra. I vignaioli d’Italia tutta – anche della più amata, perché colta e povera – si sono accorti di poter scendere in campo, vendemmia dopo vendemmia, con le proprie insegne.

Veronelli crede in Dio? E comunque in chi o in che cosa è importante credere? Ma ha senso abbandonarsi fiduciosamente e credere in qualcuno, in qualcosa?

Credo nell’uomo. Convinto che “anarchia è libertà dell’altro” sono anarchico.

Il giorno in cui questo concetto semplice prevarrà – ed è certo che avvenga – l’umanità sarà migliore e l’ordine assoluto. Vivo la tristissima età in cui si perdono gli amici. Li perdo, sì. Mi basta tuttavia tendere una mano, nel percorso, per avvertire l’accostarsi della loro.

Lo stile della sua scrittura è unico e personale. Quali sono i suoi riferimenti letterari, le sue letture preferite?

La ringrazio, molto, di ciò che dice. Letture tante. Preferiti: san Bernardino da Siena, Gabriele d’Annunzio e Carlo Emilio Gadda.

Chi è che apprezza Veronelli e chi invece lo disprezza?

Mi apprezzano le persone “d’anima”.

Come si confronta Veronelli con il mondo delle Istituzioni? Sappiamo bene la sua natura anarchica e ci chiediamo come sia possibile affrontare la realtà con le sue contraddizioni e rimanere coerenti con la propria visione della vita.

Il termine “sovversivo” – che tanto preoccupava i benpensanti – rappresenta una necessità. Agisco sempre col proposito di sovvertire – senza l’uso della pur minima violenza – perché ciò rappresenta la liberazione, ad ogni livello, da millenarie schiavitù.

Cosa pensa della scuola in Italia? E’ da chiudere, come scriveva provocatoriamente Giovanni Papini? O…?

Maestri e libri dovrebbero rappresentare il pane quotidiano. Proposte? Infinite. Una, primaria: dedicare alla musica il maggior numero di ore del “calendario” settimanale.

Perché manca una vera conoscenza alimentare, perché il consumatore è così poco attento e banalmente informato, perché manca in generale la volontà di educare al piacere del buon cibo?

In una delle ultime interviste l’ultra-novantenne Marguerite Yourcenar, a chi le chiede qual essere la causa della continua, umana tragedia, risponde, dolcissima: “la demonizzazione del piacere”.

Lei ha promosso da sempre la “qualità alimentare” e, dall’aprile 1986, anche attraverso il Seminario permanente a lei intitolato… Quali risultati sono stati conseguiti finora?

Direi, e non per merito mio, notevolissimi. Soprattutto, “presso” i giovani. Si accorgono che ogni gesto dell’alimentazione è prezioso. Soprattutto per il vino, compagno problematico, con cui confrontarsi in modo intelligente e gioioso. Mario Soldati si indigna di chi beve per stupefarsi ed afferma: “io, io bevo se, allegro, voglio aumentare la mia allegrezza”.

Perché in Italia manca la “cultura dell’olio”, perché i ristoratori (salvo pochi) non pensano ad un carrello degli oli…?

In questa nostra patria gli industriali sono riusciti a far credere con tutta una studiatissima orchestrazione, che gli oli di semi siano – ad esempio nelle fritture – meglio. Sono peggio, vaddassè, molto peggio, sotto ogni aspetto, ed in primis per la salute e per il buon gusto.

Mi consola vedere che si va costituendo una èlite di persone appassionate, nei vari campi del mercato e si può avere confidenza. Auguriamoci che l’esempio dei migliori patrons porti al costume generalizzato del carrello degli oli vergine.

Per concludere. Uno o più aggettivi che definiscano la sua vita, la sua persona, il suo mondo.

Terragno.

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